Untamed (Netflix, 2025) è una miniserie thriller statunitense in 6 episodi (tra i 40 e i 50 minuti). Ideata da Mark L. Smith (Revenant, American Primeval), assieme alla figlia Elle. Untamed: indomito, selvaggio, incontaminato. Come i protagonisti di questa storia. Ovvero Kyle Turner (Eric Bana – Troy, Hulk – qui anche in veste di produttore), ranger scorbutico e solitario dello sterminato Parco nazionale di Yosemite. Che, lontano dall’essere semplice e spettacolare sfondo, è l’altro grande protagonista di questa avvincente storia (anche se in realtà è girata nella Columbia Britannica canadese – that’s cinema!).
Lo Yosemite, che abbraccia parte dei monti della Sierra Nevada nella California orientale, si estende maestosamente per oltre tremila chilometri quadrati. Quella è l’area in cui l’agente speciale Turner, facente parte del comparto investigativo del parco (Investigative Services Branch – ISB), è chiamato a mantenere la legalità. Kyle convive con i suoi demoni – la tragica perdita del figlio e la separazione dalla moglie Jill (Rosemarie DeWitt – The Boys) – vivendo, da alcolico eremita, in uno spartano rifugio in mezzo ai boschi.
Ombroso, taciturno e tormentato, questo ranger solitario – che preferisce spostarsi a cavallo – rispecchia pienamente, quasi spudoratamente, la figura del detective anti eroe. Sempre alle prese con un mistero da risolvere nel pieno del proprio caos esistenziale. Una figura iconica che, a partire dal classico Rust Cohle di Matthew McConaughey (True Detective S1), sempre più spesso abita i nuovi gialli seriali: da Van Der Valk a Dept. Q, da The Sinner a Jack Taylor… Naturalmente coniugati in diversi modi, i punti in comune che questi personaggi hanno sono: un oscuro e traumatico passato e una pessima capacità di relazionarsi con il prossimo. A cui va aggiunto – ça va sans dire – un brillante, profondo e ostinato acume investigativo.
Un lupo solitario, El Capitan e Jane Doe
Spesso e volentieri, soprattutto nel caso delle miniserie, le indagini di cui sono protagonisti hanno, paradossalmente, una funzione catartica nella loro esistenza. Paradossalmente – perché tutti loro si lanciano a capofitto nel lavoro proprio per sfuggire a ciò che di irrisolto si portano dolorosamente dentro. Che è il caso dell’agente Turner, rifugiatosi nel parco nazionale, perché tormentato dalla tragica e luttuosa separazione dalla sua famiglia. Un lupo solitario destinato qui ad affrontare il mistero della morte di una giovane ‘Jane Doe’, precipitata dalla cima della montagna nota come El Capitan. Suicidio o omicidio?
Ad aiutarlo nelle complicate indagini, un’altra giovane: Naya Vasquez (Lily Santiago), ex poliziotta di L.A. trasferitasi con il figlio a Yosemite per sfuggire a un compagno violento (J.D. Pardo – Mayans). La Vasquez lascia quindi il caos e la violenza metropolitane per entrare in un mondo completamente nuovo. Un mondo al contempo sublime e indifferente. Un mondo in cui scelgono di venire a nascondersi, o a nascondere i loro loschi traffici, un inaspettato e sorprendente numero di ambigui e oscuri individui: tossici, spacciatori, pedofili, sicari…
La ricerca, dapprima dell’identità di Jane Doe e in seguito del suo assassino – ammesso che sia soltanto uno – conduce questa strana coppia di agenti, il ranger veterano e la recluta urbana, ad esplorare boschi, grotte e caverne. E noi con loro. Alla scoperta di improbabili comunità, criminali e non, che abitano i vasti spazi dello Yosemite. Nativi americani, ‘freak homeless’, cacciatori di frodo, trafficanti vari… Incredibile la varietà umana che sceglie quelle montagne per poter vivere, in segretezza, al di fuori della legalità (a questo proposito suggerisco la visione del documentario Murder Mountain). Montagne che solitamente si immaginano percorse da turisti e visitatori amanti della natura. E che proprio così i piani alti vorrebbero fossero immaginate, per l’immagine del parco e per il bene dell’economia locale.
Untamed: alcolismo di Damocle e pessima reputazione
La morte della ragazza, che le suddette autorità preferirebbero archiviare come suicidio, diventa allora da subito problematica. E l’agente Turner, in virtù del suo alcolismo di Damocle e della pessima reputazione di cui gode presso i colleghi, offre facilmente il fianco. Pochissime le persone che lo sostengono. Ma tra queste, fortunatamente, c’è Paul Souter (Sam Neill – Peaky Blinders, Invasion) capo dei ranger del Parco e amico di vecchia data.
Ad ogni modo, poco a poco attraverso questa investigazione si scoprono traffici agghiaccianti, segreti sepolti nel passato – e altri cadaveri. Da questo punto di vista, la struttura narrativa di Untamed si muove nel più classico dei solchi thriller e crime. L’elemento atipico nella trama, mutuato dalla lezione di Lynch con Twin Peaks e Laura Palmer, sta nel fatto che a partire dalla morte di Jane Doe vengono alla luce diversi altri enigmi, che con questa stessa morte hanno soltanto un rapporto indiretto. I sei episodi sono disseminati di elementi come strani tatuaggi d’oro, simbologie indigene ecc. Ma sono tutte, a modo loro, false piste. Ci portano cioè ad altre storie, altri personaggi, altri segreti… In Untamed nessuno ne è privo. Nessuno.
Indagare sulla – e nella – morte della ragazza significa indagare nel passato di tutti. E dal crime si scivola nel family drama. Sul rapporto tra Kyle e Naya, mentore e novellina, lungi dall’avere connotazioni sentimentali, si costruisce innanzitutto l’indagine stessa. In secondo luogo la possibilità, per entrambi, di affrontare i propri demoni, reali o immaginari che siano. L’uno con l’aiuto dell’altra. La possibilità di una guarigione. Tra montagne, fiumi, animali. Tra esseri umani, colpe, e ancora segreti.
Corrispondenze – dentro e fuori
In effetti sono diverse, e non poche, le cosiddette sottotrame messe qui in campo. Ma rispondono tutte ad un sottile ed equilibrato richiamo alla corrispondenza. A cominciare dal figlio di Naya, della stessa età del figlio di Kyle quando venne ucciso da un pedofilo. Sull’infanzia della ragazza assassinata si torna poi più volte, così come sulla nipotina di Souter – affidata ai nonni perché la giovane madre è, per l’ennesima volta, in comunità… Anche l’elemento droga crea legami e connessioni tra i diversi percorsi esistenziali, ma qui saremmo costretti a dire decisamente troppo.
Untamed: indomito, selvaggio, incontaminato. Una serie che si muove tra una retorica stilistica fin troppo evidente e un’audacia simbolica fatta di estatici paesaggi ed esistenze spezzate, o sul punto di spezzarsi. Inconfessabili segreti, gelosamente rinchiusi, dentro. Mentre fuori agisce l’ipnotica suggestione degli ampi spazi aperti.
Questa l’intrigante ambivalenza di Untamed – giallo che si muove tra l’azzurro del cielo, il verde dei boschi e il nero del cuore umano. Tra lo sguardo di un cervo, catturato per un istante, e quello di un amico che ti sta mentendo da una vita. Tra il disperato bisogno di espiare e l’assoluta necessità di redimersi. L’uno e l’altra – bisogno e necessità – indomiti, selvaggi, incontaminati.
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