C’è voluta davvero tanta, tanta disciplina per costringermi ad arrivare fino in fondo alla prima stagione di Invasion, nel 2021, su Apple TV+. C’era anche, va da sé, la speranza (sempre più flebile) di un colpo di reni. Qualcosa che desse soddisfazione da un lato alle alte aspettative che avevano annunciato e accolto questa serie fantascientifica. Dall’altro al cospicuo investimento della casa di Cupertino: 200 milioni di dollari, che non sono poca cosa per una singola stagione di una serie tv.
Ora, quasi due anni dopo, lo show torna con una seconda stagione, in uscita a cadenza settimanale. L’ottimismo, la speranza, sono spesso in tv cattivi consiglieri. Continuerò a illudermi che la serie possa migliorare nel suo nuovo capitolo? O mi atterrò al giudizio formulato nel 2021, e che qui riprendiamo?
Partiamo dalla fine: perché non mi era proprio piaciuta? È presto detto: puntata dopo puntata delle 10 che compongono il primo capitolo di Invasion, la vera battaglia (epica) non era quella degli umani contro l’alieno invasore, che sarebbe (in teoria) la trama dello show. Ma quella mia personale per resistere al sonno e riuscire appunto a tagliare il traguardo finale.
E dire che l’eccitazione, in partenza, c’era tutta.
Le forti attese che circondavano Invasion
Le ragioni per cui le attese su Invasion erano alte sono presto dette. Ovviamente la robusta produzione Apple alle spalle. Poi la caratura non banale, specie nel genere d’azione e superomistico, di Simon Kinberg, co-creatore dello show con David Weil.
Kinberg è uno sceneggiatore e produttore che si è fatto le ossa soprattutto, ma non solo, nel franchise di X-Men, partecipando a vario titolo a numerosi progetti. In particolare, ha nell’ultimo decennio prodotto il bel X-Men: First Class, (2011), e scritto e prodotto l’ottimo X-Men: Days of Future Past e poi X-Men: Apocalypse: cioè i tre interessanti film che sono il cuore del notevole reboot della saga. Ma vale la pena citare la sua partecipazione come produttore a fim molto belli come The Martian di Ridley Scott e Assassinio sull’Orient Express di Kenneth Branagh.
Insomma, un nome che dava speranza. Poi, molto strombazzata era la presenza di un volto popolare ed esperto come quello di Sam Neill (più che altro uno specchietto per le allodole, come si vedrà già nel primo episodio).
Altri elementi che giustificavano l’attesa verso Invasion. Il budget, già citato: 200 milioni di dollari per 10 episodi, 20 milioni a puntata. Per dare un riferimento: l’ultima stagione di Game of Thrones, la più costosa, spendeva 14 milioni di dollari a puntata. Tradotto: una produzione assai ricca, ideale per una grande storia di fantascienza giocata a livello planetario.
E non solo perché al centro del racconto c’è il sempreverde tema degli alieni che arrivano concupendo con violenza il nostro bel pianeta. Ma planetario anche perché Apple TV+, nel produrre Invasion, ha pensato bene di ambientare la storia in 4 Paesi per altrettante aree del mondo. Stati Uniti ma anche, con uguale importanza, Giappone, Gran Bretagna, Afghanistan.
4 Paesi, 4 gruppi di personaggi, un solo risultato: la noia
In Invasion troviamo 4 diversi ambienti per 4 gruppi di personaggi, tutti chiamati a confrontarsi con l’orrore strisciante dell’invasione eponima. Di 4 diverse appartenenze etniche.
C’è la famiglia siriana negli States: matrimonio in crisi ma due figli piccoli da portare in salvo. C’è il militare afro-americano nel teatro afgano, che deve cercare, solo sopravvissuto del suo plotone, di tornare a casa. Ci sono i ragazzini britannici che l’invasione aliena sorprende in gita scolastica in aperta campagna, soli e senza adulti. C’è la tecnica dell’agenzia spaziale nipponica che lotta per scoprire cos’è successo alla astronauta di cui è innamorata, scomparsa nello spazio con l’arrivo degli sgraditi visitatori.
Un modo intelligente e intrigante di mostrarci la reazione del mondo all’invasione? Sulla carta.
Perché poi nella realtà emerge quasi subito un problema non da poco. La noia. Ma una noia rotonda, tridimensionale, assoluta. Ti guardi il primo paio di puntate e dici: ah, che scelta interessante non mostrare nulla dell’invasione aliena e concentrarsi sulle storie umane. Si starà creando attesa e simpatia, per poi spalancare le porte dell’inferno.
No. Alla fine delle 10 estenuanti puntate la cosa più interessante e più bella di Invasion saranno stati i fascinosi titoli di testa accompagnati dal tema musicale del fantastico Max Richter. Che sembra collocare la serie tra le ambizioni di Arrival e quelle di The Leftovers. Ma dietro il fumo non c’è nulla. Solo la lentezza esasperante con cui tutto si dipana. Tra sequenze interminabili per far avanzare l’azione di poco o nulla. E la fatica di ricordare ciò che è successo nelle puntate precedenti.
Fino a che la noia assoluta – una noia che ho personalmente vissuto come palpabile tormento fisico – cede il passo, nel finale, al ridicolo pieno.
Il problema di Invasion: cattiva scrittura e poco coraggio
La scelta dell’approccio corale, potenzialmente interessante, viene minata da un problema gigantesco: di questi personaggi non ce ne frega niente. In parte l’effetto deriva da una strategia incomprensibile: far fuori, nelle prime due puntate, quelle figure che ci avevano fatto entrare nella storia. Col risultato di inibire lo spettatore dall’affezionarsi alle successive storie che gli verranno presentate.
Forse ispirata dall’ambizione di dar vita a una epica mondialista, Invasion ha pensato che bastasse il casting multietnico a sostituire storie e personaggi con cui entrare in relazione, per cui trepidare e voler proseguire la visione. In parte è colpa degli attori e della loro direzione. Volti largamente inespressivi, sguardi persi nel vuoto (a farci entrare in connessione coi loro pensieri? auguri). Prove attoriali davvero mediocri, a tratti irritanti: in cui ansimare diventa la forma espressiva primaria. Con la parziale eccezione solo del giovanissimo Billy Barratt (il più giovane vincitore di un Emmy, a 13 anni, per il film Responsible Child del 2019).
Ma soprattutto è un problema di scrittura. Una scrittura che gioca malissimo le proprie carte, smarrisce ripetutamente il bandolo della matassa, non sa farci interessare ad alcun carattere. E riesce a rendere incredibilmente priva di qualsiasi interesse, non si sa come, nientemeno che un’invasione aliena.
Una cosa è fare teasing, differire freudianamente l’orgasmo. Altra cosa è limitare al piano quasi solo verbale il racconto dell’invasione del titolo. Senza sviluppare davvero né i livelli alti (la reazione del mondo, dei governi, degli eserciti) né quelli bassi (perché i personaggi agiscono in un costante vuoto pneumatico emotivo). E così come l’invasione non viene realmente mai mostrata, e gli alieni appaiono solo tardi e in modo assai deludente, lo stesso accade col finale.
L’orrendo finale della prima stagione di Invasion (SPOILER), e il tema della colpa umana
Il finale della prima stagione di Invasion è qualcosa di grottesco.
[INIZIO SPOILER]. La soddisfazione elementare che ci è stata più volte negata (innamorarci di un personaggio; vedere gli alieni che arrivano e sfasciano tutto; vivere un’angoscia globale) ci elude anche in conclusione.
Alla chetichella come sono arrivati, i nemici se ne vanno. Basta un attacco nucleare (raccontato, non mostrato) contro il loro invisibile centro di comando, individuato grazie alla riproduzione di Space Oddity di David Bowie da parte di un’astronauta morta. O almeno credo, perché – confesso – la visione del nono episodio è stata costellata di continui rewind causati da una sonnolenza ormai invincibile. Potrei essermi immaginato delle cose, boh.
In ogni caso, la distruzione degli alieni avviene in un attimo, fuori scena, alla fine della nona puntata. La decima, come è facile immaginare, è ancora più stremante, priva della pur labile motivazione narrativa del resto di Invasion. Le ultimissime scene fanno più o meno risorgere un personaggio morto, che in una dimensione onirica incontra un altro personaggio che non ha mai visto prima. E poi ci mostrano, ovviamente, il ritorno della minaccia aliena, prodromica all’incubo di una seconda stagione. [FINE SPOILER]
Vabbè.
Ultimamente serie tv e film ci fanno sempre più sentire in colpa per la fine del mondo che raccontano: ci meritiamo l’apocalisse. Tema che abbiamo esplorato qui a proposito di film e show televisivi sulla pandemia. In Invasion la cosa assume una forma diversa.
Se la colpa dell’umanità è di essere diventata terribilmente noiosa, ombelicale, incapace di raccontare una storia avvincente, ci meritiamo la punizione aliena. Anzi, faremmo pure il tifo per l’invasione. Se mai arrivasse davvero.
Così scrivevamo a fine 2021, al termine della prima stagione. Saprà la seconda, appena iniziata, farci cambiare idea? Sempre che troviamo la forza di provare a guardarla…
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