Dept. Q (in it. Dept Q – Sezione casi irrisolti) è una serie britannica (Netflix, 2025), la cui prima stagione si compone di 9 episodi di 50 m. circa. Tratta dai romanzi dello scrittore danese Jussi Adler-Olsen, nella fattispecie da La donna in gabbia (il primo di dieci dedicati alla ‘Sezione Q’). Dello stesso romanzo, come di altri della stessa saga, esiste una versione cinematografica danese. Dept. Q, la cui ambientazione è stata quindi spostata da Copenaghen a Edimburgo, è stata sceneggiata principalmente da Scott Frank, che è anche regista (Godless, The Queen’s Gambit) di alcuni episodi.
Dalla Danimarca alla Scozia, dunque, dove il protagonista di questa storia è il sarcastico e irriverente Carl Morck (Matthew Goode – The Good Wife, Downton Abbey), ispettore inglese in carico alla polizia di Edimburgo. L’antefatto è il sopralluogo di un appartamento, in seguito ad un omicidio, condotto in maniera quasi spensierata. Carl e James Hardy (Jamie Sives – Game of Thrones), storico partner e amico, trovandosi casualmente (o meglio, fatalmente) in zona, decidono di andare a dare un’occhiata.
L’iniziale spensieratezza si trasforma, in pochissimo tempo, in una mezza carneficina: in casa, ben nascosto, c’era ancora qualcuno. Le sue pallottole ammazzano Clark (Aron Dochard – Bodies), agente di quartiere in servizio da soli tre mesi, e rendono paralitico James. Carl se la cava, per così dire, con il collo trapassato parte a parte da un proiettile, senza conseguenze rilevanti. Almeno a livello fisico. Perché l’inevitabile disturbo post-traumatico, corredato da uno straziante senso di colpa, lo tormenta per tutto il tempo, acuendo le sue irritanti esuberanze caratteriali.
Il primo caso del Department Q
Per cercare di contenerlo e, per quanto possibile, di isolarlo, la sua superiore – la Sovrintendente Capo Moira Jacobson (Kate Dickie – Inside Man) – gli assegna un nuovo incarico. La direzione della neonata Sezione Q (Department Q / Dept. Q), nuovo dipartimento fortemente voluto dai piani alti e dalla propaganda governativa, che ha il compito di risolvere vecchi casi irrisolti, i cosiddetti cold case.
La grottesca sede della nuova unità investigativa è nel vecchio seminterrato dismesso della centrale di polizia, che un tempo ospitava le docce e i servizi igienici. In sostanza, un gigantesco stanzone con inservibili orinatoi, water e lavabi, il tutto oscenamente in vista. Al misantropo Detective Ispettore Capo Carl Morck vengono assegnati il civile Akram Salim (Alexej Manvelov – Chernobyl) – ex poliziotto siriano con un misterioso passato – e l’Agente Investigativo Rose Dickinson (Leah Byrne – Nightsleeper), giovane donna con una psiche particolarmente fragile e con alle spalle un tentato suicidio. A supportare l’indagine, anche se a distanza, dal suo letto d’ospedale, mentre cerca affannosamente di riacquistare un po’ di sensibilità alle gambe, vi è anche James.
Il primo caso del Dept Q è la scomparsa – quattro anni prima – della procuratrice distrettuale Merritt Lingard (Chloe Pirrie – Carnival Row). Data praticamente per morta, il suo corpo non è però mai stato ritrovato. Attraverso l’indagine viene quindi raccontata la storia di Merritt, ambiziosa e spietata nel suo lavoro, cosa che le ha procurato una lunga lista di nemici. Una donna dalla vita privata molto complicata, il cui racconto si intreccia specularmente a quello della vita privata di Carl. Entrambi sono similmente divorati da demoni interiori e da un perpetuo senso di colpa.
Dept Q: una duplice investigazione
Il passato di Merritt viene poco a poco disvelato, non solo dall’investigazione di Morck e compagni, ma anche da lei stessa, nel suo angosciante e claustrofobico presente. Merritt è infatti rinchiusa, verosimilmente da quattro lunghi anni, in una camera iperbarica totalmente isolata, illuminata da fredde luci artificiali. Non sa chi l’ha rapita, né perché. I suoi carcerieri la costringono, attraverso punizioni fisiche o psicologiche, a ripercorrere la sua vita, in cerca di risposte. Perché è lì? Ma, come dicevamo prima, la sua lista di nemici – e quindi di ipotesi – è davvero lunga…
L’investigazione diventa allora duplice. Da una parte i ricordi della procuratrice distrettuale, costretta a scandagliare il suo passato per scoprire l’identità dei suoi carcerieri. Dall’altra l’indagine di un detective cinico e trasandato e della sua improbabile squadra: un ex torturatore siriano, un’assistente dall’incerta tenuta mentale e l’ex partner paralizzato in ospedale. Tutti loro riveleranno però, a sorpresa, brillanti doti investigative. Smontando la precedente indagine, troveranno inquietanti tracce di corruzione che porteranno fino al Lord Procuratore.
Così, quella che doveva inizialmente essere un’operazione di facciata – la nascita della Sezione Q -, volta a distrarre l’opinione pubblica, nonché un modo per esiliare l’incontenibile Morck, rischia di diventare una vera e propria bomba ad orologeria per lo stesso Palazzo di Giustizia. E quella che era nata come un’indagine riluttante, pescata quasi a caso tra i centinaia (più probabilmente migliaia) di casi insoluti, contenuti nei numerosi scatoloni recapitati nel seminterrato – indagine condotta da un detective recalcitrante, che vorrebbe invece trovare l’uomo responsabile della sparatoria a cui è miracolosamente sopravvissuto – diventa un mistero che lo coinvolge al massimo grado.
Dept Q e lo Scottish Noir
Nella vita privata di Carl Morck, inglese tra scozzesi (la serie in lingua originale mostra chiaramente la differenza di accento tra Morck e i colleghi), ci sono anche l’irrequieto figliastro Jasper (Aaron McVeigh), il coinquilino filosofo (Sanjeev Kohli) e, soprattutto, l’anticonformista psicologa Rachel Irving (Kelly Macdonald – Boardwalk Empire), alle cui sedute di terapia è costretto a presentarsi. Queste ultime metteranno a nudo il dolore e la fragilità del protagonista.
Carl appartiene ad un lungo elenco di solitari eroici antieroi, refrattari alle regole e segnati da traumi, che vivono la propria storia – in questo caso l’indagine in questione – come una forma di espiazione personale, in cerca di una possibile redenzione (vedi ad es. il recente Untamed). Il loro caustico sarcasmo e l’apparente mancanza di empatia rendono inizialmente difficile qualsiasi rapporto di collaborazione o anche qualsiasi rapporto tout-court. Ma, in Dept Q, Morck è in buona compagnia.
Senso di colpa, rimorso, attacchi di panico, disturbo da stress post-traumatico: ogni personaggio di questa serie ha, a suo modo, a che fare con un trauma del passato. A cominciare dalla sua assortita squadra di disadattati: dal gentile, composto e letale Salim all’estrosa, timida e bipolare Rose. Senza dimenticare la prigioniera Merritt Lingard, sottoposta a lunghi ed esasperanti tormenti fisici e mentali. Incarcerata in uno spazio angusto e claustrofobico, mal illuminato. Che ha un parallelo non solo nello scantinato senza finestre e con cessi a vista, dove si riunisce la Sezione casi irrisolti. Ma anche con la stessa Edimburgo – e le sue strade grigie, i cieli bassi, la luce fredda delle giornate nebbiose.
L’atmosfera cupa e quasi opprimente, specchio delle anime ferite dei suoi personaggi, appartiene a pieno titolo al genere ‘Scottish Noir’. Dept Q potrebbe anche magistralmente chiudersi così, senza un seguito. Ma la produzione è stata furbescamente concepita a metà strada tra la serie e la miniserie. La trama di questa prima stagione è conclusa, ma c’è tutto lo spazio – e, per dirla tutta, anche il desiderio – di vedere una seconda stagione con Carl Morck e compagnia bella.
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