Godless è una miniserie americana western (Netflix, 2017) ideata dal premio Oscar Steven Soderbergh (The Knick) e Scott Frank (già sceneggiatore di Minority Report e Logan – The Wolverine). Mentre Soderbergh riveste qui il ruolo di produttore esecutivo – pare abbia una paura tremenda dei cavalli (sic) – Frank firma la regia di tutti e sette gli episodi, di 1h circa ciascuno.
Il genere western è, negli ultimi decenni, sempre e comunque una sfida autoriale. Deve giocoforza fare i conti con la sua grande eredità, anche in termini di linguaggio e codici espressivi. Quelli la cui nobile paternità si deve addirittura al maestro John Ford. E deve avere una propria originalità stilistica e narrativa, se non vuole limitarsi ad essere noiosa emulazione degli antichi fasti.
Da qui, nel XXI° secolo le grandi produzioni cinematografiche, come le spettacolari incursioni di Tarantino (The Hateful Eight 2012, Django Unchained 2015). Del 2015 è anche lo splendido The Revenant di Iñárritu. I fratelli Coen ne hanno ricodificato in toto il linguaggio, grazie soprattutto all’opera letteraria di Cormac McCarthy, da cui nel 2003 viene tratto il film No Country for Old Men (Non è un paese per vecchi). Gli stessi Coen decideranno di rendere omaggio alla tradizione western cinematografica 15 anni dopo, con The Ballad of Buster Scruggs (2018).
Nel mondo seriale, prima di Godless, abbiamo Justified, Hell on Wheels, Longmire e, soprattutto, DeadWood (forse la più vicina a Godless per estetica e sensibilità). Alla più recente American Primeval abbiamo invece dedicato questa puntata del podcast. Chiudiamo questa carrellata di produzioni con due titoli che seguono l’uscita della miniserie in questione: Yellowstone e Westworld. Entrambi sono potenti reinvenzioni del genere western, da cui partono per approdare in inediti orizzonti narrativi.
L‘ultraclimax bangbang’
Non è questo il caso di Godless, che utilizza invece coraggiosamente gli elementi tradizionali delle avventure ambientate nel Far West, riproponendone a piene mani l’estetica di paesaggi e ambientazioni. Quelle mozzafiato che ritraggono vaste praterie al vento alternate agli aridi deserti del New Mexico. Senza naturalmente dimenticare bordelli, saloon e l’immancabile ufficio dello sceriffo. Su questi pittorici sfondi (la fotografia è ottimamente curata da Steven Meizler) muovono diverse trame, con un’attenzione particolare ai personaggi – protagonisti e secondari. E un nuovo e attuale approccio alle usuali dinamiche dicotomiche di potere (buono cattivo, maschile femminile, legge crimine)…
Perfetti esempi ne sono la vedova – non una donna in difficoltà da salvare ma un carattere forte e indipendente. Lo sceriffo traumatizzato dalla morte della moglie, romantico e impacciato. Il pistolero protagonista e il villain antagonista, legati da una relazione oscura e ambigua, fino alla fine di difficile interpretazione.
Godless – welcome to no man’s land – è una storia di vendetta e redenzione, raccontata con indolente equilibrio e invidiabile intensità. Un lento crescendo della durata di sei episodi, verso il grandioso finale del settimo, in cui tutti i protagonisti – finora dispersi in un a tratti surreale road movie – si ritrovano là dove tutto ha avuto inizio, nella strana e pittoresca cittadina di La Belle, New Mexico. L’appuntamento è quello classico, con tanti fucili e tante pistole: una sparatoria che ha sicuramente imparato la lezione tarantiniana sull ‘ultraclimax bangbang’ (you know what i mean).
Godless: un grande cast per una grande storia
Il cast è titanico, e deve esserlo per rendere credibili le strane connotazioni di questi personaggi, sempre in bilico tra rassicurante classico e audace invenzione. Su tutti il sempre straordinario Jeff Daniels (American Rust, The Comey Rule, A Man in Full), qui nei panni del terribile Frank Griffin, spietato capo di una numerosa banda di fuorilegge.
Griffin e i suoi sono sulle tracce del giovane Roy Goode (Jack O’Connell – Skins), colpevole di averli traditi. Roy – che è un tiratore eccezionale, va da sé – fuggendo ferito ha trovato riparo nei dintorni di La Belle. Più precisamente nel ranch in cui la vedova Alice Fletcher (Michelle Dockery – Downton Abbey) vive assieme alla suocera e al figlio, isolata dal resto della comunità. La Belle è una piccola realtà governata principalmente da donne. Gli uomini sono quasi tutti morti in un’esplosione avvenuta anni prima nella miniera locale (“83 brave anime scomparse in meno di 5 minuti“).
Uno dei pochi rimasti è lo sceriffo Bill McNue (Scoot McNairy – Fargo, True Detective), il quale – dopo la visita del Marshal John Cook (Sam Waterston – Law & Order) – decide sconsideratamente di mettersi da solo alla ricerca dell’intera banda. Rea di lasciare solo morte e distruzione sul suo cammino e, soprattutto, in pericoloso avvicinamento alla sua gente. Lo sceriffo Bill cerca un riscatto: sta perdendo la vista, cosa che lo rende lo zimbello di La Belle. Affida il paese alla capace sorella – che indossa orgogliosamente i pantaloni – Mary Agnes (Merritt Wever – Nurse Jackie, The Walking Dead) e al suo spavaldo e giovanissimo vice (Thomas Brodie-Sangster – Game of Thrones, The Queen Gambit).
Una serie che bisogna saper cavalcare
Alla ricerca di riscatto è anche Roy Goode, un tempo figlioccio del complesso e contraddittorio Frank Griffin. Frank ha perso un braccio in seguito allo scontro con Roy. Ma non è semplice vendetta quella che sta cercando. È qualcosa di molto più profondo, qualcosa che ha a che fare con il rapporto padri e figli, e che riverbera in tutte le sottotrame di questa potente miniserie. ‘One Arm Frank’ ama vestirsi da predicatore – e predicare. Lungo il confine tra New Mexico e Colorado, un malcapitato norvegese gli dirà: “You are no man of God!” “God? What God? Mister, you clearly don’t know where you are. Look around. […] This here’s the paradise of the locust, the lizard and the snake. It’s the land of the blade and the rifle. It’s godless country.”
Le donne di La Belle si preparano a difendere la loro cittadina con le unghie e i denti – ma soprattutto con i proiettili – dalla banda di psicopatici senza dio che mette a ferro e fuoco praticamente tutto ciò che incontra. A questo sanguinario, pirotecnico e turbolento festino di fuoco, si aggiungono infine due anime in cerca di redenzione: quella di un letale sicario fuorilegge e quella di un eroico sceriffo che sta diventando cieco.
Oltre alla toccante colonna sonora di Carlos Rafael Rivera, T Bone Burnett si occupa del repertorio di ballate tradizionali. Da un cui canto sfacciato sono tratti i seguenti versi: “And don’t forget the girls of La Belle / They will send you riding straight into hell!”
Razza, religione, genere, sfruttamento… le tematiche toccate da questi sette episodi sono davvero tante. Non tutte pienamente portate a compimento (vedi Martha, la pittrice), ma che importa? Sono tutte assolutamente credibili e appassionanti. E la vita non porta mai a compimento tutte le sue strane trame, karma o meno. Con Godless ci si può addirittura perdere nelle verdi distese delle pianure o tra le stanze del chiassoso bordello di La Belle. Una serie che, per non perdercisi dentro, bisogna saper, come dire, cavalcare. Perché l’essenziale è arrivare al catartico confronto finale, sublime scontro all’ultimo sangue, perfetta coniugazione western tra tradizione e originalità. Welcome to no man’s land. Bang bang. “This ain’t my death.” Enjoy.
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