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The Comey Rule, quando il potere vuole solo sudditi obbedienti

La miniserie 2020 con Jeff Daniels e Brendan Gleeson racconta - tra belle performance e un po' di confusione - lo scontro tra Donald Trump e James Comey, direttore FBI. Ma anche, più sotto, la fragilità delle nostre istituzioni democratiche.

di Jacopo Bulgarini d'Elci
06/11/2024
in Articoli
Cover di The Comey Rule per Mondoserie
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Con le elezioni presidenziali americane 2024 alle porte, non è sbagliato ripensare a qualche elemento dello strano, fantasmagorico, quasi irreale tempo che viviamo. O magari ripassare gli show che, occupandosi di un passato recente e ancora attuale, gettano luce su quello che possiamo aspettarci. È il caso di The Comey Rule, miniserie a sfondo politico del 2020, basata su una storia vera, gigantesca e (dal punto di vista storico) a noi vicinissima. Forse persino troppo, come vedremo.

Cioè i tumultuosi due anni a cavallo delle drammatiche elezioni americane del 2016. Raccontati dal punto di vista di uno dei protagonisti: James Comey, direttore dell’FBI. Che prima si trova nella scomoda posizione di riaprire l’indagine sulle famigerate email di Hillary Clinton, contribuendo a consegnare la Presidenza a Donald Trump. E poi ingaggia con quest’ultimo un conflitto senza esclusione di colpi. Basato su un’idea totalmente diversa del funzionamento delle istituzioni, e dell’autonomia degli apparati investigativi federali dalle pretese del potere politico .

Trasmessa in Italia inizialmente da Sky con il titolo Sfida al Presidente, poi su Paramount+, al momento assente in streaming nel nostro Paese, la miniserie (due episodi lunghi – o quattro brevi, a seconda della distribuzione – per totali 3 ore e mezza) racconta una vicenda talmente estrema e a tratti surreale da sconfinare nell’incredibile. Uno di quei casi in cui se non sapessimo che la vicenda di partenza, pur romanzata, è reale, faticheremmo a non considerare la narrazione del tutto esagerata. E sopra le righe. 

The Comey Rule tra realtà e finzione

Allo stesso tempo, è un esempio assai interessante dell’enorme difficoltà insita nel provare a raccontare eventi troppo vicini. Come se la realtà, alla prova della fiction, opponesse resistenza (tema che abbiamo esplorato anche in questa serie di podcast). Persino la realtà a noi più vicina, quella degli ultimi anni. Una realtà accelerata e costantemente sotto steroidi.

Tanto più sul fronte americano, grazie alla radicale “esuberanza” con cui Trump ha guidato la Casa Bianca. Sempre pronto a fare a pezzi regole, consuetudini, norme scritte e non scritte. Apertamente insofferente verso quell’apparato normativo, ora codificato e ora affidato alla “tradizione”, che serve a fare da contrappeso al potere, a imbrigliare e impedire l’assolutismo dispotico.

Come nel caso di James Comey, direttore dell’FBI. Con cui Trump prima cercherà di instaurare un rapporto fin troppo amicale rispetto alla normale distanza tra l’agenzia investigativa, storicamente indipendente, e l’esecutivo. E che poi arriverà a licenziare brutalmente quando il poliziotto non vorrà piegarsi alle insistenti richieste di “lealtà” del padronale presidente. Una dinamica ben illustrata dalla scena della cena tra i due, che vediamo qui. 

“Una lealtà superiore”

“A Higher Loyalty”, Una lealtà superiore, è infatti il titolo del libro di memorie pubblicato da Comey dopo il proprio licenziamento: quando la “resistenza” contro il dispotico Presidente lo avrebbe trasformato in idolo del pubblico liberal statunitense.

Ed è proprio questo volume a costituire la base della miniserie, scritta e diretta da Billy Ray, sceneggiatore di Captain Phillips (2013) e Richard Jewell (2019). Con l’ovvia implicazione di una resa abbastanza agiografica del direttore dell’FBI.

Un uomo tutto d’un pezzo (non a caso interpretato – bene – dal sempre più civilmente impegnato Jeff Daniels), disposto ad assumere decisioni giuste anche se scomode. In prima battuta quando a poche settimane dal voto del 2016 riapre le indagini sulle email della Clinton (perché alcune e-mail del famigerato server sono apparse in un nuovo scandalo di sexting sul computer portatile di Anthony Weiner, di cui abbiamo parlato raccontando l’allucinante documentario Weiner).

La mossa dell’FBI è, con ogni probabilità, quella fatale. Che costa alla Clinton la sconvolgente sconfitta sul filo di lana. E rende Comey un bersaglio anche a sinistra. Salvo poi per così dire redimersi quando, ed è la seconda “resistenza”, non accetta le richieste trumpiane di impunità per la propria cerchia di collaboratori e amici. Divenendo rapidamente un nemico per l’impulsivo Presidente e, ovviamente, un’icona per i Democratici. 

The Comey Rule: pregi e difetti

Se l’obiettivo era quello di contribuire a chiarire le opache e intricate vicende di quegli anni, non si può dire per la verità raggiunto. The Comey Rule è al contempo un po’ scolastica nella messa in scena e, paradossalmente, piuttosto caotica nell’illustrare la complessa materia.

In compenso, è illuminata da due elementi, che la rendono alla fine uno show da vedere. E non solo dal punto di vista “storico”.  

In primis la performance, titanica, di Brendan Gleeson: il Trump dell’attore irlandese può sembrare esagerato e ridicolo, a partire da trucco e parrucco. Ma traduce perfettamente la regola dell’eccesso dell’ex (e forse futuro) Presidente, di cui sa cogliere quella vena di crudeltà minacciosa e capricciosa spesso occultata con la scusante della “atipicità”. Che nel tempo è quasi divenuta un alibi, una giustificazione per qualsiasi violazione delle leggi scritte e di quelle non scritte. “Che ci vuoi fare, Trump è così… non è come tutti gli altri… ha le sue regole…”.  

Foto: Brendan Gleeson è Donald Trump in The Comey Rule
Brendan Gleeson è Donald Trump in The Comey Rule

La fragilità delle istituzioni democratiche

Il secondo aspetto prezioso è il riflettore che accende sulla fragilità delle istituzioni democratiche, molto più vulnerabili alle minacce di quanto tendiamo a pensare. Come ha ben mostrato il caos post-elettorale dopo la sconfitta di Trump nel 2020, e come abbiamo raccontato nella nostra riflessione sulla rappresentazione della politica e del potere in tv.

Anche nelle elezioni USA 2020, come abbiamo un po’ alla volta appreso, a fare la differenza sono stati alcuni funzionari pubblici, spesso proprio conservatori. Funzionari che, di fronte al rifiuto del Presidente di riconoscere la sconfitta, di fronte alla sua pretesa di alterare il processo democratico, hanno tenuto la schiena dritta.

Governatori, Segretari di Stato, responsabili dei processi elettorali, membri di commissioni locali. Che, anche messi alle strette, hanno scelto di ribadire verso le istituzioni che avevano giurato di servire, anche loro, a higher loyalty.  

Vedremo cosa il futuro ci riserverà, a partire ovviamente dalle nuove elezioni presidenziali americane, quelle 2024. Le terze con Trump candidato. Con più pressione che mai sulla macchina elettorale e la tenuta del sistema democratico. E quindi se ricorderemo The Comey Rule come un imperfetto racconto storico, o una drammatica e accurata profezia.

Giudizio: storia incredibile; eppure, in larga parte, vera. E istruttiva.

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Una versione precedente di questo articolo è stata pubblicata il 13 dicembre 2020 su The Week, settimanale del gruppo editoriale Athesis. 

Tags: biopic e storie vereelezioni USA 2016elezioni USA 2020elezioni USA 2024politicaSfida al PresidenteThe Comey RuleTrumpUSA
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Fondatore e direttore del progetto MONDOSERIE, prende le serie terribilmente sul serio. In una vita precedente è stato assessore alla cultura della città di Vicenza. In altre e non meno reali esistenze, si è perso sull’isola di Lost, ha affrontato i propri gemelli oscuri in Twin Peaks, ha avuto il cuore spezzato da Breaking Bad. Autore e critico tv, scrive interventi sulle trasformazioni dell’immaginario pop (Doppiozero), tiene conferenze, coordina e realizza pubblicazioni. Soprattutto, guarda e riguarda show da quasi 30 anni.

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