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Yellowstone: la legge del più forte tra western e kitsch

In attesa della quinta stagione, la serie interpretata da Kevin Costner continua a raccontare la lotta contro il progresso di un fiero e ostinato proprietario terriero.

di Livio Pacella
11/03/2022
in Articoli, Artwork
Cover di Yellowstone per Mondoserie
584
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Yellowstone è una serie televisiva statunitense (in onda dal 2018 per Paramount Network, e giunta in Italia su Sky e NOW solo dal 2020), ideata e scritta da Taylor Sheridan, già affermato attore (Veronica Mars, Sons of Anarchy) e sceneggiatore (Sicario, Hell or High Water, e Soldado – del nostro Sollima) e John Linson. Giunta alla quarta stagione (dopo 39 episodi), con una quinta prevista per l’anno prossimo.

Sarebbe fin troppo facile caratterizzare questo show con il termine western, o se vogliamo, neowestern. Il problema è il significato che la parola può avere oggi, dopo aver designato per decenni “il genere americano per eccellenza” nel panorama produttivo cinematografico e seriale made in USA. Perché la storia di Yellowstone è ambientata proprio ai nostri giorni. E segue le vicissitudini della famiglia Dutton, proprietaria del più grande ranch dello Stato del Montana. Chiamato, appunto, Yellowstone.

La sovranità assoluta del patriarca John Dutton / Kevin Costner

Il patriarca John Dutton (Kevin Costner) lotta con tutte le sue forze per proteggere l’impero che lui e i suoi antenati hanno faticosamente creato dal nulla, onorando in tal modo la promessa fatta al padre in punto di morte. Molte e diverse le forze nemiche alle quali opporsi, tutte però sotto lo stesso segno dell’avanzata del progresso capitalista. Sia esso sotto le spoglie di speculatori edilizi californiani con pochi scrupoli o dell’astronomico fondo di investimenti che su quelle terre ha deciso di finanziare la costruzione di un aeroporto. Oppure addirittura degli indiani nativi, che di quelle stesse terre vorrebbero riappropriarsi edificandovi sopra casinò e hotel di lusso.

Ma è la stessa realtà della grande azienda Dutton ad essere improntata ad un latifondismo capitalista in maniera estrema. I turni di lavoro dei cowboys che vi lavorano sono a dir poco massacranti; i più fedeli tra loro vengono marchiati a fuoco come capi di bestiame, mentre quelli destinati a lasciare il ranch, sono destinati a lasciare anche questa terra (perché venuti a conoscenza di troppe cose). Il padre padrone, alias John Dutton, corrompe da sempre polizia e amministrazione locale e, quando ne sente la necessità, non esita a passare alle maniere forti – tortura e omicidio compresi, of course. Per finire questa breve carrellata, il nostro – oltre a possedere una quantità sterminata di terra – ne dispone a suo piacimento come un sovrano, arrivando anche a modificare il corso di un fiume per privare i suoi concorrenti di una risorsa primaria come l’acqua… 

Il dramma etico e l’estetica melodrammatica di Yellowstone

Tutto lo svolgersi della serie è quindi una drammatica, più spesso ahimè melodrammatica, prova di forza muscolare tra lo Yellowstone – il ranch – e il resto del mondo. La tanto decantata tradizione che questo vecchio e cupo cowboy si erge a difendere contro tutto e contro tutti, altro non è altro che il principio del più forte. Un principio che se ne frega bellamente di leggi e regolamenti, di citazioni, giurisdizioni e compagnia bella. 

John Dutton si rifà ad un’anacronistica etica – ed estetica – da proprietario terriero nel Far West, dove l’unica legge che realmente conta è quella che lui stesso decide di dettare in casa propria. E la sua casa, come si diceva, è una porzione assai vasta e cospicua dello Stato del Montana. Il personaggio interpretato da Costner è il prototipo perfetto del macho vaccaro (dall’etimo di cowboy, ragazzo delle vacche): fascinosamente agée, ma ancora in grado di cavalcare e sparare; tenebroso e ovviamente di poche parole – parole che elargisce come preziosi distillati di atavica sapienza ancestrale.

In perfetta linea con le maggiori narrazioni seriali del nostro tempo, anche questo personaggio protagonista appartiene alla categoria dei cosiddetti antieroi, in cui bene e male, luci e ombre, sono egualmente distribuite nella psicologia come nell’azione. La sua stessa filosofia è, tutto sommato, una mostruosa aberrazione che funziona solo nella misura in cui chi gli è attorno lo venera (come la sua famiglia) o lo teme (come tutti gli altri), senza mai mettere comunque in dubbio le sue sentenze. 

Cowboys vs. Bikers

Quella vecchia maledetta promessa fatta al padre – di lasciare la valle così come è e come è sempre (sempre?) stata – finirà con il legare lui e i figli ad una rovinosa catena di evidenti e inevitabili contraddizioni: ad esempio la volontà di mantenere ad oltranza lo status quo dell’immenso ranch. In primis quel meraviglioso esclusivo rapporto uomo-natura, di cui però paradossalmente soltanto lui e pochi altri eletti possono godere. Tagliando fuori la quasi totalità dei cittadini del Montana e ritardando quella necessaria metamorfosi territoriale e sociale che il progresso impone al paese come prezzo da pagare per una maggiore ricchezza da distribuire.

In sostanza John Dutton è un vecchio mostro in lotta contro altri nuovi mostri: questo è in sintesi il contenuto di Yellowstone. Il racconto procede sempre sull’esasperante filo del melodramma, acuendo surrealmente in ogni episodio la portata emotiva degli eventi in ballo: il sangue, ad esempio, vi scorre a fiumi – e vi scorre con una certa leggerezza. Le lacrime no, perché l’estetica machista in questione non le permette.

Questi cowboys (soprattutto quelli marchiati da Dutton) sono uomini tutti d’un pezzo, che sanno farsi dannatamente rispettare. Vedi l’emblematico incontro scontro con la gang di motociclisti forestieri, alla Sons of Anarchy (per così dire), dal quale i bikers usciranno naturalmente malconci e umiliati. Su Sons Of Anarchy abbiamo scritto qui.

Non si contano poi, va da sé, risse e scazzottate, che nascono per le questioni più effimere. In sottofondo, un country malinconicamente strimpellato con voce e chitarra. 

Banche e natura, padri e figli: meglio non fare domande

Un’altra linea narrativa, anch’essa perennemente esasperata, è quella che riguarda banche e avvocati, politica e appalti, mazzette e concessioni – ovvero natura incontaminata versus malefica burocrazia. La situazione tende spesso involontariamente al grottesco (del tipo una multinazionale costretta a ricorrere a sicari, o anche ad un vero e proprio commando armato, per eliminare fisicamente gli ostacoli frappostisi alla realizzazione di un determinato progetto imprenditoriale nello Stato del Montana)…

L’ultimo grande tema romanzesco concerne la famiglia Dutton: John, rimasto presto vedovo, all’inizio del primo episodio ha quattro figli, ma già arrivati a fine episodio gliene rimangono solo tre: la cinica e spietata donna d’affari alcolista Beth (Kelly Reilly), il selvaggio indomito ribelle ex marine Kayce (Luke Grimes) e il fragile avvocato aspirante governatore Jamie (Wes Bentley). Ognuno di loro è una vera opera d’arte, se visto da una prospettiva psicopatologica, su tutto risaltando il rapporto malato che hanno con l’impossibile genitore. Soprattutto il povero Jamie, perennemente sfiduciato dal padre e brutalmente umiliato dalla sorella: un caso clinico degno di un intero trattato di psicanalisi freudiana. Last but not least, il braccio destro Rip (Cole Hauser), specie di figlio acquisito, perfetta incarnazione del ranchero dello Yellowstone che esegue ciecamente gli ordini di John senza mai fare domande. Perché in quel mondo le domande sono sempre di troppo.

La favola di Yellowstone, tra pathos e ostinazione

Il punto debole dello show, per concludere, sta proprio in questa accumulazione insensata di pathos narrativo ad oltranza. Non c’è giorno in cui John & Company non si trovino costretti a fronteggiare crisi e drammi d’ogni sorta e d’ogni genere, in un surreale susseguirsi di eventi problematici senza soluzione di continuità né tantomeno razionalità alcuna: su quella dannata terra la tragedia incombe e basta, senza un particolare perché. E lo spirito tradizionale del cowboy vi duella ad ogni mezzogiorno con lo spirito del malefico progresso che avanza tutto corrompendo… Il ranch Yellowstone è una realtà che si ostina ad esistere seguendo solo le proprie regole, non volendosi in alcun modo piegare alla volontà generale del resto del mondo, che lo reclama per sé.

Questa è la favola del ranch destinato a non trovare mai pace, sito vicino alla città di Bozeman, e del suo tirannico e cupo patriarca dalle nove vite. 

Tra la tragedia greca e la soap opera, con panorami mozzafiato, seriose esibizioni di virilità e gli odierni immancabili tocchi di ultraviolenza, un western kitsch destinato purtroppo a girare a vuoto su se stesso. Come un indomabile purosangue senza meta, impazzito per le troppe letture filosofiche di stampo reazionario.

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