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The Shield: adrenalina iperrealista tra gli abissi della corruzione

La serie di Shawn Ryan è il pazzesco ritratto di un allucinante distretto di polizia, in un'infernale L.A.

di Livio Pacella
28/09/2024
in Articoli
Cover di The Shield per MONDOSERIE
1.5k
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The Shield è una serie televisiva statunitense di genere poliziesco ideata da Shawn Ryan, e trasmessa dal canale via cavo FX dal 2002 al 2008, per un totale di 88 episodi suddivisi in 7 stagioni. Tra gli sceneggiatori, oltre lo stesso Ryan, figurano James Manos Jr. (Dexter), Glen Mazzara (The Walking Dead) e, soprattutto, Kurt Sutter (Sons of Anarchy, Mayans M.C.).

The Shield (nello slang: il distintivo) narra le vicende di un’unità speciale del corpo di polizia in servizio nell’immaginario quartiere di Farmington, Los Angeles. Questa squadra d’assalto (Strike Team), composta da quattro detective – Vic Mackey (Michael Chiklis – American Horror Story, Seinfeld), Shane Vendrell (Walter Goggins – Justified, Fallout), Curtis ‘Lem’ Lemansky (Kenny Johnson – Dexter) e Ronnie Gardocki (Sons of Anarchy) – è fondamentalmente un’unità anti gang. In azione in un distretto in cui, tra violenza e corruzione, le varie bande spadroneggiano sulle strade. L’intero show, dalla natura fortemente adrenalinica, così come il brano nei titoli di testa (Just Another Day), è liberamente ispirato allo scandalo ‘Rampart’. Che negli anni ‘90 vide implicato il Los Angeles Police Department, con oltre 70 agenti di polizia accusati di corruzione, abuso di forza, spaccio di droga e altri reati. In una città in cui le tensioni razziali avevano raggiunto il culmine dopo il violento pestaggio di Rodney King da parte della polizia (3 marzo 1991).

La serie si distingue subito per lo stile registico iperrealista. Con riprese a mano sempre in movimento, una patina ruvida e sporca, e un taglio quasi documentaristico. Non viene utilizzata una colonna sonora – gli unici pezzi che si sentono sono suonati da radio o altro all’interno della scena – e molto risalto viene quindi dato ai suoni ambientali. Che amplificano il caos dei quartieri più degradati di L.A. o anche dello stesso frenetico dipartimento di polizia, sito in una fatiscente chiesa sconsacrata.

Una gang con distintivo tra le gang di Farmington

I protagonisti della squadra anti gang hanno un proprio peculiare codice di condotta. Contraddistinto da una tremenda ambiguità morale – che porta talvolta all’esasperazione – e quindi da una moltitudine di segreti da condividere e mantenere tali. Per poter trattare con i gangster da pari a pari, e venirne a patti, Vic e soci si comportano praticamente come tali. E non nel senso che si atteggiano da gangster: lo Strike Team diventa infatti presto una sorta di super gang. Che, a differenza delle altre, è protetta dal proprio distintivo – the Shield.

Tra i quattro vige dunque un legame di complicità che va ben oltre il normale rapporto professionale: all’interno del quartier generale del distretto, Vic, Shane, Lem e Ronnie hanno la loro stanza privata. Una specie di distaccamento il cui accesso a tutti gli altri agenti è vietato, in cui riunirsi per decidere operazioni e strategie varie.

La squadra si muove nella giungla di L.A. secondo una disincantata filosofia che, lungi dal cercare di sradicare la criminalità dalle strade, cerca invece soltanto di tenerla sotto controllo. Mantenendo giorno per giorno un fragile equilibrio che eviti eccessi di violenza gratuita e inutili spargimenti di sangue. Ma il sangue scorre comunque abbondante tra le strade e la violenza sembra essere l’unico linguaggio compreso in quel di Farmington.

The Shield: il patto criminale

Ogni episodio è un dinamico susseguirsi di inseguimenti, sparatorie, retate, pestaggi e imboscate, ad alto tasso emozionale. Le maniere forti, ben oltre la legalità, sono all’ordine del giorno. Così come il parlato: uno slang crudo, scurrile e cameratesco. E in effetti vi è qualcosa di paramilitare in gran parte delle azioni dello Strike Team, e anche nelle tattiche usate contro il nemico, ovvero la malavita: alleanze, tregue e tradimenti – sostanza di un complesso e articolato compromesso sempre in divenire.

Tra bande di messicani, neri, russi, colombiani, cinesi, portoricani – senza dimenticare gli armeni – Vic e i suoi compagni si considerano come membri di una fratellanza (vedi Sons of Anarchy) con particolari e implicite leggi non scritte. La prima, naturalmente, è l’omertà. Questa finirà con il portare tutti loro in conflitto. Innanzitutto con gli altri colleghi. Poi, per alcuni (Vic e Shane), con la propria famiglia. Per altri (Lem) con la propria coscienza. Perché questo circolo è talmente esclusivo che già nel primo episodio un nuovo membro della squadra, infiltrato dagli Affari Interni, viene freddamente eliminato da Vic. Questo omicidio, coperto dai suoi compagni, tornerà a perseguitarli nel corso delle stagioni come il fantasma di Amleto.

La squadra ha gli Affari Interni con il fiato sul collo perché Mackey è sospettato di essere corrotto. E a ragione: accordandosi abitualmente con gli spacciatori di Farmington, liberi di lavorare mantenendo la violenza al minimo, intasca con gli altri una percentuale sul commercio di stupefacenti. Sentendosi stringere il cerchio attorno, smettono con questa redditizia tangente e puntano ad un bersaglio più ambizioso: un unico grande colpo per rubare una quantità spropositata di denaro sporco alla stessa malavita… Le drammatiche conseguenze di questa audace rapina saranno uno dei leit motiv delle successive stagioni.

Una moltitudine narrativa con un unico quesito morale

Tutto questo comunque continuando a fare benissimo il loro lavoro. Perché la squadra di Vic Mackey funziona maledettamente bene, portando a casa risultati – casi risolti, arresti, confessioni – che gli altri detective si sognano soltanto. Un paradosso che tutti i capi distretto che si succederanno a Farmington si troveranno ad affrontare. Tutti sanno che Vic non è pulito (he’s a dirty cop) e che lui e i suoi uomini agiscono fuori dalle regole, violando qualsiasi principio etico delle forze dell’ordine (tema che abbiamo affrontato in questa riflessione sui “poliziotti violenti”). Ma al contempo nessuno può negare la superiore lucidità strategica e la maggiore capacità di azione dello Strike Team. Alcuni cercano di contrastarli, altri rassegnati ci convivono. 

The Shield inscena infatti non solo l’operato di questa anomala squadra d’assalto, bensì le vicende che coinvolgono, bene o male, tutte le figure del distretto di polizia: capitani, sergenti, detective, tenenti, agenti semplici… Di questi personaggi conosceremo non solo i bizzarri casi con cui si dovranno confrontare, ma anche le diverse situazioni personali e familiari, le vittorie, l’angoscia, le speranze, i fallimenti…

Ne risulta un affresco delle forze dell’ordine pieno di umane contraddizioni, in azione nella periferia di un mondo degradato, pieno di marciume morale. Vi sono la pragmatica detective Claudette (CCH Pounder – Il problema dei 3 corpi), e l’impacciato partner Dutch (Jay Karnes – Law & Order SVU), il capitano Aceveda (Benito Martinez – Le regole del delitto perfetto), ricattato da un gangster, l’agente di colore Julien Lowe (Michael Jace – Law & Order), in conflitto con la propria omosessualità. E molti altri, in una continua e ininterrotta interazione. 

The Shield, affascinante e tragica epopea

Questo caotico distretto – Farmington – sembra essere a metà tra l’inferno e il purgatorio, di dantesca memoria. In bilico tra una quotidiana dannazione e un’impossibile espiazione. Perché lì dentro, così come fuori nelle schifose strade di L.A., nessuno è senza peccato. Non esistono bianco o nero: esiste solo una grande grigio, in cui al centro vi è una zona limite. In cui non si riesce più a percepire cosa distingua giusto e sbagliato, legge e crimine, buono e cattivo…

La figura più emblematica, in tal senso, è indubbiamente quella del protagonista, la cui grandiosa interpretazione è valsa Emmy e Golden Globe a Michael Chiklis. Spregiudicato e spietato come capo della squadra e amorevole padre di famiglia, con una moglie in via di separazione e due figli autistici che richiedono costosissime cure. La complessità della sua situazione familiare è per lui ragione sufficiente per compiere atroci nefandezze, seguito da tutto il suo team. Ma questa non è la sua unica motivazione, of course. 

Esattamente come avverrà nel successivo Breaking Bad, l’antieroe protagonista agisce così soprattutto perché così è segretamente appagato nella sua narcisistica volontà di potenza. Vic adora battere i gangster al loro stesso gioco. E questo suo bruciante egoismo assoluto non potrà che finire con il bruciare tutto ciò che gli sta attorno. The Shield è in fondo, fino al suo lacerante finale, un’affascinante e tragica epopea, intrisa di pathos e di azione, tanto da lasciare senza fiato…

Uno show molto apprezzato (e maledettamente istruttivo)

Pubblico e critica hanno enormemente apprezzato il crudo realismo con cui sono stati rappresentati i bassifondi della megalopoli americana. Oltre ai premi vinti da Chiklis, al debutto lo show ottenne un Golden Globe come miglior serie drammatica e Time Magazine la inserì nella Top Ten del 2007. L’inaspettato consenso di una scommessa – piuttosto azzardata – compiuta da FX, allora un piccolo canale basic cable (via cavo ma non a pagamento), ha attratto nell’orbita di questa produzione attori del calibro di Forest Whitaker (nei panni del Tenente Jon Kavanaugh) e di Glenn Close (Capitano Monica Rawling), una delle prime grandi attrici di cinema che ha coraggiosamente scelto di cimentarsi con una serie.

Il canale FX in seguito ospiterà l’ormai classico Sons of Anarchy di Kurt Sutter, e non pochi saranno i punti di contatto. Primo tra tutti la presenza di buona parte del cast di The Shield. Non solo: l’onnipresente violenza, l’impostazione iperrealista, i contrasti tra club / squadra di appartenenza e affetti personali / famiglia, la tragica ambiguità morale… In un certo qual modo The Shield appartiene allo stesso universo narrativo di cui fa parte Sons of Anarchy (assieme a Mayans M.C.).

The Shield è uno show di genere ibrido che ha stravolto sia il canone poliziesco (come The Wire), sia il canone crime (come i Soprano, cui abbiamo dedicato uno speciale). Uno show che ha osato tanto nel realismo in fase di scrittura, quanto nell’iperrealismo in fase di produzione. Uno show adrenalinico, potente, sporco, drammatico, politicamente scorretto, coinvolgente, esplosivo, sconvolgente, cinico, commovente. E in fondo istruttivo – maledettamente istruttivo – riguardo l’indecifrabilità tra giusto e sbagliato, buono e cattivo nella natura umana. Specialmente quando ci si ritrova in quel di Farmington, agli inizi del XXI secolo.

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Tags: crimeLos AngelespoliziescoThe Shieldviolenza
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