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Black Bird: se nella cella accanto c’è il Diavolo

La miniserie Apple, ispirata a una storia vera, è uno sconvolgente e straordinario viaggio all’inferno. E uno show da guardare, per un bel po’ di ragioni.

di Jacopo Bulgarini d'Elci
26/08/2022
in Articoli, Artwork
Cover di Black Bird per Mondoserie
1.1k
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Se vi dico “dramma carcerario” probabilmente vi viene già voglia di smettere di leggere. Figurarsi di guardare. Sbagliereste. Black Bird, miniserie Apple TV+ in 6 puntate iniziata l’8 luglio 2022 e appena giunta a conclusione, è molto ma molto più di ciò che il suo genere potrebbe far pensare. È una delle serie più interessanti viste quest’anno. E, davvero, merita il vostro tempo. 

Racconta una storia sbalorditiva e al contempo largamente vera. Quella di un uomo che accetta volontariamente di entrare in un inferno carcerario – una prigione per criminali malati di mente. E qui incontra il Diavolo. O una sua incarnazione. Un serial killer pedofilo a cui deve estorcere informazioni cruciali per farlo condannare. Non basta? Aggiungo al piatto che c’è un concerto d’attori superlativo – con l’ultima interpretazione del compianto Ray Liotta. La musica dei Mogwai. E un cattivo da cui farete fatica a non farvi ossessionare. Proprio come succede al protagonista. 

Infine: Black Bird sa porre, in un formato molto teso e compatto, domande belle toste. Una persona normale può sopportare il Male (con la M maiuscola)? E se sì: quanto? Quanto a lungo? Con che intensità? E ancora: che effetti produce una devianza vera e radicale su chi si trova a venirci in contatto? E poi, ovviamente, c’è l’ombra lunga proiettata – sullo show, su di noi – da un serial killer che osserviamo per così dire “dietro le quinte”. Spogliato del carisma quasi sacrale di tante produzioni degli ultimi decenni, e che abbiamo raccontato qui in questa nostra analisi sul grande “cattivo” del nostro tempo. 

Qui sotto il trailer originale: qui al link invece in italiano. 

Cos’è e di cosa parla Black Bird

Partiamo dal principio. Black Bird è una miniserie (un dramma carcerario / poliziesco) sviluppata da Dennis Lehane a partire dal romanzo autobiografico del 2010 “In with the Devil: a Fallen Hero, a Serial Killer, and a Dangerous Bargain for Redemption”, di James Keene e Hillel Levin. L’ambientazione è nella seconda metà degli anni ‘90. 

James “Jimmy” Keene, da ragazzo promettente astro del football, non è riuscito a sfondare. Ora spaccia stupefacenti e fa la bella vita, fino a quando non viene arrestato in un’operazione dell’FBI. E, siccome aveva armi pesanti in casa, lo sbattono dentro per dieci anni senza condizionale. Noioso? Sì, ma sono i primi minuti. 

A quel punto una agente dell’FBI ha una bella pensata: Jimmy è un bel ragazzo, fascinoso, ci sa fare. Mandiamolo – in cambio di uno sconto della pena – in un manicomio criminale. A fare cosa? A provare ad avvicinare Larry Hall, incarcerato per il sospetto omicidio di un sacco di ragazzine. Le autorità hanno contro di lui prove zoppicanti: l’appello si avvicina, e l’idea è mandare Keene a farselo amico. Per estorcergli, se non una confessione, almeno qualche prova: dove ha sepolto un corpo, qualche informazione o tecnica omicida che solo l’assassino potrebbe conoscere… 

Keene accetta, e inizia un vero e proprio viaggio all’inferno. Circondato da pericolosi malati di mente, terrorizzato dall’essere identificato come una spia – e fatto fuori. E poi, costretto a diventare migliore amico del suo vicino di cella. Che è un mostro solo apparentemente mite, un fanatico delle rievocazioni della Guerra Civile con tanto di basettoni da generale sudista, un detenuto che parla con voce flautata e nasconde il cuore di un demone. 

Perché la serie funziona, e molto bene

Togliamoci il pensiero. Come avete già capito, il nostro è un doppio pollice alzato: la miniserie merita. Eccome. 6 puntate (55-60 minuti) che sapranno tenervi avvinti. Specie se avete un minimo di curiosità psicologica e il tema dei serial killer vi attizza. 

Black Bird funziona per tante ragioni. È compatta: succede tanta roba, ma senza lungagnate. Cosa sempre più rara. È visivamente assai curata: l’ambientazione carceraria è un incubo claustrofobico – persino quando i detenuti sono all’aperto. È scritta benissimo, da un autore assai interessante, qui showrunner: Dennis Lehane. Parliamo del signore che ha scritto i romanzi da cui sono stati tratti il capolavoro del 2003 di Clint Eastwood, Mystic River. Il bel Gone Baby Gone, del 2007. E nel 2010 lo Shutter Island di Martin Scorsese. Lehane ha già scritto in altri contesti seriali: The Wire, per esempio; Boardwalk Empire; o The Outsider. Inoltre: aleggia su tutta la serie la musica evocativa dei Mogwai, bella band post-rock scozzese. 

E poi, gli attori. Un ensemble in stato di grazia. Lo ricordiamo in lacrime: quella di Black Bird è l’ultima interpretazione di Ray Liotta. Fa James “Big Jim” Keene, il padre ex poliziotto del protagonista, colpito da un ictus. È intenso e straziante, e ovviamente la notizia della malattia e morte dell’attore – subito dopo le riprese – ne rende la performance commovente. C’è Greg Kinnear (Qualcosa è cambiato), e funziona da dio nei panni del detective di provincia che non molla mai. C’è Taron Egerton, cioè il protagonista James Keene. L’avevamo visto nella serie cinematografica di Kingsman, e poi fare Elton John in Rocketman (Golden Globe), ma qua funziona proprio bene: palestrato e un po’ fesso, rivela via via lo spaesamento morale di una persona “normale” posta a contatto col Male. 

Black Bird: l’ultima interpretazione del compianto Ray Liotta

Black Bird tra finzione e realtà: una storia incredibile, e vera

Ma soprattutto c’è questa autentica rivelazione: Paul Walter Hauser (il Richard Jewell di Clint Eastwood). Il suo Larry Hall, serial killer che parla con voce acutissima e che sembra difficile prendere sul serio, ma che è capace di rivelare di colpo tratti profondamente inquietanti, è un cattivo davvero da manuale. Parliamo di una interpretazione monumentale. Ne risulta un assassino perlopiù inconsapevole, col quale non è impossibile, di tanto in tanto, empatizzare. Ma che è al contempo un manifesto dell’orrore autentico, sotto le spoglie apparentemente innocue di un bambinone sovrappeso. Hauser infonde al suo personaggio tutte le caratteristiche giuste: è ridicolo, fa una paura tremenda, è osceno. 

Nella realtà, la storia di Black Bird si è svolta in modo simile. Larry Hall non è un semplice serial killer: è un bugiardo seriale, un mitomane ossessionato dalla propria immagine, un vero incubo per le forze dell’ordine. Nel 1995 confessa di aver aver rapito, violentato e strangolata la quindicenne Jessica Roach. Durante il suo interrogatorio offre indizi che sembrano collegarlo ad altri casi. Ma poi ritratta, non fa mai trovare il corpo delle proprie vittime, finisce per passare da pazzo esibizionista. Perché la molla che sembra muoverlo è la volontà di attirare l’attenzione, di essere considerato, di sentirsi importante.

Una tattica esasperante per la polizia, che si trova spesso ad avere a che fare con le sue dettagliate confessioni, sempre ritrattate. E con inconcludenti giri a vuoto nella sterminata campagna americana, per cercare corpi che non saltano mai fuori. Ma che ci sono. Anche se poi Hall, messo alle strette, cerca di far passare i propri racconti in altro modo: “Stavo solo raccontando dei miei sogni. Non è successo davvero”.

Il Male incarnato che scuote la normalità

L’aspetto più potente di Black Bird è quindi questo. Mostrarci cosa significa davvero avere a che fare con il più mostruoso dei criminali: un assassino seriale e stupratore di minorenni. Con la sua follia omicida, con le sue fantasie perverse, con il suo sistema di valori completamente opposto a quello ordinario. E mostrarci l’impatto che questo concentrato ontologico di Male può avere su un individuo normale. 

Il bello della nostra storia è questo: che Jimmy Keene non è uno stinco di santo. Ma neanche solo un cittadino come gli altri. È un narcotrafficante vanesio, imbrillantinato e palestrato. Un medio criminale superficiale e materialista. Insomma un bello stronzo, a dirla poeticamente. Ma questo rende ancora più affascinante il suo viaggio infernale, la sua discesa progressiva in un incubo a occhi aperti. E a occhi chiusi, perché poco alla volta l’orrore che assorbe dal suo nuovo “amico” entra sotto la sua pelle, ne distorce la visione, finisce per dominare i suoi sogni. 

Giorno dopo giorno, il sorridente e muscoloso Jimmy sembra farsi più piccolo, più vulnerabile. Mentre lo sgraziato e tarchiato Larry cresce, fino a diventare dominante: un buco nero la cui forza di gravità cancella ogni luce. Allo stesso tempo, mentre le allusioni si fanno racconto, la percezione delle atrocità commesse da Hall sedimenta sempre di più in Keene, e lascia scorie. Entrato in carcere solo per una rischiosa scommessa, cioè l’egoistico tentativo di trovare una scorciatoia che gli risparmi anni di galera, Jimmy finirà per prendere a cuore il caso: e soprattutto le vittime di Larry e le loro famiglie, a cui neppure il sollievo di una sepoltura è stato concesso. Un viaggio all’inferno, si diceva, che quasi lo distrugge. E però assieme un cammino di redenzione. 

Paul Walter Hauser (sinistra) è Larry Hall, Taron Egerton è Jimmy Keene (Apple TV+)

Black Bird e il ritratto “dietro le quinte” di un serial killer 

L’originalità dello show Apple risiede in questo: nel mostrarci, per così dire, il dietro le quinte di un serial killer. Diversamente dal solito, non ne vediamo gli omicidi: né nel loro compiersi né nel risultato finale. Ma del mostro sentiamo i fantasmi mentali, impariamo a conoscerli, a riconoscere la luce diabolica che anima improvvisamente l’occhio bovino di Larry quando ripensa alle sue azioni. Proprio in questa sottrazione della dimensione visiva sta la forza vera di Black Bird. È una scelta che porta conseguenze estetiche quanto morali. Non c’è “artisticità” nei gesti del killer. Non c’è carisma nella sua personalità. E non c’è neppure, per lo spettatore, la catarsi del sangue. 

Pensiamo al serial killer “buono” di Dexter, di cui abbiamo scritto qui e parlato qui nel podcast. Pensiamo all’assassino geniale ed elegantissimo, carismatico e profetico, che è il Lecter di Mads Mikkelsen in Hannibal (articolo e puntata del podcast). Non siamo neanche più di tanto dalle parti di Mindhunter, la bella serie prodotta da David Fincher che racconta la nascita storica dell’Unità di Scienze Comportamentali dell’FBI e l’invenzione concettuale del serial killer: è una delle storie che trovate nel nostro articolone sulla figura del moderno serial killer. 

Forse l’assonanza più forte è quella con la storia (vera) raccontata dal documentario I’ll be gone in the dark, di cui abbiamo scritto qui. Anche lì, la caccia a un serial killer viene fatta da una “civile”: una persona normale, moglie, madre di famiglia. E anche lì sarà pesantissimo il costo che la vicinanza con il Male finirà per reclamare. 

Perché nel buio della mente – ci ricorda Black Bird – crescono piante contorte, si nascondono mostri. 

Il serial killer, il grande cattivo del nostro tempo: leggi il nostro articolo

Serial killer: l’oscuro “eroe” del nostro tempo

Tags: biopic e storie vereBlack Birdprigioneserial killer
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Jacopo Bulgarini d'Elci

Jacopo Bulgarini d'Elci

Fondatore e direttore del progetto MONDOSERIE, prende le serie terribilmente sul serio. In una vita precedente è stato assessore alla cultura della città di Vicenza. In altre e non meno reali esistenze, si è perso sull’isola di Lost, ha affrontato i propri gemelli oscuri in Twin Peaks, ha avuto il cuore spezzato da Breaking Bad. Autore e critico tv, scrive interventi sulle trasformazioni dell’immaginario pop (Doppiozero), tiene conferenze, coordina e realizza pubblicazioni. Soprattutto, guarda e riguarda show da quasi 30 anni.

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