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Home Mondovisioni Documentari

I’ll Be Gone in the Dark, l’ossessiva caccia a un serial killer

di RDB
24/07/2021
in Documentari
Artwork: cover di I'll be gone in the dark
203
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Il male esiste ed è una persona. Anche chi non è religioso, si può trovare – nonostante le fesserie nietzschiane fatte studiare alla scuola dell’obbligo – a concordare con quanto detto se pensa davvero al concetto di serial killer. Gli assassini seriali, gli stupratori seriali, sono creature criptozoologiche – rare al punto da pensare che non esistano, che non può essere vero vi siano al mondo esseri così.

Come lo Yeti, il mostro di Lochness, il tilacino, il calamaro gigante, il Kongamato, la criptozoologia del serial killer genera studio e ossessione – soprattutto ossessione – senza fondo. L’idea di avvicinarsi sempre di più al mostro, per conoscerlo, per comprenderlo, o addirittura per acciuffarlo (anche dopo decenni…) consuma molte più menti di quanto immaginiamo. Ci sono intere sottoculture dedite ai mostri umani delle cronache degli ultimi decenni. Ci sono vite intere – e mica solo di poliziotti ed investigatori, ma di scrittori, avvocati, dipendenti di uffici pubblici, casalinghe, operai – gettate nella fornace dell’ossessione: chi ha compiuto quegli omicidi irrisolti? Dov’è ora? Riusciremo mai a capire perché lo facesse? Riusciremo mai a prenderlo e a fargliela pagare? 

I’ll Be Gone in the Dark, sette episodi usciti la scorsa estate per il canale americano HBO [e al momento in Italia non distribuito], è esattamente un documentario su quanto stiamo dicendo: una vita, bonaria e brillante, divorata dalla tarantola della caccia al killer. 

Non è la storia del mostro – il Golden State Killer, che ha commesso almeno 13 omicidi, 50 stupri e 120 furti con scasso in tutta la California tra il 1973 e il 1986 – ma dell’incredibile donna che gli diede la caccia, e lo vinse: sia pure dopo la morte. 

Una ragazza contro l’antico mostro 

Michelle McNamara, classe 1970, era una bella ragazza irish dell’Illinois. Viveva ad Hollywood, dove scriveva per TV e cinema. Qui aveva incontrato suo marito, il celeberrimo stand-up comedian Patton Oswalt: lo avete visto in moltissimi film, per esempio in Young Adult di Jason Reitman, coprotagonista di Charlize Theron. 

Michelle McNamara, autrice di I’ll be Gone in the Dark, con l’allore marito Patton Oswalt, celebre comico

Patton e Michelle avevano una figlia, e una bella vita famigliare. Michelle nel 2006 apre un sito, TrueCrimeDiary. Sotto l’ombrello di «True Crime Fiction» si intendono tutti gli scritti riguardanti omicidi e misteri realmente avvenuti, e spesso senza soluzione alcuna. 

La sua fama (e il traffico sul suo sito) esplosero quando si comprese la profondità del lavoro che stava svolgendo sul East Area Rapist («lo stupratore dell’area orienale), un violentatore seriale della zona di Sacramento degli anni Settanta. Michelle lo identificò con un altro mostro seriale, l’Original Night Stalker, e con il Visalia Ransacker: altri mostri comparsi in California nel periodo, ma che la McNamara riteneva essere la stessa persona.

Non era la prima a pensarlo, tuttavia fu la prima a poterlo dire – quarant’anni dopo! – ad alta voce: merito della serie è far vedere, grazie ad interviste opportune, come anche negli USA la macchina burocratica possa inceppare le piste giuste, persino in emergenze come quella di un tizio che entra in casa per stuprare ed uccidere. 

Foto: I’ll be Gone in the Dark
Un identikit del killer seriale in I’ll Be Gone in the Dark (HBO 2020)

I’ll Be Gone in the Dark: ossessione e trionfi postumi 

La McNamara studiò il caso per anni. I suoi diari, letti estensivamente durante gli episodi, danno conto di quanto un lavoro del genere porti via alla vita di una madre; parlare di violenze indicibili con un sopravvissuto, e poco dopo organizzare la festa di compleanno di tua figlia… 

Mise in collegamento ogni tassello. Parlò con chiunque: sopravvissuti, famigliari, poliziotti, assistenti sociali, altri scrittori interessati al caso. Visitò i luoghi del delitto infinite volte. Ad un certo punto riuscì a farsi dare scatoloni di fascicoli, vecchi di decenni, sui casi: riempivano un’auto famigliare e l’intera stanza di una casa. 

Il suo lavoro divenne un articolone per il Los Angeles Magazine nel 2013, con un seguito nel 2014. Il successo fu clamoroso. Alcuni investigatori, ancora in qualche modo attivi nel tentare di risolvere i casi, notarono la sua serietà e profondità, e cominciarono a fidarsi di lei, condividendo il materiale. Soprattutto, una grande casa editrice di Nuova York, HarperCollins, notò i pezzi e offrì un contratto per un libro. Lei accettò, conscia di quanto, sotto il peso del mistero e del perfezionismo, questo le avrebbe complicato – e infine distrutto – la vita. 

Nacque così I’ll Be Gone in the Dark: One Woman’s Obsessive Search for the Golden State Killer, tradotto in Italia da Newton Compton con il titolo Dieci brutali delitti.

Foto: I’ll be Gone in the Dark
La copertina del libro I’ll be Gone in the Dark, da cui la miniserie documentaria è tratta

Il libro divenne un New York Times Bestseller – il degno risultato dello sforzo sovrumano della McNamara, che doveva conciliare l’essere madre e moglie con l’essere cacciatrice di serial killer. Tuttavia, questo meritato successo è amaro, perché postumo. Come la vittoria più grande: la cattura del mostro – il trionfo che Michelle non ha potuto vedere, mancandolo di pochi mesi. 

La McNamara è morta nel sonno il 21 aprile 2016. Secondo l’autopsia, la sua morte è stata dovuta agli effetti di più farmaci, tra cui Adderall (stimolante anfetaminico per stare svegli e mantenere l’attenzione), Alprazolam (cioè lo Xanax, un benzodiazepinico per gli attacchi d’ansia) e l’immancabile Fentanyl, la super-eroina che sta distruggendo gli USA, e che ha ucciso Prince (fanno pensare le immagini di Michelle e il marito che vanno ad un concerto di Prince, forse uno degli ultimi, per festeggiare un compleanno). Un’overdose accidentale, ma una conferma della devastazione che farmaci e droghe stanno portando nella società americana. 

Michelle ha lasciato un marito eccezionale (il cui affetto traspira da ogni poro del film) e una bambina piccola. Tuttavia, il suo lavoro rispetto al Golden State Killer cominciava ad essere maturo. E conscio di come la tecnologia stesse cambiando i paradigmi investigativi, aprendo incredibili autostrade nella soluzione dei cold case.

Qui, sotto Patton Oswalt parla della morte della moglie, Michelle McNamara, da Conan nel 2016.

Genomica antikiller 

All’orizzonte, si affacciava intanto una nuova possibilità investigativa, di cui Michelle si interessò subito. Tutti gli americani stavano uploadando in rete il proprio DNA grazie a servizi come 23andMe ed altre aziende di analisi genomica di consumo. Gli dai un tampone della tua saliva, loro ti danno una serie di informazioni sulla tua salute (informazioni non sempre esatte) ma soprattutto ti dicono quali parenti hai in giro per il Paese: trovi sicuramente qualcuno con i tuoi geni che ha a sua volta usufruito del servizio… et voilà, ecco quello che hanno definito «un nuovo social network», la possibilità di incontrare persone in giro per il mondo con i quali, legittimamente o meno, condividiamo tratti familiari. 

L’idea investigativa era quella di prendere del materiale genetico del Golden State Killer (dietro di sé ne ha lasciato tanto…), uploadarlo nei siti di genomica di consumo, e da lì riuscire a trovare un parente cui poi sottomettere un profilo: un probabile agente delle forze dell’ordine, nato attorno agli anni quaranta, altezza medio-bassa, piccolo pene, ha vissuto nelle aree interessate dai crimini… 

L’idea, a quanto sembra, era stata presa sul serio da una genetista che lavorava con un agente in confidenza con Michelle, Barbara Rai-Venter. La Venter è l’ex moglie del pioniere della biologia sintetica Craig Venter, pioniere dello studio del genoma umano e «autore» di esseri viventi (al momento, solo batteri) interamente artificiali dotati di un genoma interamente sintetico. 

La ricerca genetica (non diversa, con tutti i dubbi possibili, da quella che portò in Italia all’arresto di Bossetti nel caso Yara Gambirasio) diede un risultato preciso. La polizia frugò nella spazzatura del sospettato, per trovare DNA da matchare con quello dell’assassino stupratore di quaranta anni prima. Beccato. 

Il Golden State Killer dietro le sbarre, dopo il suo arresto.

La giustizia finale di I’ll Be Gone in the Dark

Grazie a questi immensi sacrifici, sia pure con ritardo intollerabile, giustizia è stata fatta. 

Si chiama Joseph DeAngelo. La sua storia personale, per quanto inescusabile, aggiunge una imprevista nota di amarezza finale: assistette alla stupro della sorella ancora bambina da parte di soldati americani di stanza in Germania. 

(Sorvoliamo qui sugli abissi bioetici che si sono aperto con questo caso: è giusto, è etico, è legale che usino i miei dati genetici per arrestare un mio parente? Pur capendo di essere in era pandemica, dove lo stato di diritto è uno scherzo nostalgico, qualcuno è ancora in grado di ragionare sulla privacy?))

Il volto del male: Joseph DeAngelo, alla cui caccia è dedicato I’ll be Gone in the Dark.

La ricchezza del materiale personale offerto alla documentarista Liz Garbus dal marito di Michelle, che si apre enormemente nelle interviste agli autori, rendono questa serie un unicum, quasi un pezzo di new journalism, dove una storia oggettiva, e di rilevanza storica e nazionale se non mondiale, si fonde con il vissuto intimo di chi fa l’inchiesta. 

Cave Tarantulam 

Un film sull’ossessione della ricerca, più che sul mostro, o sul suo caso. In comparazione, bisognerebbe riguardarsi Zodiac, film di David Fincher dove il morso della tarantola – l’ossessione invincibile per trovare la verità dietro agli omicidi – colpisce il vignettista del giornale locale, finito nel labirinto del mistero di un altro mostro californiano mai catturato. 

E non crediate di essere immuni: non c’è un vaccino per la tarantola seriale. In Italia ne abbiamo una quantità: ognuno di voi ha un amico ossessionato dal Mostro di Firenze. 

La storia dell’assassino dei noviluni fiorentini viene fuori a tutti i livelli di conversazione: barzellette («perché invitano sempre il Mostro di Firenze alla feste?»), video YouTube (il Vanni che esclama toscanamente «Viv’idduce» durante il processo, non prima di aver augurato un cancro ad un ex compagno di merende), infiniti programmi di inchiesta sulla TV pubblica e privata… 

E se pensate che si tratti solo di un fenomeno zonale, vi sbagliate: dovete ricordare Thomas Harris, l’inventore di Hannibal Lecter, che presenzia a quello stesso processo (cosa avrà capito?) per poi ispirarsi in quell’Hannibal (sequel del Silenzio degli Agnelli) trasposto al cinema da Ridley Scott. E, ancora, sul mostro, articoli su articoli: l’ultima che abbiamo sentita dice, portando pure qualche strana suggestione, che Zodiac e il Mostro sarebbero la stessa persona… 

Ecco perché bisogna stare attenti: l’ossessione consuma, l’ossessione uccide. L’ossessione è killer. 

Anthony Hopkins è il serial killer Hannibal the Cannibal in Hannibal (1999)

I’ll Be Gone in the Dark. Poesia e profezia 

Ad ogni modo, riteniamo che siano di poesia altissima, e di valore umano e civile, le ultime righe del libro della McNamara, da cui la serie ha tratto e ampliato tutto. 

Michelle non sa ancora chi sia il Golden State Killer, il vertice della sua ossessione. Non sa ancora, e non lo saprà mai, che la sua cattura è imminente. Ma la sua lucidità è totale e profetica.

Un giorno, presto, sentirai un’auto accostare al tuo marciapiede, un motore che si spegne. Sentirai dei passi sul vialetto di casa. Come hanno fatto per Edward Wayne Edwards, ventinove anni dopo aver ucciso Timothy Hack e Kelly Drew, a Sullivan, nel Wisconsin. Come hanno fatto con Kenneth Lee Hicks, trent’anni dopo aver ucciso Lori Billingsley, ad Aloha, nell’Oregon. 

Il campanello suonerà . 

Nessun cancello laterale verrà lasciato aperto. Hai passato molto tempo dal saltare una staccionata. Farai uno dei tuoi respiri iperbolici. Stringerai i denti. Avanzerai timidamente verso il campanello insistente. 

Ecco come finirà per te. 

«Rimarrai in silenzio per sempre, e io me ne andrò nell’oscurità», hai minacciato una volta una vittima. 

Apri la porta. Mostraci il tuo volto. 

Cammina verso la luce.

Foto: I’ll be gone in the dark

 

Tags: documentarioI’ll be gone in the darkossessione e inquietudineserial killer
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