Gomorra – la serie (qui la puntata del nostro podcast) è attualmente lo show televisivo italiano par excellence: la migliore secondo la critica, la più vista dal pubblico, la più venduta all’estero. I numeri del suo successo sono senza precedenti. Trasmessa inizialmente su Sky Italia dal 2014 al 2021, è ormai imminente l’uscita della quinta stagione – che sarà anche l’ultimo capitolo di questa eccezionale saga gangster crime.
Al principio fu un romanzo di Roberto Saviano (il suo primo libro: Gomorra – viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, Mondadori 2006), che ha venduto 10 milioni di copie nel mondo ed è stato tradotto in 52 lingue. Segue la pluripremiata trasposizione cinematografica ad opera di Matteo Garrone (Gomorra, Fandango, 2008). Gomorra – la serie è invece una produzione Sky Atlantic, Cattleya, Fandango e Beta film; è stata distribuita in 170 paesi di tutto il mondo, superando ogni italico record e tutte le aspettative degli stessi autori. Saviano ne supervisiona ogni sceneggiatura, mentre la regia è firmata principalmente, almeno per le prime due stagioni, da Stefano Sollima (Romanzo criminale), che è anche supervisore artistico, affiancato da Francesca Comencini e Claudio Cupellini; nel corso delle successive stagioni si avvicenderanno diversi altri nomi.
Gomorra, dal libro alla serie
Dal libro alla serie, passando per il film (senza dimenticare lo spettacolo teatrale di Mario Gelardi) il soggetto ha subito una radicale metamorfosi: il racconto reportage sul complesso e tentacolare mondo della camorra è diventato un romanzo epico sul regno della famiglia Savastano, famiglia dominante nella malavita di Secondigliano. Le sue figure principali sono il padre Pietro (Fortunato Cerlino) – boss vecchio stampo che lotta ferocemente per non perdere il dominio sulla zona – e il figlio Gennaro, detto Genny (Salvatore Esposito), vero protagonista della serie assieme a Ciro di Marzio (Marco D’Amore), braccio destro del capo clan, giovane terribilmente affamato di potere.
Il che significa una fiumana di omicidi, soldi, tradimenti, sangue e proiettili: contenuti che, almeno in buona parte, trascendono quelli tipici dello scrittore Saviano. Che comunque, da consulente “ci aiuta a non semplificare, a districarci in questa realtà complessa […] perché ogni dettaglio sia credibile” dice Sollima.
“Sia chiaro, raccontiamo un’anomalia, la Campania è piena di gente perbene.” Eppure proprio l’aspetto prepotentemente epico della narrazione, inizialmente incentrata sulle sanguinose lotte di potere per accaparrarsi le piazze di spaccio di Secondigliano e in seguito tutta Napoli – solo in un secondo momento verranno approfondite le ramificazioni con il mondo degli affari e della politica – per quanto curato e dettagliato (o forse proprio per questo), ha comportato non pochi problemi nella ricezione dello show.
Scontri sanguinosi per il controllo dello spaccio di droga
E’ chiaro: rispetto al film di Garrone, la serie è in un certo senso meno astratta: si concentra molto più sulle faide familiari e sugli scontri sanguinosi che ne vengono. E questa perpetua mattanza si deve principalmente al controllo sullo spaccio di droga, vero motore economico della criminalità organizzata di Gomorra. Ogni boss gestisce una propria piazza di spaccio. Accaparrarsi le piazze significa diventare più ricchi e più forti. Così, alla fine, è tutta una questione di piazze, nelle quali scorrono fiumi di sangue.
A dire il vero, anche poco dopo l’uscita del film si ebbero nefaste conseguenze: venne commesso un duplice omicidio che ne ricalcava perfettamente una scena (quella del solarium) e alcuni attori vennero in seguito arrestati, per l’appunto, per spaccio. Se la percezione del film è stata problematica, figuriamoci quindi quella della serie, che scatenò un fiume di polemiche prima ancora della messa in onda.
Le associazioni anti camorra del territorio denunciarono il trailer poiché rappresentava Scampia come ‘il luogo del male’. Ciro Corona della coop (R)esistenza di Scampia, nell’aprile 2014 denuncia: “[…] il risultato resta un obbrobrio con scene inverosimili da film di gangster. La produzione ci disse che il copione non poteva essere stravolto perché già venduto […] resta la mitizzazione del camorrista e una spettacolarizzazione della criminalità legata al territorio.”
La produzione di Gomorra e gli appetiti della camorra
Trattandosi di grandi budget (16 milioni e mezzo di euro solo per la seconda stagione), sono migliaia le persone impegnate nella lavorazione del progetto. E proprio per evitare il rischio di infiltrazioni camorristiche la produzione decise di coinvolgere le associazioni territoriali.
“Se qualche camorrista ha visto Gomorra, probabilmente si è fatto quattro risate” dice invece Marco D’Amore (interprete e anche regista di alcuni episodi). “Quando abbiamo girato la scena della prima serie in cui, con Genny, facciamo fuori un tossicodipendente a Scampia, c’era una folla a guardarci. I ragazzini ci davano consigli, spiegavano come dovevamo impugnare la pistola, avvicinarci alla vittima e sparare: le scene che ci divertivamo a girare, le avevano viste decine di volte.”
Ad ogni modo i proprietari di ‘casa Savastano’ sono finiti sotto processo con l’accusa di tentata estorsione alla produzione della serie tv, e tre vigili sono invece accusati di essersi intascati 100 euro a testa per chiudere interamente una strada al traffico, permettendo così alla troupe di girare la scena. Poca cosa, insomma. Più pericoloso forse l’entusiasmo degli spettatori: l’attore Fabio De Caro, il cui personaggio Malammore ha l’ordine di uccidere una bambina per ritorsione, ha avuto non pochi problemi con alcuni napoletani che, a quanto pare, stentavano a separare la finzione dalla realtà.
Antieroi criminali italiani, e il raffronto con I Soprano
Torniamo al grande orgoglio tricolore, apice di una stagione seriale iniziata con Romanzo criminale (di cui abbiamo parlato qui) e proseguita con Suburra, Faccia d’angelo, Zero zero zero e, appunto, questa Gomorra. La fascinazione del male attraverso la carismatica figura dell’antieroe criminale, in opposizione alle fiction nazionali decennali tipo Distretto di Polizia, Carabinieri, il maresciallo Rocca, Don Matteo… Storie incentrate sulle forze dell’ordine o comunque su eroi positivi (dannatamente positivi). L’arrivo nel nostro paese di Sky & company (per non parlare delle successive piattaforme in streaming) ha decisamente svecchiato la concezione stessa di produzione televisiva. Che esce finalmente dall’orbita della vecchia morale salottifera, per entrare in competizione con serie americane come Breaking Bad e I Soprano.
“La verità è che ogni uomo intelligente, lei m’insegna, sogna di essere un gangster e di regnare sulla società con la sola violenza.” (A. Camus, La caduta). Proprio con I Soprano il paragone è quasi d’obbligo (la famiglia di Tony Soprano era originaria della provincia di Avellino): paradossalmente Gomorra è molto più americano di quest’ultimo. Almeno nel senso in cui da noi si intende americano: spettacolo puro con sparatorie, esplosioni, assassinii spietati e colpi di scena mozzafiato. I Soprano adotta invece una particolare lente prospettica per mostrarci la quotidianità del malavitoso e della malavita: una quotidianità fatta di piccole cose come di grandi affari, che non ha nulla di epico o di grandioso.
Alla serie di David Chase abbiamo dedicato uno speciale fatto di approfondimenti scritti e podcast, in occasione dell’uscita del film prequel I molti santi del New Jersey.
Gomorra: personaggi da tragedia che bramano il potere
Gomorra è perfettamente calata nella realtà camorristica napoletana, una realtà molto diversa da quella mafiosa siciliana e da quella della ‘ndrangheta calabrese, una realtà di cui Saviano ha pazientemente cercato di disegnare l’anima, raccontandone minuziosamente i rituali.
Ma in questa realtà i protagonisti parlano e agiscono a volte come personaggi di una tragedia greca, a volte come i cowboys dei film di Sergio Leone, a volte come i gangster dei vecchi film noir. La loro continua lotta per la scalata al potere ha qualcosa dell’Iliade di Omero e al contempo di Scarface di De Palma. Sono troppo iconici, quasi ieratici, per essere del tutto credibili. Ogni frase è una sentenza. Ogni gesto è teatro Kabuki. Non vi è niente di male in questo, sia chiaro.
Tutto avviene sempre un’atmosfera grandiosa, che si respira in ogni attentato, in ogni rapina, in ogni riunione di clan. Sembra di essere all’interno di un mondo sacro e rituale, dove il potere – per cui si è disposti a sacrificare tutto e tutti (Ciro arriva a strangolare la moglie per paura possa parlare con la polizia) – è quasi un’entità astratta, un sommo bene di stampo teologico medievale. La fame di potere è sì fame di soldi, ma prima ancora è fame di rispetto e dignità: per questo nella cultura malavitosa napoletana, a differenza delle altre due sopracitate, la ricchezza è qualcosa da esibire, addirittura da ostentare. Il quartiere deve temerti ma innanzitutto deve amarti e adorarti: la terribile guerra di Pietro Savastano contro l’Alleanza, nella seconda stagione, è una guerra di vendetta, una guerra per motivi personali piuttosto che economici.
Realismo, manierismo, melodramma e stereotipi (SPOILER IN QUESTO CAPITOLO!)
Gli affari sono affari, ma a Napoli il cuore (‘o core) viene prima di ogni cosa. Questo è l’aspetto, per così dire, esasperatamente melodrammatico dello show che tanto piace all’estero. Tanto da creare il seguente paradosso: Gomorra piace agli americani per questa stereotipata italianità e agli italiani per la sopracitata americanità.
In questa serie, in cui convivono comunque felicemente realismo e manierismo, la mitizzazione delle guerre di camorra avviene attraverso l’uso di un linguaggio senza filtri – il napoletano stretto (anzi il dialetto di Scampia) – e attraverso la continua esibizione di una violenza senza filtri. Protagonista assoluta di ogni puntata è la morte, in un crescendo di omicidi per cui nessuno sembra destinato infine a sopravvivere. Perché in Gomorra muoiono praticamente tutti. L’unica coppia che finora si è salvata è quella di Gennaro e Ciro (soprannominato – e a ragione! – l’Immortale). Una coppia fin dall’inizio in bilico tra amore e odio: prima sono come fratelli, poi si sparano, si ammazzano i congiunti, si cercano, si minacciano, si aiutano…
Bisogna qui ricordare come Ciro fosse stato (apparentemente) ucciso proprio da Genny, nel finale della terza stagione. Poi, a sorpresa, prima di quest’ultima imminente, esce nei cinema un film – L’Immortale, 2019, diretto dallo stesso Marco D’Amore – che racconta come Ciro sia invece miracolosamente sopravvissuto (molto americano). La sua storia prosegue nella malavita della Lettonia, assieme a compaesani, russi e fantasmi del passato. Alla fine, morti come sempre tutti gli altri, arriva Genny: i due si guardano, in silenzio (molto melodrammatico). Fine del film, e inizio della quinta stagione.
I molti (e morituri) personaggi di Gomorra
L’elenco dei personaggi di Gomorra sarebbe assai lungo. Alcuni di loro sono davvero indimenticabili: penso a Salvatore Conte (Marco Palvetti), ossessionato dai trans e dalle processioni religiose, che fuma la sigaretta elettronica come voto di rinuncia; a Scianel (Cristina Donadio), che trascorre i pomeriggi facendo shopping nella boutique o giocando a carte con le amiche, mentre di sera, ascoltando musica neomelodica partenopea con le cuffie, balla da sola e mima il cantato usando un vibratore assai chic come microfono; a Valerio (Loris De Luna), ribattezzato ‘o Vucabulà, un ragazzo della Napoli bene, irresistibilmente attratto dalla gang di Forcella e dal vortice del malaffare… ‘O Principe, ‘o Nano, ‘o Mulatto, ‘o Zingariello, ‘o Trak – uno dei Ragazzi del Vicolo (’e guagliune d’ ‘o vico), questi i suggestivi nomi di altri pittoreschi e morituri personaggi della serie.
La trama, invece, è cosa difficile da riportare, anche solo per brevi cenni. Basterà sapere che a Napoli gli equilibri cambiano in continuazione e il doppiogioco è all’ordine del giorno. E che Gennaro Savastano, da bamboccione viziato qual’è al principio, diventa magicamente boss spietato dopo un provvidenziale viaggio in Honduras, in cui la madre l’ha mandato per contrattare con il feroce cartello del posto. Da lì ritorna con una vistosa cresta alla moicana e come prima cosa ammazza il nuovo cane da guardia di casa sua. Con il procedere delle stagioni si esce da Scampia – Secondigliano e si entra in una guerra che ora abbraccia tutta Napoli. Entrano in scena nuovi personaggi (essendo quelli vecchi quasi tutti morti), che vale la pena nominare anche solo per gli adorabili soprannomi: Sangueblù, ‘o Sciarmante, i fratelli Capaccio, ‘o Stregone.
Da Scampia alla conquista del mondo
“La verità è che per quelli come noi i sogni non esistono” dice Gennaro sul finire della quarta stagione di Gomorra, che lo vede nuovamente trasformarsi da imprenditore occulto, intento a costruire il secondo polo aeroportuale più grande della Campania, a boss latitante rinchiuso in un bunker, come fu il padre. Il tutto passando anche per le strade di Londra, per le quali il nostro si aggira minaccioso e schiumante rabbia: “Where is my gold?” è il leitmotiv della puntata girata nella capitale inglese.
Gli spettatori si sono nel frattempo moltiplicati a dismisura, gli attestati di stima da parte di altri autori e attori si sprecano, vi sono orde di appassionati ed estimatori in tutti i continenti. Soprattutto in America: Fortunato Cerlino (Don Pietro) compare nella serie Hannibal (è Rinaldo Pazzi, l’ispettore italiano della terza stagione), mentre Salvatore Esposito (Gennaro Savastano) è uno dei protagonisti della quarta stagione di Fargo (è Gaetano Fadda). L’eccellenza italiana pare dunque continuare a brillare nell’olimpo televisivo internazionale, pur con qualche strabordante cedimento narrativo.
Del resto questo non è certo un affresco neorealista (o qualsiasi definizione si voglia usare), come invece era il film di Garrone. Basterebbero la morte e la resurrezione di Ciro l’Immortale ad attestarlo. Però ripeto: è una scelta stilistica. E in arte lo stile è tutto. Anzi, è ‘tutte cose‘. Tanto nel fantastico è ormai virata questa storia, che nel finale si introduce un misterioso personaggio che incute timore al solo pronunciarne il nome: il Maestrale. Figura che si ispira chiaramente a Pasquale Barra, noto come il boia delle carceri, un affiliato di Cutolo che negli anni ’80 arrivò ad azzannare il cuore del poveraccio che aveva ucciso, o meglio dilaniato, in prigione.
Gomorra: cosa possiamo aspettarci dal finale?
Siamo arrivati allo scontro finale – così recita il trailer dell’ultima stagione. Perché tutte le storie, prima o poi, devono arrivare ad una fine. E ormai tutti i temi tipici della camorra, dagli illeciti alle faide, sono stati già ampiamente trattati.
Con scene poste in luoghi talmente fatiscenti da risultare addirittura commoventi. Con dialoghi che a tratti diventano vera e propria musica. Una colonna sonora – ad opera dei Mokadelic – coinvolgente, ipnotica, talvolta straziante – talvolta neomelodica, del tipo trap alla Mario Merola. Con attori di prima classe, nessuno dei quali proveniente dal mainstream. Con una regia indiscutibilmente valida. E infine con un cuore passionale, esagerato, teatrale. Con un cuore, appunto, partenopeo.
“Gomorra – la serie interpreta la grammatica della violenza ma anche del business e del profitto” ha detto Saviano. E che violenza. E che profitto. Comunque è verissimo: gli affari saranno affari, ma a Napoli ‘o core viene prima di ogni cosa.
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