I Soprano (The Sopranos) è una serie televisiva statunitense (HBO, 1999 – 2007), ideata e prodotta da David Chase per l’arco di 6 stagioni (con un totale di 86 episodi), in Italia su Sky e NOW. I Soprano è considerato non solo un indiscusso capolavoro (al suo debutto, secondo il New York Times era “l’opera della cultura pop più importante dell’ultimo quarto di secolo”), al pari di Twin Peaks, Breaking Bad e pochissimi altri, ma anche un vero e proprio spartiacque culturale. Che, come raccontiamo qui nel podcast, dà inizio alla moderna serialità televisiva, a cui conferisce per la prima volta la piena dignità autoriale – prerogativa fino ad allora del solo cinema.
Volendo essere più precisi, Breaking Bad non sarebbe potuto esistere senza I Soprano, così come I Soprano senza Twin Peaks, che risale a quasi una decina di anni prima, e che può essere considerata la prima vera opera autoriale del piccolo schermo, nonostante le note vicissitudini produttive che impedirono a David Lynch di raggiungere una perfetta unità stilistica (come invece accadrà nella terza stagione da lui interamente diretta, 25 anni dopo).
A 14 anni dalla conclusione della serie-capolavoro, l’universo dei Soprano è tornato ad accendersi grazie al film The Many Saints of Newark (che abbiamo raccontato qui). Prequel che racconta le origini della famiglia, scritto dallo stesso Chase e con Michael Gandolfini nel ruolo che fu di suo padre.
Di cosa parla I Soprano
La celeberrima serie ruota intorno alla vita di Anthony ‘Tony’ Soprano, un boss della mafia del New Jersey di origini italiane, ruolo che ha consacrato l’attore James Gandolfini, vincitore di numerosi premi (Emmy Awards, Golden Globe e altri riconoscimenti; lo stesso show ha ricevuto tutti i più importanti premi in ambito televisivo). Tony Soprano – T. per i suoi compagni più fedeli – è protagonista assoluto della narrazione anche se non lo è di tutti gli episodi, che mostrano le vicende dei personaggi che orbitano attorno al suo mondo: nell’ambito malavitoso come in quello famigliare. Perché I Soprano non si limita ad essere una gangster story ma racconta – attraverso il prisma psicologico di questo boss spietato e affettuoso padre di famiglia – l’anima complessa e contraddittoria dell’America tutta.
L’utilizzo della psicanalisi è senza dubbio una delle intuizioni più brillanti della scrittura di questa serie: Tony è fin dal primo episodio vittima di un attacco di panico, a cui ne seguiranno parecchi altri. Decide quindi in gran segreto di entrare in terapia, divenendo paziente della dottoressa Melfi (Lorraine Bracco), alla quale confesserà paure e desideri, angoscia e sensi di colpa, costringendosi ad aprirsi emotivamente – a lei e a noi – come non mai in vita sua. E come mai avrebbe potuto sognarsi di fare un boss della criminalità organizzata italoamericana, cui non era consentito mostrare debolezza alcuna.
Per questo non erano tollerate, nell’organizzazione mafiosa tradizionale, la tossicodipendenza o l’omosessualità, ovvero qualsiasi comportamento rendesse la persona ricattabile o debole agli occhi degli altri. Piagnucolare davanti ad uno strizzacervelli, con il rischio di spifferare segreti di famiglia (per usare un registro linguistico a tema) faceva sicuramente parte degli atteggiamenti non consentiti.
Terapia e pallottole, anatre e inconscio
Le sedute con l’analista diventano dunque un mezzo per mostrarci l’umanità, altrimenti irrimediabilmente nascosta, di T., come abbiamo raccontato anche qui in una puntata del podcast. Così come un mezzo per rendere lo stesso T. più umano, togliendolo da quel romantico piedistallo che vede i gangster come uomini forti, tutti d’un pezzo, incapaci di provare sentimenti – prerogativa esclusiva, sempre secondo questa logica, dell’universo femminile. Non è un caso che il mito personale di Tony Soprano sia Gary Cooper, che proprio quel tipo di iconici personaggi incarnava, e che più di una volta T. menziona, rimpiangendo che non esistano più americani così…
Il mondo interiore di T. viene quindi in tal modo sviscerato e tutte le sue scelte e azioni vengono simbolicamente narrate, avendo sempre cura di mostrarne le ripercussioni nella sua coscienza e, talvolta, nel suo subconscio. I simboli sono sparpagliati nella storia attraverso ricorrenze, allusioni, rimandi interni e metafore – ad esempio le anatre nella piscina della prima puntata (E1 S1). In molti altri episodi poi si ripercorrono i ricordi dell’infanzia (attraverso flashback) o ci si immerge addirittura nei sogni di Soprano per scandagliare le motivazioni nascoste dietro alcune azioni del boss di Newark. Oppure per sublimare, con tutta la libertà associativa ed espressiva propria dell’attività onirica, le contraddizioni del suo singolare essere.
Ancora una volta si deve tornare a Twin Peaks e alla sua audace e innovativa rappresentazione dell’inconscio attraverso un inedito linguaggio simbolico e allegorico. Una potente intuizione artistica che ha profondamente segnato il destino delle serie televisive successive, a partire proprio da I Soprano che, nella prospettiva del simbolismo dell’inconscio, ne raccoglie a pieno titolo l’eredità.
Tony Soprano, un re nudo tra normalità e violenza
Un essere singolare, si diceva, instabile, ambiguo e insaziabile, alla ricerca di un’impossibile conciliazione tra il ruolo di capomafia e di benestante capofamiglia. Di Anthony verrà scandagliato praticamente ogni aspetto della quotidianità, esacerbandone il lato grottesco: quello di un padre in conflitto con il problematico figlio adolescente; o di un marito perennemente sull’orlo della separazione dalla moglie a causa delle sue continue infedeltà; o anche soltanto di un uomo che impreca perché gli si rompe lo scaldabagno, ignaro che l’FBI stia ascoltando le sue imprecazioni per mezzo di cimici nascoste in casa…
Insomma, Tony Soprano è un re nudo. Assieme a tutta la cerimoniale pompa magna propria dell’ambiente mafioso – i vestiti sartoriali, le cene luculliane, le vistose e chiassose commari (ossia le amanti) ecc. – vi è da una parte tutta la squallida e sporca iperviolenza che questo stesso mondo sorregge. Dall’altra l’assoluta normalità di un uomo che tornato a casa smette i panni del boss per indossare pantofole e vestaglia di un tizio bulimico e in sovrappeso, piuttosto volgare e ignorante, inevitabilmente schiavo dei suoi pregiudizi, in un mondo (quello dell’11 settembre, della guerra al terrore ecc.) che sfugge alla sua comprensione.
Mafia, famiglia, società borghese
T. rappresenta, per certi versi, il tipico americano borghese e conservatore che non accetta o che fatica ad accettare qualsiasi diversità razziale e culturale: non tollera l’idea che sua figlia stia con un ragazzo di colore, o che possa esistere altra sessualità oltre quella etero; qualsiasi discorso di stampo anche solo vagamente filosofico non è per lui che un’inutile perdita di tempo ecc.
Eppure lui stesso, progressivamente, soprattutto attraverso i colloqui con la dottoressa Melfi, si aprirà sempre più alla riflessione sull’enigma del suo groviglio interiore e sul peso del suo retaggio. Divenendo – come altrove è stato definito in maniera brillante il suo personaggio – una sorta di “Emma Bovary televisiva”.
Il passaggio da omicidi ed esecuzioni a sangue freddo a piccoli e micragnosi problemi della vita di tutti i giorni avviene senza soluzione di continuità. Sempre affiancato, come si diceva, da un sapiente uso del simbolismo che tiene continuamente vivo e aperto il legame tra le azioni di T. e ciò che accade dentro T. – gli ambiti principali essendo il lavoro per così dire e la famiglia, senza poi dimenticare i numerosi momenti trascorsi in compagnia delle amanti. Così come spesso le immagini delle conseguenze sulla società delle sue attività criminali – una società resa in tal modo più povera, più degradata e più violenta – sono affiancate a quelle del lussuoso tenore di vita dei Soprano: la villa con piscina, le macchine sportive, gli abiti firmati…
James Gandolfini spiega il successo dei Soprano:
I personaggi che popolano il mondo dei Soprano
Oltre alla moglie Carmela (Edie Falco), che vive riccamente e non senza angoscia in una sorta di voluta ignoranza delle reali occupazioni del marito, vi sono la primogenita Meadow (Jamie-Lynn Sigler) e Anthony Junior (Robert Iler), che vedremo letteralmente nel corso delle sei stagioni trasformarsi da bambino in giovane uomo. Grande importanza ha anche una delle due sorelle di Tony, la pittoresca Janice (Aida Turturro), in perenne litigio con il fratello. Fondamentale è infine, nelle prime due stagioni (anche se si trascinerà fino alla fine) il rapporto con la madre Livia (Nancy Marchand), complessa personalità borderline incapace di amore – come verrà definita durante le sedute.
E, soprattutto, quello con Zio Junior, Corrado Junior Soprano (Dominic Chianese), il fratello di suo padre (morto molti anni prima), per il quale nutre un sincero affetto ma con cui è in contrasto per questioni di rivalità e di potere all’interno della famiglia Di Meo – la famiglia mafiosa imperante nel New Jersey.
L’altra famiglia, quella mafiosa, vede spiccare i personaggi di Silvio Dante (Steven Van Zandt, chitarrista di Bruce Springsteen!), fedele consigliere della famiglia, Paulie Gualtieri (Tony Sirico, vero ex criminale!), Sal ‘Big Pussy’ Bonpensiero (Vincent Pastore) e, soprattutto, di Christopher Moltisanti (Michael Imperioli), cugino di Carmela che Tony considera come un vero e proprio nipote e a cui guarda come ad un successore. Ognuno di questi nomi ha un preciso profilo psicologico e un’evoluzione narrativa profonda e potente. Con ognuno di loro Tony ha un rapporto unico, segnato dalla pericolosa miscela di amicizia e sudditanza nei suoi riguardi.
Tra gli altri – e sono davvero tanti – personaggi che gravitano dentro o intorno alla famiglia vi sono Ralph Cifaretto (Joe Pantoliano), bizzarro capomandamento disprezzato dal boss, Tony B. (Steve Buscemi), cugino di T. finito in galera al suo posto e Artie Bucco (John Ventimiglia), compagno d’infanzia di Tony e gestore dapprima del ristorante Vesuvio, cui seguirà, dopo un incendio, il nuovo Vesuvio – uno dei ritrovi preferiti della famiglia. Gli altri ritrovi sono Satriale, una macelleria il cui retrobottega è il loro diurno quartier generale e il Bada Bing, il club di spogliarelliste gestito da Silvio Dante (una delle poche licenze creative della sceneggiatura: nello stato del New Jersey non si potrebbero infatti vendere alcolici nei locali con spettacoli di nudo).
Concludo questa veloce e approssimativa carrellata ricordando la presenza dell’immancabile FBI, prevalentemente nei panni dell’agente Harris (Matt Servitto); delle amanti di T. – su tutte Gloria Trillo (Annabella Sciorra); e, per chiudere, di una delle Cinque Famiglie di New York, quella con cui Tony Soprano e compagnia hanno più rapporti, la famiglia Lupertazzi, con i personaggi di Johnny ‘Sack’ Sacramoni (Vincent Curatola) e Phil Leotardo (Frank Vincent). Rapporti finanziari e sanguinolenti, di affari e di reciproci attentati, of course.
La rilettura del mito mafioso dopo Coppola e Scorsese
Tutto questo affresco della malavita mafiosa tra Newark e New York, ispirato per lo più alla realtà allora esistente, trascende in una narrazione di tipo antropologico: operazione iniziata al cinema da Martin Scorsese con l’indimenticabile “Quei bravi ragazzi” (1990), che già incrociava l’epica gangster con la quotidianità degli affiliati. Questo film, senza dimenticare Il Padrino di Francis Ford Coppola (film culto dello stesso Soprano), viene omaggiato più volte. Ad esempio la scena iniziale in diverse stagioni, l’uscita mattutina di Tony sul vialetto di casa per prendere il giornale in accappatoio, riprende pari pari il finale del film, in cui il protagonista Henry Hill (Ray Liotta), dopo essere stato messo sotto protezione testimoni e aver abbandonato la vita sfarzosa da criminale, compie la medesima azione sottolineando di essere diventato uno come tutti gli altri, una nullità.
Allo stesso Ray Liotta Chase aveva pensato all’inizio come protagonista della serie. Un ultimo esempio riguarda la scena in cui Christopher spara al piede di un giovane garzone di pasticceria (E8), richiamo di una scena assai simile del film, in cui Tommy De Vito (Joe Pesci) spara al piede di un giovane barista – interpretato proprio da Michael Imperioli! Per chiudere la questione, basti dire che ben 27 personaggi della serie sono affidati ad attori comparsi in Quei bravi ragazzi: in un caso come nell’altro, il casting ha privilegiato attori italoamericani.
Nella fattispecie per I Soprano sono stati scelti volti e corpi particolarmente rivelatori di una volontà di rappresentazione grottesca dei mafiosi del New Jersey, e questa stessa logica è stata seguita per vestire e acconciare gli appartenenti al clan. Stesso discorso per la loro volgarità linguistica, spesso sgrammaticata.
Le ansie degli italoamericani contro I Soprano
Questo ha fatto sì che fin dagli esordi la serie attirasse su di sé pesanti critiche, soprattutto dall’ambiente italoamericano. Inutile forse far notare che quello stesso ambiente, nella serie, è dipinto con ben altre tinte quando si mostra la vita privata della dottoressa Melfi, anch’essa di origini italiane.
Sembrerebbe comunque che questo problema – o finto problema – sia stato percepito anche da noi, dato che in Italia il successo mondiale dello show non è stato replicato. Addirittura Gianfranco Fini, invitato al Columbus Day del 2004 e all’epoca vicepresidente del Consiglio dei Ministri, ha dichiarato: “Gli italoamericani sono una forza positiva e nessuna serie televisiva può cancellarlo”… La risposta del creatore de I Soprano a tal riguardo è molto chiara: “Questa è una storia sull’America. Chiunque la segua con un briciolo d’intelligenza lo capisce subito. È una storia che riguarda tutti. Chi si lamenta è un fanatico dell’etnia”… Non occorre aggiungere altro.
David Chase, al di là dello scompiglio critico che ogni opera degna di tal nome porta con sé, è riuscito – per la prima volta – a realizzare un grande romanzo seriale, in cui l’agghiacciante banalità del male viene descritta in ogni suo dettaglio attraverso la creazione di un titanico personaggio protagonista – Tony Soprano – psicologicamente analizzato come non era mai stato fatto prima, infrangendo e riscrivendo così le regole di ogni narrazione televisiva successiva.
I Soprano: la serialità al suo massimo?
Anche la colonna sonora di questo show, i cui pezzi sono spesso parte della simbologia di cui sopra, è un gioiello a parte: la scelta delle musiche, di ogni genere (dalla lirica al pop, dal blues al rap) è stata personalmente supervisionata dall’autore dello show, con la preziosa consulenza di Steve Van Zandt, il chitarrista della mitica E Street Band, scelto per il ruolo di Silvio perché il suo volto – stampato sulle copertine dei dischi incisi con il Boss – aveva molto impressionato lo stesso Chase.
La celebre canzone della sigla d’apertura è un remix (Chosen One Remix) di “Woke Up This Morning” (Alabama 3). Una particolarità della sigla: dopo il 9/11 il dettaglio delle torri gemelle visibili dallo specchietto retrovisore dell’auto guidata da Tony Soprano è stato tolto.
Un dettaglio? Sì, un dettaglio che esprime l’ambizione di questa serie di volere essere al passo con i tempi, con l’attualità (di allora). Una dichiarazione di intenti che ha effettivamente lasciato il segno: le serie televisive, da allora, possono raccontare il presente con la stessa forza autoriale che era appannaggio esclusivo del cinema. La saga de I Soprano ha affrontato, prima di tutti, temi fino ad allora tabù per il piccolo schermo, e lo ha fatto con una potenza e una maturità stilistica che sono tutt’ora un modello a cui fare riferimento.
Nel 2016 la rivista Rolling Stone l’ha eletta al vertice delle serie di ogni tempo. Non è una questione di gusti: è invece la decisa affermazione di cosa significhi esprimere al massimo il potenziale narrativo insito nella natura stessa di una serie televisiva. Perché quando una storia riesce a penetrare pienamente il suo presente, allora diventa squisitamente inattuale (nel senso di Nietzsche) – diventa cioè un classico senza tempo.
Persino il finale dell’ultima stagione ha saputo sconvolgere i meccanismi narrativi dell’epoca, proponendo una situazione filmica sospesa tra sogno e ‘realtà’ – con una carica di ambiguità tale da riuscire a sospendere ogni possibile giudizio, la fine stessa essendo un nulla di fatto, un vuoto nero molto più significativo di qualsiasi gesto o parola, di qualsiasi azione o rappresentazione. Questo finale è stato oggetto di infinite discussioni tra amatori e critici, dimostrando ancora una volta come un’opera riuscita abbia il potere di suscitare emozioni e pareri contrastanti.
L’incredibile parabola de I Soprano si apre con delle anatre in una piscina e si chiude con e nell’oscurità. Avvicinando così questa serie – volendo fare un paragone azzardato ma assai esplicativo – molto più all’Ulisse di Joyce che a Baywatch o Beverly Hills 90210, per citare due tra gli show televisivi più seguiti degli anni ‘90.
Ascolta la puntata del podcast dedicata a I Soprano!
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