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Omicidio a Easttown, specchio lancinante di un’America ferita

La miniserie del 2021, vincitrice di 4 Emmy tra cui per la strepitosa Kate Winslet, ridefinisce al femminile il genere investigativo - come True Detective non ha saputo fare

di Jacopo Bulgarini d'Elci
04/01/2025
in Articoli
Cover di Omicidio a Easttown per Mondoserie
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Mi sono trovato a ripensare più volte, in questi mesi, a Omicidio a Easttown. La magnifica miniserie in 7 episodi del 2021 (Sky, NOW), che all’epoca aveva fatto gridare me – e più o meno tutti – al capolavoro. La si era amata perché matura, intelligente, complessa, capace di un approccio anti-retorico al genere investigativo. E perché aveva al centro una delle performance più eccezionali viste in tv. Quella di Kate Winslet nei panni della protagonista, che nella versione originale dà anche il titolo alla serie: Mare of Easttown. Una detective segnata dalle sconfitte, che cerca di risolvere un caso che la tormenta. Mentre, allo stesso tempo, tenta di salvare quel che resta della sua vita.

Ci ho ripensato guardando The Penguin, la bella serie che esplora il sottomondo cupo e brutale di una Gotham senza supereroi, e di cui ho scritto qui. A legare le due opere, apparentemente assai distanti, la regia sapiente di Craig Zobel. Capace in entrambe di un controllo meticoloso su materie scivolose. E di una sensibilità che trasforma le atmosfere in voci, quasi in personaggi invisibili – cioè spettri.

Ma ci ho ripensato anche per colpa di True Detective, o meglio della sua quarta stagione, Night Country, così detestabile che – a furia di rimuginarci sopra – da mesi non riesco a concludere l’articolone sulla serie antologica investigativa a cui sto lavorando. Ebbene, scrivendo di Night Country, il critico Sonny Bunch si è chiesto perché HBO non abbia semplicemente permesso a Issa López, la nuova showrunner, di creare una serie investigativa autonoma, invece di appesantirla con le aspettative di un “sequel”. Citava proprio Omicidio a Easttown come esempio di uno show che, libero dal peso di un franchise, ha saputo ridefinire al femminile il genere investigativo, costruendo un racconto intimo e universale al tempo stesso.

Chi, cosa, come di un gioiello targato HBO

Omicidio a Easttown è una miniserie prodotta da HBO e andata in onda nel 2021. Creata da Brad Ingelsby, che ne ha scritto con grande sensibilità tutte e 7 le puntate, è stata interamente diretta da Craig Zobel. Regista il cui tocco si era già fatto notare in serie come The Leftovers e Westworld, prima di dirigere in toto la già citata The Penguin. Ambientata nei sobborghi di Philadelphia, la serie è stata girata nella Pennsylvania orientale, conferendo autenticità visiva e culturale alla narrazione.

Il cast è guidato da una straordinaria Kate Winslet, che interpreta Mare Sheehan, una detective segnata da lutti personali e fallimenti professionali. Accanto a lei spiccano Julianne Nicholson (Law & Order: Criminal Intent), Evan Peters (Dahmer), Jean Smart (Hacks), Guy Pearce, David Denman (The Office), tutti lodati per le loro interpretazioni. 

La serie ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra cui quattro premi pesanti agli Emmy 2021: miglior attrice protagonista per Kate Winslet, miglior attore non protagonista per Evan Peters, miglior attrice non protagonista per Julianne Nicholson e miglior fotografia.

Dal punto di vista critico, Omicidio a Easttown è stata accolta come un capolavoro. La combinazione di una scrittura incisiva, una regia raffinata e interpretazioni di altissimo livello ha permesso alla serie di stagliarsi in un panorama televisivo sempre più affollato. E, non per caso, di finire per essere spesso citata ad esempio di come il genere investigativo possa rinnovarsi e raccontare storie umane complesse. Con in più, come si diceva, una radicale – e riuscitissima – virata al femminile di un genere usualmente e tradizionalmente maschile.

Di cosa parla Omicidio a Easttown

Di solito all’inizio del racconto si dice: “nella ridente cittadina di… la vita scorre tranquilla”. Ma Easttown è una valle di lacrime, e lo vediamo chiaramente fin dall’inizio. Collocata nei sobborghi di Philadelphia, Pennsylvania, nell’America profonda che ha conosciuto la crisi verticale della de-industrializzazione, Easttown non è ridente neanche nei suoi giorni migliori. 

Sulla piccola comunità, poi, incombe lo spettro angoscioso di un caso non risolto: la scomparsa di una ragazza, svanita un anno prima, mai ritrovata. La detective Mare Sheehan ha indagato sul caso, ma senza successo: mettendo in crisi la sua immagine di brava poliziotta. 

E anche di eroina locale: 25 anni prima, era stata protagonista di un grande gesto sportivo, regalando alla squadra locale la vittoria nel campionato statale di basket liceale. Una piccola cosa altrove, ma non lì, dove ancora la chiamiamo con l’appellativo che si conquistò sul campo: Lady Hawk. 

Oggi però Mare è una poliziotta disillusa, stremata, indurita dalla vita. La morte di un figlio adolescente, drogato e suicida, le ha lasciato in eredità un divorzio doloroso e un nipotino che cresce assieme all’altra figlia. Ma il bambino è conteso dalla madre, l’ex compagna tossicodipendente del figlio defunto di Mare, che ha iniziato una battaglia legale per l’affidamento. Intanto l’ex marito di Mare si sta per risposare, essendo riuscito a fare ciò che per lei è stato impossibile: rifarsi una vita, andare avanti.

È in questo contesto ben poco allegro che il brutale omicidio di una giovanisisma ragazza-madre riapre il caso irrisolto. E scatena nella cittadina tensioni, violenze, reazioni a catena. 

Un’America senza sogni, tra alcool e miserie

Il mondo di Omicidio a Easttown è una comunità di miserie, di storie individuali e collettive di sconfitte. Accomunata alla fine solo dal dolore – ma più spesso divisa dal rancore. È l’America profonda che stiamo meglio imparando a comprendere in questi anni, ed è uno shock per chi pensa agli States secondo gli schemi di un immaginario ancora forte, seppur forse inerziale. Perché se uno cercasse tracce dell’American Dream, qui ne troverebbe solo brandelli. Ombre. Echi di un passato lontano. Forse, falsi ricordi.

Non ci sono sogni a Easttown: costano troppo, e nessuno se li può permettere. È un problema di povertà, una povertà quasi tangibile e al contempo terribilmente diffusa. La classe media è scomparsa, travolta dalla crisi, da decenni di progressiva, inarrestabile, de-industrializzazione.

Foto: Omicidio a Easttown
Adolescenti rabbiosi, cresciuti troppo in fretta, senza speranze né prospettive

Ma è un problema anche di ignoranza: così presente da poterla quasi vedere. La stessa che crea adolescenti che diventano genitori troppo presto. Prima di essere in grado di prendersi cura di figli che diventeranno, come in una catena del fallimento, a loro volta emarginati fin dalla nascita. 

Ed è un problema di alcool, e di cibo spazzatura. Pasti precotti anziché la cena tutti assieme. E l’onnipresente bottiglia, che racchiude non la promessa del piacere ma la ricerca dell’oblio. La speranza del riscatto, della fuga verso un futuro migliore, è poca e rara.

In un certo senso, Easttown è la degenerazione della Lynchtown, la cittadina di provincia che nasconde oscuri segreti popolarizzata dalle opere di David Lynch: qui non c’è neanche la felicità e serenità di superficie di Twin Peaks, o della Lumberton di Velluto Blu. Forse assomiglia alla nuova Twin Peaks, quella del 2017, quella di un mondo sprofondato nelle tenebre, senza più torte di ciliegia e caffè fumanti a consolarci nella notte. 

Un approccio anti-retorico al genere giallo  

Proprio come la bella, fredda, fascinosa miniserie danese The Investigation ha fatto quasi in contemporanea (fine 2020), Omicidio a Easttown smitizza il genere giallo.

Da un lato ne destruttura la retorica e i cliché, a partire dall’eroismo del protagonista: quauna radicale anti-eroina. Mare non è solo una donna sconfitta dalla vita: è pure corresponsabile del degrado morale del mondo che abita. Una poliziotta capace di commettere un reato gravissimo: nascondere droga nell’auto della ex nuora ex tossicodipendente, per vincere la battaglia legale per l’affidamento del nipote, figlio del figlio che ha perduto anni prima. E si capisce facilmente, anche grazie alla meravigliosa potenza infusa al personaggio da Kate Winslet, che questa detective è capace di brutalità, di durezza estrema, persino di violenza.

Ma dall’altro lato c’è anche la mortificazione della valenza terapeutica o meglio catartica del giallo. Quell’idea, che è vecchia almeno come lo Sherlock Holmes di Conan Doyle, per cui il delitto è come una ferita nel corpo sociale: e l’indagine razionale del detective è un modo per ricomporre la frattura, assicurando il colpevole alla giustizia. Un tema che abbiamo analizzato in questa riflessione sulla crisi del giallo classico. Ebbene, non c’è catarsi a Easttown. Non c’è redenzione. E anche la soluzione del mistero, quando arriva, non porta con sé niente da festeggiare, ammantata com’è di altra sofferenza. 

Né si respira, in questa serie, la grandezza speculativa e filosofica di True Detective, anch’essa incentrata su un intreccio possente e doloroso tra indagini e vita, tra ossessioni investigative e ferite biografiche. Qui, davvero, siamo persi esclusivamente in una nebbia di medietà e di squallore. In cui la realtà è insopportabile. La vita fonte di infinite sofferenze. L’errore, per tutti, sempre in agguato, sempre possibile.

In Omicidio a Easttown, solo il dolore accomuna le persone

Una storia come questa funziona solo se la sua resa è perfetta. Servono attori solidissimi per rendere credibile un cocktail che basterebbe poco a trasformare in melodramma. Qua, per fortuna, lo sono tutti. E, sopra tutto e tutti, Kate Winslet. Forse solo Meryl Streep è sembrata in alcune sue vette performative capace di scomparire così tanto dentro il personaggio, di farcelo sentire tangibile e reale. 

Per l’attrice britannica di Titanic, Se mi lasci ti cancello, Steve Jobs è probabilmente la performance migliore di una carriera pur molto ricca, e in consistente crescita negli anni. 

Una prova eccezionale e sconvolgente, che negli sguardi, nella smorfia amara, nei movimenti di Mare riesce a trasmetterne il blocco emotivo, la rabbia repressa, la tenacia, la spigolosità, la caparbietà, la costante e sfibrante sofferenza . 

Solo la condivisione del dolore può essere un ponte tra gli sconfitti di Omicidio a Easttown.

Perché nel mondo di Easttown, in questo sottomondo a cui la nostra realtà inizia preoccupantemente ad assomigliare sempre di più, poche cose creano legami e ponti tra i personaggi. Forse solo il dolore – quando non si trasforma o riduce in rancore – può accomunare questi caratteri marginali. Sconfitti da una vita a cui non chiedevano sogni poi così grandi: la solidità della famiglia, il calore di una relazione, la speranza dei figli. Speranze modeste, eppure sempre disattese.  

Resta allora, di tutti i sentimenti umani, appunto l’accettazione condivisa del dolore, la simpatia nel suo etimo: soffrire assieme. 

In fondo come in una tragedia greca, il cui grande insegnamento continua a stagliarsi sull’orizzonte di tutte le Easttown del nostro mondo: l’uomo non può nulla contro le forze che gli si oppongono; l’unica cosa che nelle nostre piccole vite possiamo avere e conoscere senza limiti è il dolore. 

Ascolta la mostra discussione podcast su Omicidio a Easttown

Omicidio a Easttown, podcast (2): junk food e torte di ciliegie

Un altro podcast su Omicidio a Easttown

Omicidio a Easttown: una tragedia del nostro tempo | PODCAST

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Jacopo Bulgarini d'Elci

Fondatore e direttore del progetto MONDOSERIE, prende le serie terribilmente sul serio. In una vita precedente è stato assessore alla cultura della città di Vicenza. In altre e non meno reali esistenze, si è perso sull’isola di Lost, ha affrontato i propri gemelli oscuri in Twin Peaks, ha avuto il cuore spezzato da Breaking Bad. Autore e critico tv, scrive interventi sulle trasformazioni dell’immaginario pop (Doppiozero), tiene conferenze, coordina e realizza pubblicazioni. Soprattutto, guarda e riguarda show da quasi 30 anni.

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