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The Penguin: una Gotham con più Shakespeare che supereroi

La miniserie spin-off di The Batman, con un monumentale Colin Farrell, è uno splendido e brutale affresco crime a tinte noir. Un’ascesa al potere cupa e tragica, in una città livida e viva

di Jacopo Bulgarini d'Elci
15/12/2024
in Articoli
Cover di The Penguin per Mondoserie
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Vi dico la verità: non smaniavo per vedere The Penguin, quando è uscita col suo gran battage. Un’altra serie tratta dai fumetti? Un’altra storia di supereroi? Mantenevo pure, all’epoca, un residuo scetticismo nei confronti del The Batman di Matt Reeves, di cui questo show è uno spin-off. E poi, diciamolo, nell’ormai stucchevole inflazione di costumi, mantelli e calzamaglia mi capita sempre più spesso di pensare che l’unico verso superpotere degno di questo nome sia la pazienza del pubblico – o forse la sua esagerata disponibilità. 

Meglio così: mi sono goduto ancora di più questo straordinario giro di giostra. Sorprendendomi, puntata dopo puntata, dell’audacia con cui la miniserie è stata pensata, dell’amore con cui è stata costruita, dell’intensità con cui si finisce per guardarla.

The Penguin ci trasporta nei meandri più oscuri di Gotham City, offrendoci uno spaccato distinto e coinvolgente dell’universo di Batman. O meglio: dell’universo che sta attorno alla figura di Batman. Perché il supereroe è solo un’ombra lontana, invisibile. E il “supercattivo”, lo capiamo subito, non è poi così monolitico. Protagonista, piuttosto, è proprio la città: la decadenza delle sue istituzioni, le strade brutali, la fauna microcriminale che le popola, la marginalità dei quartieri poveri, la voglia di riscatto, la vitalità. 

Un’epopea noir che esplora il lato più torbido del crimine, dell’ambizione, dell’animo umano. Illuminata, come un lampo nella notte, da un Colin Farrell letteralmente mostruoso. Che riprende il ruolo di Oswald Cobb dal The Batman con Robert Pattinson. E ridefinisce magistralmente un personaggio che, con più di 80 anni di vita e tante incarnazioni all’attivo, non era scontato avesse ancora qualcosa da dire.

Insomma: The Penguin è roba adulta. Una delle uscite migliori dell’anno. Anche – cosa più sorprendente – per chi non fosse un particolare fan dell’universo fumettistico a cui si ispira. 

The Penguin: una produzione ambiziosa, un inatteso grande successo

The Penguin nasce come spin-off di The Batman (2022), e si inserisce nel reboot dell’universo DC orchestrato da Matt Reeves. Prodotta da HBO, in Italia su Sky e NOW, la miniserie in 8 episodi ha debuttato nel settembre 2024, consolidandosi rapidamente come un successo sia di critica che di pubblico. In misura anche sorprendente rispetto alle sue premesse. Lo show, creato e plasmato da Lauren LeFranc con un’abilità e una sapienza superiori al suo curriculum, combina crime, drama, noir.

Il cast, guidato da un magnifico Colin Farrell (True Detective, stagione 2) nel ruolo del titolo, include l’altrettanto eccellente Cristin Milioti (How I Met Your Mother, Death to 2020) nei panni di Sofia Falcone, erede della dinastia criminale della città, e il caratterista di lusso Clancy Brown (Lost, Dexter: New Blood), come il potente Salvatore Maroni. 

La serie è stata girata interamente in location e set che replicano con cura l’atmosfera cupa e decadente di Gotham. Utilizzando tonalità fredde e ombre profonde per accentuare l’oscurità che permea ogni scena. Dando vita a una metropoli livida, ma piena di vitalità. 

La produzione non si risparmia in termini di ambizione visiva e narrativa. Ognuno degli otto episodi, della durata di circa un’ora, rappresenta un piccolo gioiello di scrittura, recitazione, messa in scena, regia. E un tassello fondamentale nella costruzione di un affresco più ampio. Un livello di attenzione ai dettagli che colloca di diritto The Penguin tra le produzioni di punta di HBO degli ultimi anni. Ne cito una, altrettanto realistica, cupa e tesa, e cioè Omicidio a Easttown. Con cui non a caso condivide la firma registica di Craig Zobel, che già si era fatto le ossa dirigendo episodi di serie cult come The Leftovers, American Gods, Westworld.

I legami con The Batman e l’universo DC

The Penguin è una prosecuzione diretta degli eventi del film reboot The Batman, ma riesce a camminare su una linea sottile tra continuità narrativa e autonomia creativa. Ambientata dopo il film, la serie esplora il vuoto di potere lasciato dalla caduta di Carmine Falcone e l’ascesa di Cobb. L’ex autista e poi braccio destro del padrino lotta ora per affermarsi come nuovo boss del crimine a Gotham. Matt Reeves, creatore del film e supervisore del progetto, ha mantenuto la coerenza estetica e tematica tra le due opere. Garantendo che la serie si integri perfettamente nel suo universo cinematografico narrativo, in espansione.

Ciò che distingue The Penguin è la libertà creativa concessa dalla piattaforma HBO. Rispetto al film, che pure era già assai cupo, sporco, duro, la serie adotta un approccio ancora più maturo e spietato. Violenza, crudezza, matericità sono tratti distintivi e non occasionali, conferendo allo show un realismo brutale che arricchisce il racconto. Questo cambio di tono si riflette non solo nei dialoghi e nelle interazioni, ma anche nella rappresentazione di Gotham: una città ben oltre i limiti del collasso morale.

Inoltre, la serie offre diversi riferimenti e anticipazioni per il futuro The Batman Part II, creando un ponte narrativo che promette di ampliare ulteriormente l’universo DC in questo reboot pensato da Reeves. Nel finale di serie, o di stagione se dovesse avere un seguito, The Penguin evoca la presenza del vigilante mascherato, assente per tutte le otto puntate. E fa fare capolino a Selina Kyle, Catwoman (che nel film del 2022 aveva volto e corpo della magnetica Zoë Kravitz). 

Confermando così di non essere solo uno spin-off, ma un pilastro fondamentale di questo nuovo racconto di Gotham – e dei suoi inquieti abitanti.

La trama di The Penguin: un’ascesa brutale (e shakespeariana)

The Penguin racconta la cruenta scalata di Oswald “Oz” Cobb nel sottobosco criminale di Gotham. La serie si apre con la città in subbuglio per due ragioni, direttamente connesse al finale del film. Da un lato la morte di Falcone ha lasciato un vuoto di potere, in cui si muovono diversi contendenti: da membri della stessa famiglia agli storici rivali, i Maroni, fino ai capi di altre gang criminali. Dall’altro, la rottura delle paratie che proteggono la città dall’acqua (fatte saltare nel finale di The Batman dall’Enigmista) ha visto finire sommerse intere zone. E in particolare i quartieri più poveri, dove ha provocato morti e distruzione. Ed è in questo scenario di caos ed emergenza che prende piede la nostra storia. 

Oz, spregiativamente noto come il Pinguino per la deformità dei piedi che lo costringe a camminare in modo faticoso e grottesco, si trova in ambasce dopo la morte del suo capo e protettore. Poco considerato dal resto della famiglia, sottostimato per i suoi modi volgari, userà le due armi che possiede – astuzia e brutalità – per sconfiggere i suoi nemici. Giocando con disinvoltura e cinismo nelle divisioni tra le grandi e nuove famiglie criminali. 

Ogni episodio aggiunge strati alla sua complessa personalità. Scopriamo un uomo consumato dall’ambizione, ma anche segnato da un passato traumatico e da relazioni difficili, come quella (edipica) con la madre malata. Il racconto non si limita alle sue gesta criminali: esplora i legami, i tradimenti e i sacrifici che Oswald è disposto a compiere per raggiungere il potere. Letteralmente fino all’episodio finale, che raggiunge una dimensione pienamente tragica. Portando l’ambizione del trono, e il desiderio di riconoscimento e affermazioni, dalle parti di certe grandi figure shakespeariane.

Il Pinguino, dal villain dei fumetti ad antieroe

Ed è questo un fattore che va considerato nella giusta prospettiva, perché non era scontato che il personaggio riuscisse a esprimere tutta questa complessità. Oswald Cobblepot (questo il cognome originale completo, che la serie semplifica), alias il Pinguino, è uno dei villain più longevi e iconici di Batman. Creato da Bob Kane e Bill Finger nel 1941, è passato attraverso numerose incarnazioni, dai fumetti al cinema e alla televisione. Originariamente rappresentato come un gentleman del crimine, Cobblepot ha subito una trasformazione significativa nel tempo.

Sul grande schermo il personaggio è stato portato alla ribalta da Danny DeVito in Batman Returns di Tim Burton (1992), dove il Pinguino era una creatura grottesca e tragica (e ancora segnata dai simboli di un’origine altolocata – cappello a cilindro, redingote, monocolo…). Nella origin story Gotham (2014-2019) era stato raccontato come un giovane ambizioso e manipolatore. Con The Batman e ora The Penguin, Colin Farrell ridefinisce completamente il personaggio: non più una caricatura, ma un uomo reale, con debolezze e ambizioni spietate. 

L’interpretazione dell’attore irlandese è pazzesca, di una fisicità debordante. Il suo Pinguino, sotto gli strati di trucco e l’andatura caracollante, è un personaggio multidimensionale. Capace di alternare momenti di vulnerabilità a esplosioni di violenza. Di tenerezza e poi di psicosi manipolatoria.

Non più un semplice villain, ma un anti-eroe (di cui approfondiamo il passato) che lotta per emergere contro le gerarchie tradizionali del crimine. Un Riccardo III dei nostri tempi: come il grande usurpatore shakespeariano, impegnato a tramare nell’ombra, a tradire, a farsi largo senza remore. Il suo aspetto fisico, meno caricaturale e più realistico che in passato, riflette la visione di Matt Reeves: un universo DC più cupo, meno fumettistico. Il risultato è uno dei migliori personaggi televisivi del 2024. Potente, credibile, memorabile. 

The Penguin: un sorprendente, dolente, emozionante noir metropolitano

Insomma: una delle più grandi – e belle – sorprese dell’anno. Lo dicevo all’inizio: io stesso, in partenza, non mi aspettavo niente di che. Di certo non una serie così avvincente, complessa, emozionante. Per meglio rendere l’idea: a suo tempo, non avevo granché amato il The Batman di Reeves. L’avevo trovato troppo duro, troppo spigoloso. O forse ero ancora avvinto dalla rivisitazione romantico-letteraria fatta da Christopher Nolan nella sua trilogia del Dark Knight. Ebbene, dopo pochi minuti di visione di The Penguin ho deciso di fermarmi e riguardare, prima di proseguire, il film di cui la serie è uno spin-off e un sequel narrativo immediato. Ho fatto bene: The Batman è molto, molto meglio di come me lo ricordavo. E con la miniserie forma un dittico notevole. 

Nello show HBO tutto è godibilissimo. Dalla scrittura alla messa in scena, passando per due interpretazioni clamorose. Di Colin Farrell abbiamo già detto, e verso il suo Pinguino si prova un misto di attrazione e repulsione, di orrore ed empatia. Più sorprendente ancora è però Cristin Milioti, che nei panni di Sofia Falcone regala una prova magistrale, portando in scena una figura altrettanto complessa e ambigua. Anche qui: detestabile e seducente, fragile e magnetica. 

The Penguin non si limita a sfruttare il successo del franchise di Batman. Si pensa, e si dà, come un’opera autonoma. Capace di ridefinire i confini del genere e di arricchire l’universo DC con profondità e originalità. Trasformando la storia fumettistica, o persino la fiaba dark di Burton, in un vibrante noir metropolitano. Intenso e dolente, e soprattutto privo di ogni facile consolazione – o soddisfazione.   

Solo alla fine, quando il Bat-segnale si staglia sul cielo notturno, ci ricordiamo dell’Uomo Pipistrello, e ci rendiamo conto che in otto ore non è mai apparso. Ma non ci è mancato. In questa Gotham brutale, livida, shakespeariana, straordinariamente viva e reale, non c’è spazio per i supereroi. Non c’è bisogno di supereroi.

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Fondatore e direttore del progetto MONDOSERIE, prende le serie terribilmente sul serio. In una vita precedente è stato assessore alla cultura della città di Vicenza. In altre e non meno reali esistenze, si è perso sull’isola di Lost, ha affrontato i propri gemelli oscuri in Twin Peaks, ha avuto il cuore spezzato da Breaking Bad. Autore e critico tv, scrive interventi sulle trasformazioni dell’immaginario pop (Doppiozero), tiene conferenze, coordina e realizza pubblicazioni. Soprattutto, guarda e riguarda show da quasi 30 anni.

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