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Vinyl: un roboante fallimento dalle premesse eccezionali

Uno dei pochi flop HBO - nonostante Scorsese, Jagger, un gran cast, una trama e un’ambientazione irresistibili...

di Francesca Sarah Toich
08/06/2025
in Articoli
Cover di Vinyl per Mondoserie
1.1k
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Infausto destino quello di Vinyl, grande produzione seriale (ad oggi visibile su NOW) creata da Mick Jagger, Martin Scorsese, Rich Cohen e Terrence Winter per HBO nel 2016, e cancellata dopo soltanto una prima stagione di 10 episodi.

La serie era partita con tutti i migliori propositi: un budget colossale di oltre 100 milioni di dollari, la brillante idea di raccontare la nascita del punk rock, le prestigiose firme – ad esempio quella di Terence Winter, già sceneggiatore de I Soprano (qui il nostro Speciale) e di Boardwalk Empire. Dulcis in fundo, il pilota girato da Scorsese: due ore di puro rock and roll visivo che avevano immediatamente conquistato il pubblico. 

Vinyl inoltre ha una storia pressochè infallibile: ambientata nella losca e magnifica New York degli anni ‘70, ci racconta le straordinarie vicende di un produttore musicale, Richie Finestra (Bobby Cannavale: Nine perfect strangers, Mr. Robot) e delle maggiori band di quegli anni. Led Zeppelin in testa.  

Di cosa parla Vinyl?

La prima scena vede Richie sudato ed esitante nella sua macchina parcheggiata in una sordida stradina vicino al club musicale Mercer Arts, dove quella sera suonano i New York Dolls. Dopo pochi secondi approccia uno spacciatore e compra tre grammi di cocaina. Capiamo subito che non si faceva da un po’ e che la decisione è stata improvvisata. Coca in mano cerca disperatamente qualcosa dove stendere qualche riga ma non trova neanche uno straccio di superficie, niente. Dopo un secondo di esitazione strappa lo specchietto retrovisore e con grande gioia finalmente si tira tre enormi righe di coca. Poi, sollevato, esce dalla macchina e si dirige al concerto che sta letteralmente facendo saltare i soffitti del locale, tra la folla esultante (un fatto avvenuto veramente al Mercer Arts in quegli anni durante delle prove).

Ci ritroviamo poi – con un salto temporale – nell’ufficio di Finestra, durante una riunione di lavoro qualche giorno prima. Richie e i suoi soci vogliono vendere la casa discografica ad una corporation tedesca. Sono al termine di una buona carriera costellata di successi e giuste intuizioni ma gli affari ristagnano; meglio cedere bottega ai ricchi stranieri. Si trovano di fronte ad un ritiro dorato, che però significherebbe gettare la spugna – e addio rock and roll. Esitano, tentennano: forse bisogna fare l’ultimo tentativo.

Ci addentreremo così assieme a Finestra, che cerca di salvare l’etichetta, in un turbinio di feste, concerti, follie musicali, decisioni deliranti e tanta droga. 

Una grande festa che poco a poco si spegne

“Vinyl è una grande festa più che una grande serie.” Ha commentato la critica. Ma non è per questo che non ha funzionato. Dopo un “film” di Scorsese virtuosissimo, affresco degli anni ‘70 con una colonna sonora scoppiettante, attori calati nella parte, costumi magnifici e un Bobby Cannavale impossibile da non seguire, ci ritroviamo con altri 9 episodi girati da vari registi e alla meno peggio. 

I dialoghi cominciano ad annaspare, personaggi di dubbio interesse diventano predominanti e soprattutto passiamo da “una grande festa” a una lunga serie di scorci di vita “normale” che abbassano il morale. Devon (Olivia Wilde – Dr. House, The Studio), la moglie di Richie, ex artista della Factory di Andy Warhol, mal sopporta la vita di provincia fatta di due stupendi bambini e nulla più. Lui ripiomba nella dipendenza da cocaina e non smette di urlarci nelle orecchie quanto è fuori di testa. La sua segretaria si lancia in un rapporto a tre dai risvolti scontati. 

Capiamoci: Vinyl è una serie guardabilissima nella sua interezza. Gli attori reggono miracolosamente fino all’ultimo. E la trama in fondo si fa seguire. Ma resta l’amarezza di una grande partenza seguita da un buco nell’acqua. La serie è tutt’oggi ricordata come uno dei maggiori flop della HBO. Una seconda stagione è stata presa in considerazione per un po’, ma l’idea non ha avuto riscontro. Soprattutto a causa dell’abbandono del suo showrunner, Terence Winter, per “divergenze creative”. Da parte sua, Martin Scorsese non si è mai riappacificato con la brutale fine della serie. 

Vinyl: Scorsese e il problema della serialità

Presente al Festival Internazionale del Film di Roma per ricevere il premio alla carriera, il regista di Taxi Driver, Quei bravi ragazzi, The Wolf of Wall Street e The Irishman, di cui abbiamo parlato qui, è tornato sul fatidico destino di Vinyl con una coraggiosa autocritica: “È stato molto difficile per me. Abbiamo provato per un anno con la HBO, ma non siamo riusciti a mettere insieme gli elementi creativi. E poi ho diretto il pilota che avrebbe potuto rimediare alla situazione… ma penso che avrei dovuto dirigere ogni episodio e rimanere al lavoro per tre o quattro anni!”.

Scorsese ha portato a esempio la serie The Young Pope diretta da Paolo Sorrentino. “Se vuoi farlo, tanto vale farlo bene, come Sorrentino. Gestire assolutamente tutto da soli. Se non si vuole prendere questo impegno meglio rinunciare alla serie!” Al di là dell’insuccesso di Vinyl, Scorsese tocca un punto importante nella storia delle serie come prodotto autoriale. Una serie è oggi una grande occasione per un regista: rispetto al mondo-film è un universo. Che ha però bisogno di regole per non cadere a pezzi dopo soli due episodi. 

Scorsese aveva lanciato un grande tema: il dramma personale tra vizio e virtù. Il protagonista tentenna sulle sue scelte: e non tanto per attaccamento alla sua casa discografica. Esita tra il ritirarsi con la moglie in una gabbia dorata e la scelta più dannosa ma divertente: continuare a tirare cocaina scoprendo nuovi talenti del rock. Meglio la noia sicura del bene o il rock and roll del male? Un grande tema al quale gli episodi successivi non hanno saputo però tenere testa. Perché, come preannunciato alla fine del pilota, è letteralmente crollato il palco. 

Un altro esperimento (quasi) seriale di Scorsese: The Irishman

The Irishman, quando la Rete batte Hollywood

Tags: droga e narcotrafficomusicaNew York
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Francesca Sarah Toich

Francesca Sarah Toich

Francesca Sarah Toich è un’artista che vive e lavora a Parigi, dove ha una compagnia di teatro e magie nouvelle. Scrittrice, autrice, attrice, ha vinto il primo premio nel concorso internazionale di scrittura per lo spettacolo “Premio Goldoni Opera Prima” con la tragedia intitolata “Diotallevi” e ha pubblicato due romanzi fantasy per ragazzi. Ha prestato la sua voce a numerosi film, documentari, installazioni artistiche e radiodrammi (in particolare per RAI radio Italia). Specializzata in Commedia dell’Arte e letteratura italiana è stata premiata come migliore giovane interprete della Divina Commedia, vincendo per due volte il Lauro Dantesco a Ravenna. Insegna e recita in italiano, inglese e francese in numerose compagnie di teatro e ricerca, ed ha portato le sue performance in prestigiosi teatri e gallerie d’arte in varie parti del mondo tra cui recentemente a New York, Mosca e Tokyo.

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