Better Call Saul è una serie statunitense ideata da Vince Gilligan e Peter Gould – autori della mitica Breaking Bad – di cui è uno straordinario spin-off. Andata in onda dal 2015 al 2022, per 6 stagioni e 63 episodi, è stata acclamata da pubblico e critica. Arrivando ad essere considerata una delle migliori serie di tutti i tempi. Per alcuni addirittura superiore al suo storico antecedente, che avevamo analizzato in questa puntata del podcast.
Numerosissime le candidature tra Emmy (ben 53!) e Golden Globe (6) collezionate nel corso di sei stagioni da Better Call Saul. Purtroppo – forse vergognosamente – senza mai vincere uno solo dei premi maggiori. Il Critic’s Choice Television Award ha invece eletto Bob Odenkirk (Fargo, The Office) miglior attore protagonista nel 2015 e nel 2016, e Jonathan Banks miglior attore non protagonista (2015). L’American Film Institute l’ha infine decretata migliore serie tv per ben 5 anni (su 6 stagioni).
Ponendosi prima, durante e dopo le vicende di Breaking Bad (quindi prequel e sequel al contempo), Better Call Saul è incentrato sulla parabola esistenziale di Saul Goodman (Bob Odenkirk), alias Jimmy McGill, alias Gene Takavic. L’assurdo e pittoresco avvocato della malavita di Albuquerque (e dunque di Walter White e Jesse Pinkman, i due mitici protagonisti di Breaking Bad). La sua storia, che coincide principalmente con la genesi di Saul Goodman (il nome che sceglie quando decide di reinventarsi paladino legale della criminalità), si intreccia con quella di Mike Ehrmantraut (Jonathan Banks – Community, Dexter), altra vecchia conoscenza dalla serie capostipite. E di come questo ex poliziotto – ora addetto al parcheggio del tribunale – diventerà il braccio destro di Gustavo Fring (Giancarlo Esposito – Kaleidoscope, The Gentlemen, The Boys), l’indimenticabile impassibile e spietato trafficante di droga, soberrimo direttore della catena di fast food ‘Los Pollos Hermanos’.
Vecchie conoscenze e nuovi protagonisti
A supportare questa nuova intensa narrazione, compaiono altri – altrettanto nuovi e intensi – personaggi. Sul versante legale, innanzitutti Kim Wexler (Rhea Seehorn – The Closer). Amica, collega, amante, complice, moglie e infine bussola morale, quanto immorale, di Jimmy. Segue ‘Chuck’ McGill (Michael McKean – Billions), il fratello maggiore – egregio e stimato avvocato – di cui cerca disperatamente l’approvazione. E l’aitante e irritante socio biondo platino di questi, Howard Hamlin (Patrick Fabian – Elementary).
Sul fronte criminale viene introdotto il giovane Ignacio ‘Nacho’ Varga (Michael Mando – Psych), tragica figura costretta per amore del padre al doppio gioco tra Fring e i Salamanca. E a proposito di Salamanca, last but not least, c’è lo scaltro e spietato Lalo (Tony Dalton – Sense8), altro carismatico nipote dai pochi scrupoli dello zio Hector. Di cui finalmente sapremo come e perché si è ridotto ad una carrozzella con campanellino.
Questi i personaggi portanti di una narrazione che in buonissima parte ha dell’incredibile perché, avendo visto Breaking Bad, già si conosce il destino di buona parte dei protagonisti. Buona parte, non tutti: l’incipit dello show, in bianco e nero, ci presenta infatti Gene Takavic – l’identità scelta da Saul dopo la rocambolesca fuga (di cui i cultori di Breaking Bad, per l’appunto, sono già a conoscenza). Ora vive in Nebraska e lavora come commesso nella pasticceria di un anonimo centro commerciale. Le sue giornate sono scandite da una precisa e soffocante monotonia. Dove ogni routine – tra la noia del lavoro e le rievocazioni serali dei bei tempi andati tramite i VHS dei suoi surreali spot – è studiata dettagliatamente per evitare di essere scoperto.
L’origine di Saul Goodman
Negli ultimi episodi dell’ultima stagione la fotografia in bianco e nero diventa prevalente, passando così dal passato remoto – attraverso il passato prossimo (che consente una comparsata ai due protagonisti di Breaking Bad – al presente di Jimmy. Rivelandoci il grandioso epilogo della sorte di Takavic / Goodman / McGill. E illuminandoci ancora una volta (assieme al El camino, film incentrato su Jesse Pinkman) sul dopo Breaking Bad.
Il passato remoto è invece il tema narrativo di tutte le altre stagioni: la metamorfosi che porta a Saul Goodman, come abbiamo raccontato anche in questa puntata del podcast dedicata a Better Call Saul, è una profonda e affascinante odissea esistenziale. Che ha origine nel carattere esuberante del protagonista, con la sua tendenza a imbrogli e raggiri e, in generale, alle scorciatoie di ogni tipo. Il giovane Jimmy è un simpatico truffatore da quattro soldi. Esuberanza da sempre mal sopportata da Chuck, il fratello di cui Jimmy desidera disperatamente l’approvazione. Facendosi letteralmente in quattro per accudirlo, a causa di una sospetta o presunta malattia (poiché difficilmente diagnosticabile), ovvero un’ipersensibilità alla presenza di qualsiasi campo elettromagnetico. Così il brillante giurista, anziano fondatore del rinomato studio HHM, è al contempo una persona molto fragile. E questo complica ulteriormente il rapporto tra i due.
Il percorso di Jimmy per diventare avvocato, nonostante l’opposizione del fratello, è pieno di ostacoli e insidie. E, proprio come in Breaking Bad, intriso di humour noir e di momenti drammatici. Saranno comunque l’amore e il sostegno di Kim Wexler a dargli la forza per andare fino in fondo. E quindi a determinare la nascita, l’apoteosi e poi, in un certo senso, la fine del machiavellico e mefistofelico ‘Saul Goodman’ (it’s all good, man!).
Un mirabile gioco di simboli
Ad affiancare parallelamente il viaggio di Jimmy vi è l’altro percorso, che ruota intorno alle figure di Nacho, Mike e Gus. Vi è la toccante parabola di Nacho, e la genesi dell’impero della droga che si cela dietro l’attività di ‘Pollos Hermanos‘. Vengono soprattutto svelate le motivazioni profonde che guidano l’agire dell’indecifrabile Fring. Così come la profondità del rapporto che questi andrà instaurando con Mike. Assistiamo alla nascita di un vero e proprio sistema criminale che i due costruiscono con pazienza infinita, sudore – e sangue, of course. Sistema che già sappiamo verrà bellamente distrutto in pochissimo tempo dalla sfrenata megalomania di Eisenberg.
Inutile dire che tutti i conti narrativi tornano meravigliosamente, confrontando le due saghe televisive ambientate ad Albuquerque. E che, forse per la prima volta nella storia della serialità, i due show competono per eccellenza di forma e contenuti. Ancora una volta la fotografia è mirabile, non tanto e solo per l’aspetto estetico quanto per l’essenzialità e, soprattutto, la funzione narrativa implicita in tanti (solo) apparenti dettagli. La storia scorre comunque, anche se questi ultimi non vengono colti. Ma solo tramite un’attenta e paziente visione (o revisione) di queste due serie può essere svelato il loro articolato gioco di rimandi simbolici. Che simbolicamente rimandano di continuo ai temi portanti della narrazione.
Talvolta sono anche solo le espressioni dipinte sul volto di questi favolosi protagonisti a raccontare molto più delle parole. Strazianti e suggestivi gli ultimi flashback di Better Call Saul. Jimmy con il fratello Chuck. con l’inquadratura che si sofferma sul libro La macchina del tempo di H.G. Wells. O quelli – l’uno con Mike l’altro con Walter White – Jimmy ponendo ad entrambi la stessa domanda: che faresti se potessi tornare indietro nel tempo?
Better Call Saul, Breaking Bad e il grande romanzo americano
Rimorso, pentimento, o anche solo semplice valutazione del proprio vissuto. Una valutazione necessaria per Jimmy McGill, arrivato al punto cruciale della propria esistenza. E per restare in tema di simboli e dettagli, non sfugge l’unico accenno di colore nel bianco e nero (come nella Sin City di Miller e Rodriguez): la brace dell’ultima sigaretta del protagonista, condivisa con l’amata Kim. Senza bisogno di troppe parole. Anche se proprio l’affabulazione era il sublime talento di Saul Goodman. Uomo di indubitabile grande talento, come Walter White.
Un mondo, due storie. Jimmy e Walter White. Saul Goodman e Eisenberg. Due protagonisti molto diversi tra loro, che inseguono sogni diversi, spinti da diversi impulsi. Destinati però ad un incontro fatale. Entrambi giocano su un terreno insidioso, in cui morale e immorale non possono che continuamente confondersi, a causa del perenne castello di menzogne che è giocoforza la loro esistenza. Il finale di Better Call Saul, lontano dall’epica tragicità di quello di Breaking Bad, ma in egual maniera stilisticamente perfetto. Una fine che ribadisce in modo commovente la differenza fondamentale tra un’esistenza cosiddetta normale (‘a regular life’) e una vita fondata sugli eccessi e sul primato dell’ego. Primato che riscrive a suo piacimento ciò che si può e ciò che non si può fare.
L’unico limite – se di limite si tratta – di questo show è che per essere pienamente goduto richiederebbe la preventiva visione del suo antecedente. Ad ogni modo la grande tradizione del romanzo americano ha trovato, attraverso queste due serie – ed altre eccellenze della produzione seriale televisiva, come ad esempio I Soprano – una nuova e vitale linfa. L’odierna serialità filmica senza dubbio è la nuova via della narrazione occidentale.
Curiosità: Better Call Saul Employee Training
Curiosità per gli appassionati: parallelamente alla serie è stata creata una breve e surreale miniserie raccolta in 4 stagioni con il titolo di Better Call Saul Employee Training. Ogni episodio dura una manciata di minuti e ogni stagione ha il suo protagonista. Nella prima è Gustav Fring che spiega agli impiegati le regole di condotta e lavoro nella catena di Pollos Hermanos (sic!). Nella seconda è Mike Ehrmantraut, impegnato come consulente della sicurezza alla Madrigal Electromotive. La terza vede Kim Wexler dare lezioni di etica ad ipotetici avvocati alle prime armi. L’ultima vede protagonisti i tre videomaker che assistono Saul Goodman nella produzione dei suoi stravaganti spot pubblicitari… E ho detto tutto.
A Better Call Saul abbiamo dedicato anche questa puntata del podcast!
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