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The Umbrella Academy – famiglia disfunzionale di supereroi

La serie Netflix, tratta dall’omonimo fumetto, è profonda e spassosa come poche: un eccentrico e irresistibile divertissement

di Livio Pacella
20/09/2024
in Articoli
Cover di The Umbrella Academy per Mondoserie
400
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The Umbrella Academy (Netflix, 2019-24) è una spassosa serie americana in 4 stagioni per 36 episodi, creata da Steve Blackman (Fargo) e sceneggiata da Jeremy Slater. Lo show in generale – e la prima stagione, che ha ricevuto ampi consensi di pubblico e critica, in particolare – è basata sull’omonimo fumetto ideato da Gerard Way, il cantante dei My Chemical Romance, e disegnato da Gabriel Bá (The Umbrella Academy Volume One: Apocalypse Suite, Dark Horse Comics, 2007; in Italia edita da Magic Press).

The Boys, Legion, Watchmen… sono i primi titoli che vengono in mente quando si pensa alla commistione tra supereroi e serialità televisiva. Tutti titoli che, giocando al di fuori dei più classici universi Marvel e DC Comics, hanno declinato o addirittura stravolto – ciascuno a suo modo – le regole del genere in questione. Portando alle estreme conseguenze una logica in verità già inaugurata dai due colossi cinematografico-fumettistici: quella del supereroe dissociato, impossibilitato ad avere una vita personale felice. Batman e Iron Man (per par condicio) sono in questo senso due modelli assai significativi.
The Umbrella Academy immagina un mondo in cui, nello stesso giorno del 1989, nascono improvvisamente in ogni dove 43 neonati, da donne che non erano gravide fino ad un minuto prima. Sir Reginald Hargreeves (Colm Feore – I Borgia, 24), un miliardario eccentrico fino all’alienazione, decide di adottare sette di questi, già consapevole dei diversi superpoteri che andranno sviluppando. The Umbrella Academy è il nome che verrà in seguito dato a questo team di teenager superdotati. Allevati e addestrati per il classico scopo di combattere la criminalità. Ma soprattutto per salvare il mondo, in un futuro non meglio specificato.

I 7 disadattati protagonisti di The Umbrella Academy

Lo show si dichiara fin da subito comico e dark, apocalittico e leggero, sovrannaturale nell’impianto e realistico nell’approfondimento psicologico di questi personaggi, condannati fin dalla nascita ad una costitutiva disfunzionalità familiare. L’improvvisa morte del severo – fino al limite del patologico – padre è l’incipit della storia. La giovane famiglia, che si è irreparabilmente disgregata negli anni, ha ora l’occasione per riunirsi. E per dare inizio ad un’avventura tra le più scanzonate, grottesche e surreali che il mondo dei supereroi abbia mai visto.
Provare anche solo a sintetizzare la trama di The Umbrella Academy sarebbe un’impresa titanica. Basterà dire che l’azione si svolge su diversi piani temporali, che inizialmente vanno dagli anni ’50 ai flashback sul passato dei protagonisti, fino a complicare in seguito il gioco con un dedalo di realtà parallele e mondi alternativi…
I protagonisti, rigorosamente numerati e così appellati da Sir Reginald – dal numero 1 al numero 7 – possiedono poteri assai diversi tra loro. Così come assai diverse sono le loro personalità. E l’esistenza adulta che ciascuno si è più o meno responsabilmente costruito. Rinnegando il proprio passato nella The Umbrella Academy. Poiché legato alla misteriosa morte di uno di loro.
Si va dalla super forza alla capacità di vedere i morti, dall’abilità di saltare nello spaziotempo a quella di indurre chiunque a fare ciò che si vuole. Dal tossico sbandato all’attrice superstar, dal vigilante mascherato alla timida violinista. Tenendo conto che, nella casa della loro infanzia, li attendono ancora una madre androide e Pogo, il maggiordomo scimpanzè (sic). Nell’ordine: Luther (Tom Hopper – Black Sails), Diego (David Castañeda – Southland), Allison (Emmy Raver-Lampman – Jane the Virgin), Klaus (Robert Sheehan – The Tudors), Cinque (Aidan Gallagher – Modern Family), Ben (Justin H. Min – Beef), Vanya – poi Viktor (seguendo il reale passaggio di Elliot Page, attrice diventato attore). Questi i nomi dei nostri eroici e disadattati protagonisti.

Profondo caos e rigorosa stravaganza

A proposito di Cinque: scomparso nella pubertà, a causa di un troppo azzardato salto spaziotemporale, ricompare magicamente proprio in occasione della family reunion. Dopo aver trascorso più di 50 anni in un post apocalittico futuro. Un uomo assai maturo intrappolato nel corpo di un esile ragazzino. Ed è solo una delle divertenti e astruse bizzarrie che costellano questo divertentissimo show. Come quella di finire tutti intrappolati negli anni ’60 e trovarsi coinvolti, loro malgardo, nell’assassinio del presidente Kennedy. O come l’esistenza della Commissione, un’agenzia che presiede sul continuum temporale, eliminando chiunque possa minacciarne l’integrità. Per tramite di una serie di improbabili ma efficaci killer, da ChaCha (Mary J. Blige – Le regole del delitto perfetto) agli svedesi. Se ci aggiungiamo alieni e fantasmi, non manca proprio nulla.
Atmosfere pazzesche, ritmi forsennati a livelli intrecciati, humour e adrenalina. Questo l’originale stile di una serie che, al di là delle fantastiche giravolte narrative, racconta in primis la storia di una famiglia disadattata. E di come questa famiglia cerchi di ricostruire i propri legami, dovendo al contempo sventare una apocalisse. Una per stagione. Fino alla fatale intuizione: e se fossero proprio loro la causa di tutte queste apocalissi?
L’inedito paradosso di questa serie – dover salvare il mondo da loro stessi – dà vita ad una tragicommedia caotica e stravagante, profonda e rigorosa. Che tende però talvolta a perdere il focus e divenire a tratti persino sbilenca e ridondante (S3). Tra la cupa ilarità e gli inevitabili alti e bassi di uno show che aveva addirittura rischiato la cancellazione, si arriva comunque infine alla mistica resa dei conti. L’ultima stagione, risicata produttivamente a sei episodi, chiude audacemente il ciclo di questa superomistica maledizione famigliare.

L’ultima stagione di The Umbrella Academy

I fratelli Hargreeves sono fondamentalmente degli antieroi: fragili, insicuri e complessati. Soffocati in giovinezza dal padre dittatoriale e repressivo, che li ha incastrati in The Umbrella Academy. Li avevamo trovati al principio della prima stagione, intenti a tentare di vivere le proprie esistenze in modo indipendente. E disastroso. Comunque sia, così li ritroviamo anche all’inizio di questa quarta, in questo nuovo mondo alternativo, sempre senza poteri. Sono trascorsi sei anni, e ognuno di loro è ora indaffarato a condurre una vita assolutamente normale, o quasi. Chi ha a che fare con suoceri e bambini, chi sbarca il lunario come spogliarellista, chi un’attrice da spot televisivi…
Ma in questo mondo, una deliziosa coppia di sposi sociopatici – Gene (Nick Offerman – The Last of Us) e Jean (Megan Mullally – Parks and Recreation), marito e moglie anche nella vita reale – guida una strana setta ultracomplottista. Che dichiara questa non essere la vera realtà. Sulla base di incongruenze, testimoniate dal ritrovamento di artefatti (libri, poster, vhs ecc.), tutti autoreferenzialmente connessi ad una narrazione alternativa de The Umbrella Academy (una mise en abyme vertiginosa e buttata lì con nonchalance). Sognando l’arrivo di una Catarsi, evento che possa resettare e aggiustare le cose. Starà ai nostri recuperare i poteri per salvare il mondo prima che sia troppo tardi ecc.
I nostri anarchici supereroi sono sostanzialmente imprigionati nel loro stesso ricorrente cliché narrativo. Porre fine a questa ironica ‘superhero fatigue’: sarà questo il vero enigma da risolvere. Affrontando un’ultima volta le proprie paure e i propri tormenti. Non ultimo quello della figura paterna (emblematico il viaggio di Viktor e Sir Reginald). Mescolando combinazioni inedite (la bellissima sottotrama di Cinque e Lila, che ammicca a Russian Doll). E compiendo il percorso obbligato che ogni eroe ha davanti a sé: quello del sacrificio.
Così, in modo struggente e frettoloso, si chiude The Umbrella Academy. Serie che del resto ci aveva già abituato alla compresenza di sacro e profano. Di profondo e pagliaccesco. Di felice nonsense e amara consapevolezza. Maledettamente vero: il bel gioco dura poco. A volte forse dovrebbe durare un po’ meno. Ma in fondo in questo caso, la cosa più importante è che sia giocosamente durato.

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Livio Pacella [altrove Al Lecap o liviopacella]. Attore, autore, regista, filosofo ballerino, poeta maledetto, bohemien, da tempo impegnato nella stesura di "In Progress - a work", continua a vivere, tra lo stupore generale, al di sopra dei suoi mezzi.

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