Nel maggio 2022 moriva il grande attore Ray Liotta. Riproponiamo qui l’articolo su Shades of Blue, una serie poco conosciuta in Italia, che lo vede protagonista assieme a J-Lo.
Shades of Blue (NBC, 2016-18) è una serie crime drammatico-poliziesca (cop drama) in 3 stagioni (per un totale di 36 episodi) piuttosto sgangherata e superficiale nei contenuti, quanto acrobatica e roboante nella forma. Basata sull’omonimo racconto – Shades of Blue: 30 Years of (Un)ethical Policing – di Michael Rudolph, protagonisti sono Jennifer Lopez e il mitico Ray Liotta ; nel cast c’è anche Drea de Matteo (I Soprano, Sons of Anarchy). Attualmente si può trovare su Infinity+.
La serie racconta la storia di Harlee Santos (J-Lo), detective di punta in una squadra di bravi e corrotti poliziotti, capitanata dal carismatico tenente Wozniak (Ray Liotta). Incastrata dall’FBI mentre prendeva l’abituale mazzetta da uno spacciatore, Harlee è costretta a lavorare sotto copertura contro i suoi stessi compagni. Ritrovandosi dilaniata dal seguente dilemma: rischiare di perdere l’amata figlia adolescente; finendo in prigione, oppure incastrare e rovinare i suoi stessi amici: la sua squadra, che per lei è come una famiglia.
Niente di nuovo tematicamente, anzi. La figura dell’antieroe, contraddittorio e pieno di zone d’ombra, è un ormai un topos narrativo. In questo specifico caso, la serie di riferimento è assolutamente The Shield, cui Shades of Blue somiglia molto, pur non condividendone la profondità e l’ispirazione. Ma queste mancanze sono bilanciate da una trama iperadrenalinica, con dialoghi e interpretazioni decisamente (e volutamente) sopra le righe. Tutto è spinto con l’acceleratore, in modo talmente esuberante e parossistico da risultare al limite dell’allucinazione. Ogni episodio è una sequela di colpi di scena che avvengono quasi senza soluzione di continuità, talvolta anche a scapito di coerenza e credibilità della storia.
Shades of Blue: il “sopra le righe” come normalità americana
Per tenere la suspence continuamente a mille ci vogliono interpretazioni pazzesche, che risultino cioè verosimili pur essendo all’insegna dell’eccesso. Cosa che gli attori americani sanno fare molto bene, assieme ad esempio ai sudcoreani. Immagino questo sia in parte dovuto allo sviluppo, a partire dagli anni ’80, di un peculiare cinema d’azione, ad alto tasso di spettacolarità. Questi attori riescono a mantenere ‘la verità’ del proprio personaggio pur spingendosi ben oltre i limiti della verosimiglianza. Riescono insomma ad essere sempre credibili, anche quando ciò che dicono e fanno è assolutamente incredibile.
Così è l’interpretazione di Jennifer Lopez, fantastica nel prodigarsi tra espressioni da dura ed altre di pathos o terrore, seguite subito dopo da amore materno. Il tutto con impeccabili mise e messa in piega, in un difficile equilibrio tra la realtà del personaggio e la caratura sexy dell’attrice. Grande anche – nel senso di cui sopra – l’interpretazione, tutta in divenire, di Warren Kole, (24, The Wilds) nei panni di Robert Stahl, a capo della task force FBI anticorruzione. Costretto ad avere quotidianamente a che fare con l’affascinante Harlee / J Lo – la sua talpa – finirà con il perdere per lei completamente la testa, fino a trasformarsi in uno psicopatico stalker omicida ricercato dalla sua stessa agenzia.
Ma l’eccellenza nella recitazione eccessiva spetta di merito al fantastico Ray Liotta, il tenente Wozniak a capo di questa efficiente e corrotta squadra della polizia di Brooklyn. Grande figura paterna per i suoi subalterni, specialmente per la sua pupilla Harlee – che proprio per questo profondo affetto non vorrebbe doverlo tradire -, Wozniak mantiene l’ordine mettendosi allo stesso livello dei criminali, agendo quindi impunemente tra pestaggi, bustarelle e persino, all’occorrenza, omicidi.
Il Wozniak di Ray Liotta: un mostro col distintivo
Sposato felicemente e felicemente bisessuale, con un figlio giornalista che vorrebbe scrivere un pezzo sul marcio che vi è nella New York City Police Department, con cui ha naturalmente un rapporto complicato, Wozniak è un uomo dai forti appetiti e capace di molti, moltissimi compromessi. Animato sempre dalle migliori intenzioni – a lastricare la sua strada per l’inferno – e da pochissime regole, del tipo: la famiglia e il suo benessere prima di tutto; i cattivi davvero cattivi vanno semplicemente tolti di mezzo, senza troppe remore legali o morali. Wozniak è il classico cacciatore di mostri, diventato col tempo a sua volta mostro – un mostro con il distintivo.
Lui è il vero obiettivo dei federali: da qui il dilemma di Harlee che è poi il motore della storia – quale famiglia salvare? L’eroina dovrà per forza attraversare tutti i gironi del suo personale inferno esistenziale, per poter infine maturare la sua scelta. Questo mentre l’agente dell’FBI si smarrisce a sua volta nel suo personale inferno e Wozniak invece dell’inferno commette tutti i peccati immaginabili, a suo modo, candidamente.
La figura interpretata da Ray Liotta (Quei bravi ragazzi, Black Bird) è irresistibile proprio per questa sua peculiare filosofia: in un mondo popolato da ombre, non si può che essere a propria volta ombra. Ombrose sfumature (shades) del blu (blu è il colore delle divise della polizia). Per questo Wozniak, nonostante i numerosi delitti, non è mai minimamente turbato dal punto di vista morale. Il suo turbamento, se così si può dire, è di tipo tragico: egli accetta l’orrore del suo mondo e lo vive fino in fondo, non credendo in alcuna possibilità di redenzione.
“Sometimes the best cops aren’t always good cops.”
Harlee, invece, ha disperatamente bisogno di credere che una redenzione sia possibile. Deve farlo, innanzitutto, per il futuro di sua figlia, ancora adolescente. Deve poter avere un modello positivo a cui fare riferimento. Deciderà quindi di pagare un prezzo assai alto per la sua convivenza e connivenza con le ombre, e lo pagherà per tutti. Perché è il sacrificio di sé l’unica vera redenzione possibile (anche questo è invero un altro topos narrativo trito e ritrito, ma il forte di questa serie stereotipata – si è ormai capito – non è la storia).
Attorno e assieme a quelle dei due protagonisti oscillano anche le bussole morali di tutti gli altri personaggi, Quasi tutti appartenenti alle forze dell’ordine (polizia, affari interni, FBI). Ciascuno con i propri bisogni, desideri, impulsi, ossessioni, ciascuno finendo con il ballare attorno al proprio distintivo. In un ballo di rado in compagnia, più spesso egoista e solitario (come quello di Stahl, il federale che si gioca carriera e libertà, dando sfogo a tutta la sua anima nera e perseguitando Harlee con ogni mezzo a sua disposizione).
La giustificazione di questi poliziotti alleati con il crimine è presto detta: ci si preoccupa che la droga spacciata non sia tagliata male, che non ci siano pusher nei pressi delle scuole né sparatorie in strada, cose così… E se poi c’è anche da guadagnarci qualcosa, che male c’è?
Shades of Blue: violare la legge “per il bene comune”
Come già in The Shield, gli sbirri corrotti agiscono convinti di fare il bene della società. La vita di strada è fatta solo di ombre e sfumature, non c’è spazio per il mito del bene contro il male. Ha dunque senso controllare e regolare un‘illegalità accettabile, come i traffici di droga e prostituzione, alleandosi con i criminali. Ed essere sempre pronti a neutralizzare le vere minacce per la società. Ovvero psicopatici, pedofili e assassini seriali: quelli insomma che con la loro sanguinaria follia minano realmente la stabilità collettiva.
In questo senso, il sottotesto di questa trama così scontata è: cittadini delle grandi città americane, fidatevi sempre e comunque dei vostri tutori dell’ordine. Anche quando non sembrano seguire le regole – o sono addirittura palesemente corrotti -, probabilmente hanno le loro ottime ragioni. Se non altro, potete stare sicuri che sono dalla parte giusta – quella con il distintivo. E per non cadere nella totale anarchia, una parte giusta dovrà pur esserci.
Su questo underground etico dubbio e scivoloso si dipana la storia di Shades of Blue. Tra le cui ombre bluastre brillano l’insensata adrenalina degli innumerevoli colpi di scena e la conturbante sensualità di J-Lo mentre scruta l’abisso morale. Infine, la magistrale lezione di Ray Liotta, attore che le ombre le fagocita a colazione, letteralmente, per poi sfumarle nella sua intensa espressività. Anche quando questa è costretta ad essere poco sfumata. In fondo, chi non vorrebbe essere ‘protetto e servito’ (To Serve and Protect) dal tenente Wozniak?
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