Bob’s Burgers è una serie animata statunitense in 14 stagioni (Fox, 2011 – in corso), per la bellezza di 276 episodi, e un lungometraggio (2022). Creatore dello show è Loren Bouchard (Central Park, Lucy the Daughter of the Devil), che è uno dei produttori esecutivi, mentre la sceneggiatura è affidata ad una ventina di autori diversi (tra cui ovviamente lo stesso Bouchard). Dal 2014, inoltre, esiste anche una serie a fumetti (Dynamite Entertainment) dedicata a Bob e la sua famiglia, mentre nel 2017 è stato pubblicato un album di colonne sonore basate su questa serie animata. In Italia Bob’s Burgers non è famosissima come negli USA o in altri paesi del mondo. Da noi la serie, inizialmente trasmessa da Fox (poi Fox Animation), è ora completamente su Disney+, film compreso.
Al suo debutto Bob’s Burgers ha ricevuto recensioni per lo più negative da parte della critica. Che è andata invece ricredendosi a partire dalla seconda stagione. Il giudizio medio di Rotten Tomatoes le riconosceva del potenziale, bisognoso però di “trovare il suo ritmo”. Per Reuters sembrava “intenzionata a scimmiottare il quoziente di volgarità de I Griffin“. Il Washington Post lo definiva “l’ennesimo cartone animato […] inutilmente volgare e noioso”. Per TV Guide si trattava di un prodotto “rozzo e sgradevole”.
Maureen Ryan, redattrice di Vanity Fair, sintetizza bene il cambio rotta di tutti questi giudizi: “Credo di avere istintivamente liquidato Bob’s Burgers come un’altra serie un po’ volgare e un po’ divertente, senza rendermi conto di quanto cuore avrebbe avuto alla fine”. Così, nel 2013 la stessa TV Guide classifica lo show tra i 60 migliori cartoni animati di tutti i tempi. E Bob’s Burgers, candidato per sette anni consecutivi all’Emmy Award come miglior programma animato, vince nel 2014 e nel 2017.
La famiglia americana (più o meno) tradizionale
Se la delicatezza di Bob’s Burgers ha avuto bisogno di tempo prima di venire apprezzata dalla critica, ce ne è voluto un po’ anche prima che gli spettatori ci si affezionassero. Il suo stile di animazione non corrisponde all’ironia satirica de I Simpson (che incontrano Bob e famiglia in un crossover di Halloween 2017), o alla comicità demenziale de I Griffin (Peter e Homer da Bob’s in S21 E15!), e nemmeno alla trasgressività iconoclasta di South Park.
Sono trascorsi ormai quasi 40 anni da quando il popolo giallo di Springfield ha inaugurato un filone – quello delle serie animate statunitensi per adulti – a cui le piattaforme di streaming hanno dato nuova linfa e nuovi spazi. All’interno di questo filone, una buona parte degli show più noti, riprendendo il genere sitcom (da Il mio amico Arnold a Modern Family) ha per protagonista la famiglia americana (più o meno) tradizionale, di solito con tre figli (o due e un alieno). Altri esempi sono American Dad e The Cleveland Show (entrambi di Seth McFarlane).
E in questo novero a buon diritto appartiene Bob’s Burgers, che forse non a caso richiama vagamente l’atmosfera di un’altra famiglia strampalata – quella di King of the Hill (serie che aveva chiuso i battenti dopo 13 stagioni, pochi anni prima del debutto di Bob’s). E forse non a caso Jim Dauterive, sceneggiatore e produttore di King of the Hill, ha contribuito anche allo sviluppo del nostro show, accanto a Bouchard. Ad ogni modo la famiglia di Bob’s è assolutamente normale, ovvero – caso rarissimo di questi tempi – non è disfunzionale.
I protagonisti di Bob’s Burgers
Bob’s Burgers racconta le quotidiane avventure di una famiglia (più o meno) normale alle prese con la gestione di un piccolo ristorante o meglio, di una hamburgeria. Bob Belcher, che ne è il proprietario, nella sua attività mette anima e corpo: è un bravo cuoco e, purtroppo, un mediocre commerciante. Accanto a lui, nella buona e nella cattiva sorte, l’imprevedibile, stravagante e canterina moglie Linda, l’impacciata e stramba figlia maggiore Tina (13 anni), l’estroverso e pagliaccesco Gene (11 anni) e la sarcastica e manipolatrice Louise (9 anni).
La piccola e fatiscente paninoteca, chiamata per l’appunto Bob’s Burgers, si trova su Ocean Avenue, in una non meglio definita località balneare (East o West Coast? Mah…), la cui maggiore attrattiva è il Wonder Wharf, un vecchio e malconcio luna park sul molo. Che appartiene, assieme al locale e a metà degli immobili della città, all’eccentrico Mr. Fischoeder, che riscuote ogni mese gli affitti andando in giro con un golf cart.
Tra i tanti personaggi non possiamo non citare Teddy, il miglior cliente di Bob, nonché suo miglior amico. E poi Gayle, la gattofila e patologica sorella single di Linda. Jimmy Pesto, lo strafottente proprietario dell’omonima pizzeria dall’altra parte della strada, per il cui figlio – Jimmy Pesto Junior – Tina ha una cotta più o meno segreta. Infine Mr. Frond, il ridicolo consulente scolastico della Wagstaff, la scuola che frequentano i tre piccoli Belcher, e Hugo, l’ispettore sanitario ex fidanzato di Linda, che perseguita Bob per ripicca. Chiudiamo con un tizio in pattini e costume da bagno, che appare di tanto in tanto sfrecciando e urlando surreali perle di saggezza.
Sul doppiaggio dei cartoni animati
Due parole sul doppiaggio in italiano: a differenza di film e serie in cui privare della voce un attore o un’attrice in carne e ossa è semplicemente dissacrante e, anzi, spesso costringe lo show ad un appiattimento generale della qualità, con le animazioni è tutta un’altra storia. I personaggi dei cartoni animati, non avendo un corpo, possono essere soggetti alle interpretazioni vocali più disparate, il limite essendo unicamente culturale (tipo lo straniamento dato da un cowboy che parla cinese).
Ma italiani e americani vanno culturalmente abbastanza d’accordo – molto probabilmente a causa della colonizzazione operata dai secondi sui primi – e spesso e volentieri, nel campo delle animazioni, capita di assistere addirittura a miglioramenti apportati dal doppiaggio. Non sempre (non è ad esempio il caso di Rick and Morty) ma spesso, ed è sicuramente il caso di Bob’s Burgers (incredibile la voce di Linda fatta da Davide Lepore). Unica nota dolente: da metà della decima stagione Bob ha la voce di Mino Caprio (già Peter Griffin) e non più, ahimè, di Roberto Stocchi.
Una curiosità: dopo 10 anni in cui aveva dato voce a Jimmy Pesto, Jay Johnston è stato licenziato per aver preso parte all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.
L’importanza della famiglia in Bob’s Burgers
Questo cartone animato è diverso da tutti gli altri del suo genere per diversi fattori. Innanzitutto qui viene evitata qualsiasi stravaganza visiva, tanto da sembrare ogni episodio un minifilm con attori animati. Il plot di questa episodica commedia è sempre giocato sulle diverse personalità dei protagonisti. Peculiarità che richiedono tempo per essere messe a fuoco e apprezzate. Così, ad esempio, la mania della goffa Tina per i cavalli da una parte e per gli zombie dall’altra, esprime il confuso passaggio dall’infanzia all’adolescenza che si vive nella pubertà.
Bob adora parlare di nascosto con le vivande che sta per cucinare. Louise è inseparabile dal suo copricapo rosa con le orecchie da coniglio. Gene, aspirante showman e musicista, non si separa quasi mai dalla sua tastiera, con cui riesce a malapena a strimpellare qualche effetto. Linda invece di sera fatica a separarsi da un calice – o da una bottiglia – di vino. Rinunciando alle classiche gag demenziali e presentando una comicità più adulta, delicata e sfumata, Bob’s ingrana necessariamente dopo un po’ di episodi. Se non addirittura (qualcuno dice) dopo un’intera stagione.
Perché qui l’obiettivo è creare una sorta di legame affettivo con questa strana e meravigliosa famiglia. Una famiglia, quella dei Belcher, che immancabilmente fatica a pagare l’affitto alla fine di ogni mese. E che vive ogni giorno qualche bizzarra avventura, solitamente legata alla loro stramba quotidianità. Anche se spesso la sceneggiatura ricorre alla doppia trama (alcuni membri vivono una storia, i restanti una seconda parallela), il finale prevede sempre la famiglia retoricamente riunita. Retoricamente: mai però stucchevolmente, anzi.
Un fallimento dietro ogni angolo…
Spesso le avventure riguardano la stessa sopravvivenza del loro locale. A differenza infatti di Homer Simpson e Peter Griffin, entrambi dipendenti (rispettivamente di una centrale nucleare e di una fabbrica di giocattoli), Bob lavora in proprio, aiutato da tutta la famiglia. Qualche critico ha voluto vederci una metafora della tragedia della classe media americana, fatta a pezzi dalla crisi del 2008. Nella sigla iniziale, l’insegna del negozio alla sinistra del Bob’s Burgers cambia in ciascun episodio. Come se vi operasse un fallimento a catena.
Fallimento che aleggia anche sul ristorante, perché Bob, come si diceva, è un pessimo imprenditore. Ha una visione troppo romantica della cucina in generale e dei suoi hamburger in particolare. E fatica molto a piegarsi alle più semplici logiche commerciali. La sua passione lo porta a concepire ogni giorno un nuovo ‘hamburger del giorno’ (dai nomi sempre divertentissimi), cosa che ha ricevuto lodi da diversi veri chef. Forse il fatto che il ristorante sia così spesso a rischio chiusura, deriva dalla condizione degli stessi autori, che hanno “sempre avuto la sensazione di poter essere cancellati in qualsiasi momento” (Bouchard).
“Siamo tutti Bob Belcher in fondo e quindi immaginiamo un fallimento dietro ogni angolo. In realtà ci sorprendiamo che sia così difficile mandare avanti un serial per tante stagioni. […] Ma amiamo la sfida proprio per questo. I personaggi ci suggeriscono di essere degni di nuove storie, ci fanno tornare ed essere creativi…”
Bob’s Burgers: un comfort show
Classica caratteristica dei cartoni animati è la costruzione di un mondo dove il tempo sembra non passare mai. I Simpson hanno ormai trascorso più di una trentina di Natali, a conti fatti, avendo sempre la stessa età. La stessa logica vale per i Belcher. In questo presente indefinito, Tina vive ogni infatuazione come fosse la prima. Louise scopre ogni volta daccapo che il suo egoismo non può sempre essere assoluto. E Gene che deve cominciare a cavarsela da solo.
Mentre le produzioni più recenti (da Rick and Morty a Disenchantment) vanno nella direzione contraria, accettando l’idea di evoluzione orizzontale. E quindi andando più o meno inevitabilmente verso una fine, ovvero un finale della saga. Bob’s Burgers invece potrebbe continuare idealmente per sempre, come I Griffin o South Park. “[…] Finché tutto ciò funziona, possiamo continuare così. Non c’è crescita anagrafica ma di profondità all’interno dei personaggi”.
Senza avere grandi pretese, e restando fedele al suo tipico umorismo nero, lo show negli anni non è quindi mai cambiato, nel senso migliore del termine. Riuscendo quasi sempre a bilanciare pathos, eccentrico realismo e una comicità fuori dagli schemi. Tanto da diventare per tanti un comfort show: “molte persone dicono che vedere la serie le fa stare bene e questo mi dà molta gioia”.
Citazioni, leggerezza e schifido umano (troppo umano)
Ne I Simpson la realtà americana viene non solo rappresentata direttamente, ma anche indirettamente citata attraverso battute più o meno sarcastiche. Le citazioni in Bob’s Burgers – spesso pronunciate da Gene, un aspirante cabarettista di 11 anni! – richiedono un po’ di cultura generale per essere comprese e apprezzate. Così come alcuni titoli degli episodi (Sliding Bobs, Stand by Gene, Bob Actually, Grand Mama-Pest Hotel…) non sono che ammiccamenti metacinematografici.
Ad ogni modo Bob’s riesce a rendere leggeri anche i suoi tanti riferimenti, colti o pop che siano. Perché la leggerezza è una delle chiavi portanti di questo show, che si diverte a decostruire sitcom, musical e cinema più che ad essere un puro e semplice cartone animato. E nonostante i mille riferimenti allo schifido umano (troppo umano) – pipì, pupù, cose puzzose o caccolose (oh god) ecc. – Bob’s non è mai volgare, anzi. Lo show ad esempio non ha mai usato una parola che dovesse essere censurata dalla rete o dalla piattaforma.
Del resto lo schifido di cui sopra è assolutamente naturale detto da un bambino di 11 anni che parla in famiglia. Soprattutto se la famiglia è dei bassifondi, non costretta ad etichette di comportamento di alcun tipo. E a differenza de I Griffin e compagnia bella, dove spesso è solo un tema tra gli altri, qui la famiglia è palesemente il tema centrale. Il legame indissolubile che unisce i Belcher è chiaro e cristallino. “Siete i miei figli e vi voglio bene. Ma siete tutti pessimi in quello che fate qui. E sento di dovervi dire che vi licenzierei tutti se potessi”.
Bob’s Burgers – Il Film
Nel 2007 I Simpson approdano sul grande schermo. È l’esordio di una ‘sitcom animata’ al cinema. “All’epoca dissero quanto era stato difficile realizzare la serie e il film contemporaneamente. Li prendevamo in giro ed ora ci sentiamo incredibilmente in colpa.” Nel 2022 esce nei cinema Bob’s Burgers – Il Film, sostanzialmente un episodio in formato extralarge (dalla durata cioè di 1 ora e mezzo), con il compito di attrarre nuovo pubblico e di grattare “ogni prurito che i fan dello show hanno mai avuto”.
Il budget più consistente permette un più ampio respiro tecnico e stilistico. Ci sono tanti (troppi?) momenti musical all’interno della pellicola, e l’ambientazione è quella del thriller, tipica di svariati episodi cult. Il tema rimane comunque quello della serie: i componenti della famiglia Belcher devono affrontare le proprie paure e i propri problemi, dalle altalene nel cortile della scuola all’affitto e al mutuo da pagare, fino al dichiarare i propri sentimenti. E anche questa volta devono superare qualsiasi ostacolo per salvare l’attività di famiglia.
Come sempre, tra delicate risate e momenti vagamente malinconici. Ispirando quella loro irresistibile tenerezza, mai zuccherina. Perché in fondo Bob’s Burgers è una sitcom animata leggermente comica, e terribilmente poetica. Provare per credere. E se non sarete ancora convinti, provate una seconda stagione per ricredervi. E se anche questo non dovesse bastare, tornate a guardare I Simpson.
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