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Long Story Short: 20 stagioni in una, e l’eredità di Bojack Horseman | Animazione
Long Story Short, podcast | Puntata a cura di Untimoteo.
Dopo Bojack Horseman e lo psichedelico Undone Raphael Bob-Waksberg è tornato su Netflix con una nuova serie animata: Long Story Short. 10 episodi da 30 minuti l’uno per una commedia familiare agrodolce, ma con un piccolo dettaglio che la rende unica: non segue un ordine cronologico. Ogni episodio è un tuffo nel passato, o nel futuro, della famiglia Schwooper. Un esperimento narrativo ma non un azzardo. Che, anche se non è ancora un capolavoro, ha un grande potenziale. Visto anche che la serie è stata già confermata per una seconda stagione.
La firma di Bob-Waksberg si vede anche nel team: al suo fianco c’è di nuovo Lisa Hanawalt, co-creatrice e designer di Bojack, che con il suo stile colorato e bidimensionale dà un’anima visiva inconfondibile anche a questa nuova serie.
Il cartone ci catapulta nella vita di una famiglia ebrea americana, gli Schwooper. Un mix agrodolce di comicità e dramma, ricordi amari e speranze. Ma la storia non è affatto lineare. Un episodio può essere ambientato nel 2021, quello dopo ci riporta al 1996, e magari un altro ancora fa un salto negli anni ’50. Un vero caos temporale – ma un caos studiato.
“Animazione” è il format del podcast di Mondoserie dedicato alle diverse scuole ed espressioni del genere, dall’Oriente alla scena europea e americana.
Meet the Schwoopers
I protagonisti sono la famiglia Schwooper, cognome che nasce dalla fusione fantasiosa di quelli dei due genitori: Naomi Schwartz e Eliot Cooper. Hanno tre figli: Avi, Abbi e Yoshi. A primo impatto, le dinamiche familiari possono sembrare già viste.
C’è il primogenito petulante, Avi, egocentrico, nerd e perennemente in crisi. Ha una moglie, Jen, e una figlia, Hannah, che non sono ebree, e lui stesso abbandona presto la fede. C’è Abbi, la secondogenita ribelle e apparentemente menefreghista, che in realtà dimostra un profondo desiderio di uniformarsi alle convenzioni familiari. Lesbica fin dai tempi del liceo, forma una sua famiglia con Kendra. E infine c’è Yoshi, il piccolo di casa, afflitto da ADHD, perennemente iperattivo e distratto. Nonostante sia il “lato leggero” della famiglia, la scrittura di Bob-Waksberg gli regala i passaggi più esilaranti e imprevedibili.
E i genitori? Anche loro sono tipi che abbiamo già visto e rivisto nelle sitcom. La madre ipercritica, Naomi, una vera matriarca autoritaria che non disdegna il ricatto emotivo. Il padre, Eliot, il classico “uomo tappezzeria”, che davanti ai problemi preferisce fare spallucce, sperando che si risolvano da soli. Insomma, un quadro che conosciamo bene. Ma il punto è che Bob-Waksberg gioca proprio con queste convenzioni.
Long Story Short: un caos controllato per descrivere la crisi emotiva.
La prima fonte di interesse per questa storia sta nella sua struttura. Long Story Short ha un andamento frammentato, procede per episodi autoconclusivi pescando avanti e indietro nella vita degli Schwooper. Fatta eccezione per un episodio dedicato a Kendra, la moglie di Abbi, la linea da seguire è sempre quella della famiglia.
È un meccanismo insolito, ma vincente. Perché vedere Avi crescere in un lampo, per poi rivederlo di nuovo adolescente la puntata successiva, o trovare nella stessa puntata una Naomi ingrigita e incattivita e la sua controparte bambina, non può che promuovere una visione attiva. Lo spettatore deve continuamente tessere e ritessere l’arazzo familiare, posizionare e riposizionare i tasselli della storia, e cancellare le prime impressioni su un personaggio in seguito a una rivelazione. Ci obbliga a immaginare miriadi di vicende accadute tra un episodio e l’altro.
In Long Story Short, Bob-Waksberg innesca una specie di roulette che estrae episodi a caso, ma l’intento è lo stesso: esplorare in modo profondo e spesso malinconico le insicurezze e le difficoltà dei legami umani. L’importanza del retaggio, dell’eredità.
Proprio per questo, anche con qualche momento comico e la sua andatura sghemba, in questa serie fa un leggero passo indietro in tema di assurdo. La sua natura frammentata e distorta, come quella dei nostri ricordi, implica già uno sforzo da parte dello spettatore.
Bob-Waksberg non ha cambiato le priorità della sua poetica: la solitudine, l’amore, il bisogno di attenzione e di essere accettati per quello che si è.
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