Animal Kingdom è una serie crime statunitense (TNT, 2016-22) in 6 stagioni e 75 episodi da 1h ciascuno. Sviluppata da Jonathan Lisco, la serie si basa sull’omonimo film australiano del 2010, scritto e diretto da David Michôd. Che è tra i produttori esecutivi, assieme a Liz Watts, al sopracitato Lisco e a John Wells (The West Wing, Shameless). Dal sodalizio di questi ultimi due era già nato l’ottimo poliziesco Southland. In Italia le prime due stagioni di Animal Kingdom erano inizialmente disponibili su Infinity TV, mentre le restanti quattro sono andate in onda su Premium Crime. L’intera serie si può ora trovare su Prime.
Il lungometraggio di riferimento, uno dei più riusciti crime noir australiani, vincitore del premio della giuria al Sundance Festival 2010, è anche valso una nomination all’Oscar come attrice non protagonista alla straordinaria Jackie Weaver (Yellowstone). Nel cast del film il sempre incredibile Ben Mendelsohn (Bloodline) e Guy Pearce (Omicidio a Easttown). Dall’australiano Animal Kingdom, la serie americana commissionata dal canale via cavo TNT (Sons of Anarchy, per intenderci) non deriva tanto la trama – né tantomeno l’ambientazione -, ma solo i protagonisti e le loro complesse relazioni all’interno della famigerata famiglia criminale dei Cody.
Famiglia capeggiata da una matriarca, Janine detta ‘Smurf’, interpretata nella serie dalla grande Ellen Barkin (che regge magistralmente il confronto con l’originale). Smurf è per noi qualcosa come puffetta – ma ha forse più senso riferito al phisique du role della Weaver che a quello della Barkin. Famiglia in cui irrompe Jay, il nipote 17enne, dopo la morte della madre. Famiglia, infine, che Michôd (autore del film) aveva derivato da una nota realtà criminal-familiare di Melbourne (i Pettingill). Ma la serie ovviamente non è ambientata nella grigia periferia della metropoli australiana fine anni’80. Ora siamo nell’assolata California del Sud, nel XXI° secolo.
Animal Kingdom: Smurf
La prima scena della serie Animal Kingdom è piuttosto agghiacciante. In uno squallido appartamento un paio di paramedici tentano invano di rianimare una donna che giace riversa su un triste divano. Al suo fianco siede un ragazzo, che non riesce a staccare lo sguardo da un insulso quiz televisivo. La donna è Julia, morta per overdose di eroina. Il ragazzo si chiama Joshua, detto Jay (Finn Cole, Peaky Blinders), suo figlio. Non sapendo nemmeno chi sia suo padre, a Jay non rimane che un numero da chiamare: quello di Janine Cody, sua nonna. La madre con cui Julia aveva rotto i rapporti, e che non vedeva da più di 10 anni.
L’adolescente si ritrova così catapultato dal suo quartiere degradato – in cui viene regolarmente braccato e pestato dai pusher, per i debiti della madre – ad una grande e sontuosa villa con piscina in quel di Oceanside. E ritrova anche i suoi zii, dei quali non serba naturalmente memoria. Questo perché Julia ha cercato per tutto il tempo di tenerlo distante da quella casa e dagli altri Cody – Janine in particolare. Perché ‘nonna Smurf’ non solo è l’ambiguo e spietato capo del clan criminale costituito dai suoi ‘ragazzi’, ma è anche il riferimento imprescindibile del sottobosco malavitoso di Oceanside e dintorni.
Per delinquere da quelle parti, devi avere il consenso di quella bionda ed elegante signora dai modi affettati, talvolta dispotici talaltra morbosamente melliflui. Si occupa di rapine, ricettazione e omicidi con la stessa naturalezza con cui prepara i suoi tanti manicaretti e con la stessa metodica perizia con cui pulisce casa – sempre però impeccabilmente vestita e ingioiellata. Nessuno sa, o vuole – o può – opporsi all’imperscrutabile volere della mostruosa e manipolatrice matrona di Oceanside.
Baz, Pope, Craig, Deran – e Jay
Di sicuro a lei non sanno opporsi i figli, la cui banda è guidata – sempre con la sua benevolenza – dall’unico per così dire adottato: ‘Baz’ (Scott Speedman – Felicity). Intelligente, prestante, carismatico: Baz, avendo avuto una storia con Julia poco prima che se ne andasse (cioè venisse buttata fuori da Smurf) di casa, è con molta probabilità il padre di Joshua – cosa che non interessa a nessuno dei due. Andrew, detto Pope (Shawn Hatosy – Southland), il maggiore dei Cody – gemello di Julia – è appena uscito di prigione. Violento, imprevedibile, disturbato, in una parola uno psicopatico.
Al contrario di Baz, Pope è il più inquietante tra gli zii di Jay, talvolta temuto dai suoi stessi fratelli. Il cane sciolto Craig (Ben Robson, Vikings), aitante e irruente, è intossicato di adrenalina e tossico di cocaina. Il cane bastonato Deran (Jake Weary – Pretty Little Liars), l’ultimo dei figli di Smurf, è anche il più ombroso e problematico (fatta eccezione per Pope, che però gioca in un altro campionato, per così dire).
Avuti tutti da padri diversi, i figli di Smurf sono al contempo la banda di Smurf. Sono stati da lei severamente educati, fin dalla più tenera età, ad usi e costumi del mondo criminale. Quali crimini? La banda dei Cody predilige i colpi mirabolanti pianificati al dettaglio, rapine e furti con destrezza in grande stile. Colpi che, per poter funzionare, devono essere pazientemente preparati. E che richiedono una cieca fiducia nei propri compagni. Per questo il legame di sangue è per loro così importante. E sempre per questo Jay, pur essendo il nipote, viene visto come una sorta di intruso fin dal suo arrivo, e trattato con la diffidenza che si riserva agli estranei. Una minacciosa vigilanza segue tutte le mosse del diciassettenne. Che è però protetto da Smurf, ed è quanto basta.
Animal Kingdom: il regno animale
Per Joshua, abituato a convivere da tutta la sua giovane vita con l’incubo di una madre tossicodipendente – con tutto ciò che deve esserne tristemente conseguito – ritrovarsi di colpo nel clan dei Cody, circondato da soldi, lusso, droga, pistole e cocktail party, anche se con una costante sensazione di pericolo di fondo, è a dir poco frastornante. E al contempo irresistibile: il ragazzo è attratto da quello stile di vita, dai suoi comfort e dai suoi eccessi. Così come è incuriosito dagli strani legami di quella famiglia. Tutti gli zii sembrano vivere da Smurf, pur avendo ciascuno un proprio posto. Sembrano non poterne fare a meno.
Un intreccio familiare ferreo e malato come solo possono esserlo un patto criminale e un patto di sangue. Un patto che tutti i Cody maschi hanno involontariamente e inconsapevolmente stretto fin dalla nascita, come si vedrà sempre più chiaramente. Ora però sembra essere arrivato il turno di Jay. Il ragazzo è molto intelligente, i suoi voti al liceo sono ottimi. Smurf e Baz sanno bene che questa è una dote preziosa nel loro ambiente. Appurato che di lui ci si può fidare, viene introdotto nel loro mondo malavitoso o meglio, nel loro regno animale.
Un regno fatto di ricompense e punizioni, a seconda del volere della capobranco. Che, con tutta la sua malizia, è la prima a scatenare l’aggressività tra i figli, gelosi delle attenzioni che dedica al brillante adolescente. Attenzioni e gelosie che distolgono i ragazzi dalla ricerca di affermazione di una propria indipendenza, fortemente voluta da Baz. L’arrivo di Jay è capitato al momento giusto per Smurf, così da poter sparigliare nuovamente le carte sul tavolo, cambiando equilibri familiari e dinamiche ‘lavorative’. E mantenere incontrastata la sua leadership.
La psicologia malata di una famiglia criminale
L’amore protettivo e vagamente incestuoso di Smurf per i suoi figli nasconde infatti a malapena il suo feroce e prevaricante egocentrismo. La sua famiglia borderline è in realtà nient’altro che il suo privato clan criminale. Smurf ha bisogno di tenere tutti bloccati in un legame malato e ossessivo: il sociopatico Pope ne è l’esempio più lampante. Ossessionato dalle figure femminili – la gemella morta, la donna di Baz, la ragazza di Jay -, con cui è sempre stato incapace di interagire, è assolutamente incapace di staccarsi dalla madre, che regola in tutto e per tutto la sua esistenza.
All’opposto lo scalpitante Baz, con la sua canagliesca faccia da bravo ragazzo, potrebbe fare benissimo a meno di Janine. Cosa che lei sa perfettamente. Craig, il simpatico cialtrone della banda nonché quello più sbandato, ha continuamente bisogno che lei lo tiri fuori dai casini, che lui finisce irrimediabilmente per combinare. Il più piccolo, Deran, è colui che maggiormente soffre l’esserne succube: a partire dalla sua omosessualità tenuta gelosamente nascosta per paura del giudizio materno, fino al sogno di aprire un bar per surfisti. Sogno che per il momento rimane tale, ancora una volta per paura del giudizio di Smurf.
Questo è il torbido e cinico rapporto che la lupa ha avuto e ha ancora con i suoi cuccioli, anche se cresciuti. E quando la capobranco accoglie il nuovo esemplare, inizialmente debole e indifeso, il resto del branco mostra subito le zanne.
Animal Kingdom: un romanzo seriale di formazione
L’accettazione del giovane lupo passerà attraverso la sua sottomissione alla volontà ferina di branco e capobranco, la rinuncia alla propria coscienza, e la partecipazione alle selvagge incursioni del gruppo. Il regno animale richiede di saper essere feroci o remissivi al momento giusto. Di saper insomma mostrare le zanne o porgere il collo, a seconda. Bisogna poi cacciare e rischiare assieme il tutto per tutto, sporcarsi, e addirittura ferirsi. Anche se, paradossalmente, Smurf non vorrebbe che Jay si sporcasse le mani con i suoi ragazzi. La sua intelligenza è troppo preziosa per essere messa così a rischio. Ma questo i suoi ragazzi non lo capiscono. Di sicuro non lo accettano.
Jay, come sempre tra l’incudine e il martello, è costretto a vivere in modo contraddittorio. Costretto a surfare tra diverse intenzioni e progetti malavitosi, ora di sua nonna ora dei suoi zii. A proposito di famiglie disfunzionali! Ma appartenere alla famiglia criminale più temuta della città è meglio che essere minacciati e picchiati dai vari pusher del quartiere. Oppure no? Animal Kingdom racconta questa lenta e inesorabile discesa nella solare e malata oscurità del crimine californiano. Che alla fine sarà giocoforza anche un’inevitabile resa dei conti esistenziale.
Animal Kingdom, il regno animale in cui si svolge l’educazione sentimentale e criminale di Jay, è accostabile ai grandi romanzi di formazione. Da che parte finirà per pendere la sua bilancia morale, a forza di vivere tra rapine e follia? Da che parte quella affettiva, dato che la madre è vissuta e morta in miseria mentre la sua famiglia continuava la bella vita nell’indifferenza più totale? Chi odiare: la nonna che ha permesso tutto ciò o la madre che l’ha costretto a vivere un inferno, pur di tenerlo distante da quella stessa nonna?
Sons of Anarchy vs Animal Kingdom
Con il procedere delle stagioni, la serie torna anche alle origini criminali di Janine. I suoi primi colpi, con Manny (Rigo Sanchez – Goliath), Colin (Grant Harvey – The Crossing) – il padre di Julia e Pope – e Jake (Jon Beavers – Paradise), futuro padre di Craig. Il suo arrivo ad Oceanside. La costituzione del suo piccolo regno criminale. E la rottura con la figlia, incinta di Jay.
Il canale via cavo TNT, che ha fortemente voluto la trasposizione seriale del film australiano, è lo stesso che ha prodotto Sons of Anarchy (a cui abbiamo dedicato anche un podcast). E c’è un filo sottile che lega questi due show, entrambi ambientati nella California del Sud. Entrambi vertono sul dramma familiare, con lo spiccare della figura della matriarca manipolatrice. Sia nell’Amleto on Harley Davidson di Kurt Sutter che in Animal Kingdom, le due regine occupano una posizione a sé stante rispetto al clan criminale (il club dei Sons non accetta donne, Smurf non partecipa mai attivamente ai colpi dei figli). Tutte e due amano preparare sontuosi banchetti per i loro ‘ragazzi’, con i quali hanno atteggiamenti sempre piuttosto ambigui per essere delle madri.
Vi è poi la figura del maschio fuorilegge che affronta quasi fisicamente l’autorità. L’adrenalina, tra sparatorie e fughe ad alta velocità, è sempre rigorosamente al massimo. Le moto, il surf, i soldi, le armi: differenze e somiglianze di due mondi che rifiutano categoricamente le regole dell’ordinario consorzio civile. All’insegna di una fratellanza criminale che talvolta rasenta l’omoerotismo. Qualcosa come una bromance criminale (vedi Suburra). Anche se Baz da una parte e Jax dall’altra accarezzano il sogno di una famiglia propria – entrambi sono padri – e, di conseguenza, di una impossibile vita normale. Impossibile, perché sono fuorilegge di costituzione, nati e cresciuti in un mondo che ha il crimine nel sangue.
Legame di sangue e patto criminale
Fuorilegge nell’anima: qui sta il fascino di Animal Kingdom e Sons of Anarchy. Non solo: all’elenco si potrebbero aggiungere la gemella Mayans, la paradossale The Shield, la sottovalutata Black Sails, la mitica Vikings e la sublime Peaky Blinders (qui il podcast). Bikers, sbirri corrotti, pirati, vichinghi e la famiglia gangster degli Shelby. In queste serie crime legame di sangue e patto criminale tendono a confondersi, anzi a fondersi, divenendo un’unica cosa. Da qui la filosofia del ‘noi contro il mondo’ che serpeggia in tutte queste storie di violenza e sangue. “It’s for the club” – si ripete incessantemente in Sons of Anarchy. “Family” è invece il mantra di Smurf. Ed è la stessa identica cosa.
Tornando ad Animal Kingdom, è vero che la trama tenderebbe spesso a perdersi tra le spiagge assolate di Oceanside e nell’indistinta sequela di colpi acrobatici messi a segno dai Cody. A volte discutibili sottotrame tipo soap prendono addirittura il sopravvento. A volte invece si ha la sensazione di assistere ad una sfilata di sport estremi e fisici scultorei, tipo spot per una vacanza nella California del Sud. Ma tutto questo non ha realmente molta importanza.
La storia va comunque dove deve andare, senza fretta, frenetica e rilassata. Paradossale, dato l’elevato tasso di azione in ogni episodio. Ma la contraddittoria complessità delle psicologie di Smurf, Pope, Baz, Craig, Deran, e il romanzo di formazione sentimentale e criminale di Jay hanno davvero bisogno di tutto il tempo che una narrazione seriale può permettersi, per essere pienamente mostrate e, soprattutto, per evolvere. Evolvere verso quella sopracitata resa dei conti esistenziale che attende ognuno di loro. Dulcis in fundo, l’ipnotico brano della sigla iniziale è firmato da Atticus Ross, negli ultimi tempi inseparabile sodale creativo di Trent Reznor.
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