Unknown Number: The High School Catfish (in it. Numero sconosciuto: uno scandalo di cyberbullismo) è un documentario true crime (Netflix, 2025), della durata di 1h 34m, diretto da Skye Borgman (Girl in the Picture, Abducted in Plain Sight). Beal City, piccola città del Michigan, Halloween del 2020, giorno più giorno meno: da un numero sconosciuto di cellulare arrivano messaggi dal tono provocatorio. Vittima delle molestie Lauryn Licari, appena tredicenne, assieme al ‘fidanzato’ Owen McKenny, della stessa età. I due, fin dalle medie, sono da tutti conosciuti come ‘la coppia d’oro’.
I messaggi sono inizialmente del tipo – “Hey Lauryn, Owen ti sta lasciando”. Oppure “non gli piaci più e già da un po’!” – “è ovvio che desidera me” ecc. Questi sms, che sembrerebbero venire da una ragazzina gelosa della loro relazione, così come sono cominciati, dopo poco tempo smettono. Insomma, no big deal (niente di che). L’incubo vero e proprio comincia nel settembre 2021, quindi diversi mesi dopo, e andrà avanti per oltre un anno. I messaggi, che giungono quotidianamente a decine – fino a cinquanta in un solo giorno – insultano e minacciano sempre più pesantemente lei. Owen viene invece bersagliato da commenti e profferte sessuali sempre più esplicite e morbose.
La situazione degenera velocemente, i testi diventano osceni e minacciosi. Si passa da: “lui starà con me mentre tu, brutta solitaria, resterai sola” a “lui vuole sesso, pompini e baci, non vuole il tuo culo schifoso”…
MORTA #bangbang #suicidio
Lauryn e Owen, esasperati e spaventati, decidono di lasciarsi. Sperando così di riuscire a far smettere l’anonimo, o l’anonima, stalker. Niente da fare. Addirittura peggiorano volgarità e violenza nei riguardi di Lauryn. Si arriva all’istigazione al suicidio: “Ucciditi subito, stronza” – “La sua vita sarebbe migliore se tu fossi morta” e “MORTA #bangbang #suicidio”… Non ci sono parole.
I genitori di entrambi i ragazzi, giustamente allarmati, dopo aver tentato invano di indagare all’interno della scuola – con la ferma convinzione che dietro tutto questo ci sia una ragazzina coetanea dei due – si rivolgono allo sceriffo locale. La convinzione che l’autore o l’autrice di questa follia faccia parte della cerchia scolastica, nasce dai dettagli che lo stalker dimostra di conoscere. Lauryn viene spesso appellata ‘Lo’, nomignolo usato solo dagli amici intimi e dalla famiglia. Deve essere per forza qualcuno che è loro vicino. Ma chi potrebbe essere?
Diversi coetanei vengono – ingiustamente, con il senno di poi – accusati. E quando nemmeno lo sceriffo sa più che fare, si rivolge all’FBI. Che, trascorso ormai più di un anno dall’inizio di queste molestie, risolve finalmente il caso. Analizzando i tabulati telefonici dell’anonimo mittente e di tutte le persone della cerchia di Owen e Lauryn. Che, nel frattempo, hanno dovuto cambiare abitudini e frequentazioni. Ovviamente all’insegna di una velenosa cultura del sospetto, per cui non sanno più di chi potersi fidare.
Unknown Number & the mysterious ghostwriter
Lauryn e Owen stanno vivendo, a tutti gli effetti, un’adolescenza traumatica. E il trauma si è in qualche modo esteso a buona parte di Beal City. Cittadina della provincia in cui, in modo classico e rassicurante, si è soliti dire che non accade mai nulla. E che ospita, nel medesimo edificio, scuole elementari, medie e superiori. Dai bambini ai ragazzi e ai loro genitori, questa storia è sulla bocca di tutti. Ognuno ha una sua teoria su chi possa essere il misterioso – o la misteriosa – ghostwriter (uso questo termine in modo improprio, lo so – ma in questo contesto piuttosto efficace).
Unknown Number avrebbe, già così, una trama abbastanza inquietante. Ma non abbastanza da competere con il ricco catalogo di serial killer e truffatori proprio della documentaristica true crime, in special modo targata Netflix. Ed è infatti quando l’identità di questo stalker sociopatico viene finalmente svelata che questa storia, finendo, inizia per davvero.
Qui è doveroso l’avvertimento, benché si tratti di qualcosa che è già da tempo di pubblico dominio. Se non avete ancora visto Unknown Number: The High School Catfish, e ci tenete alla suspense e alla surprise che ne deriva… beh, smettete di leggere qui e volate a vederlo. Altrimenti, io vado avanti. SPOILER – vi ho avvertiti.
SPOILER ALERT
Lo shock di questo docufilm non riguarda tanto le migliaia (sic) di pesanti provocazioni, squallidi insulti e incitamenti al suicidio, fatti nell’arco di oltre un anno, ad una timida teenager. Per tacere delle squallide avances sessuali ricevute dall’imberbe fidanzato di lei. Messaggi mandati tramite un’app capace di generare numeri di telefono sempre diversi, rendendo così il mittente irrintracciabile. Apparentemente. In realtà, una scrupolosa comparazione tra i metadati di questi messaggi e quelli dei dispositivi dei conoscenti di Lauryn e Owen, realizzata da un informatico dell’FBI, riesce a dare la risposta che tutti stanno aspettando. A risalire al colpevole. Individuare il responsabile.
Che è un adulto.
Un familiare.
Ovvero – la madre di lei.
Sua madre.
Pausa.
Nella cittadina di Beal City, Michigan, nel dicembre 2022, la polizia si presenta a casa Licari. Cercano Kendra, la madre di Lauryn. Che, una volta smascherata, confessa. Lauryn, che è presente, rimane in silenzio. Madre e figlia si abbracciano: scena altamente perturbante, ai limiti dell’incomprensibile. Alla fine era stata quella che avrebbe dovuto proteggere Lauryn e che la consolava ogni giorno. Che accusava ingiustamente altre ragazze e altri ragazzi. E che aveva fatto il diavolo a quattro per ‘trovare il maledetto colpevole’… Era stata lei. La madre. Che nell’aprile 2023 si dichiara colpevole delle accuse di stalking su minore. Viene condannata e incarcerata. Poi, un anno e mezzo dopo, ottiene la libertà vigilata. Un ordine restrittivo le vieta qualsiasi contatto con Lauryn, affidata ora al padre che, nel frattempo, ha ottenuto il divorzio.
Unknown Number: la delirante apologia di una sociopatica
Unknown Number: The High School Catfish riserva però ancora momenti stranianti e sorprendenti. Ovvero l’intervista alla stessa Kendra Licari, che racconta la sua verità. Una verità che qualsiasi madre si vergognerebbe da morire a dover esporre in pubblico. Non lei. Segno dei tempi. E di una personalità decisamente borderline. Più precisamente, psicopatica. Diciamo subito che, per usare le parole della regista del documentario, Skye Borgman: “non credo che Kendra comprenda pienamente le sue motivazioni”.
In una delirante sequela di mistificazioni ai limiti dell’apologia e con una faccia tosta pienamente sociopatica, questa snaturata madre ammette di aver commesso sì un errore, di avere sì infranto la legge ma “realisticamente, molti di noi probabilmente hanno infranto la legge in un momento o nell’altro e non sono stati scoperti… sono sicura che ci sono persone che hanno guidato ubriache e non sono state scoperte” (sic).
Posta davanti all’evidenza della sua malsana infatuazione per un ragazzino: “quando mia figlia ha raggiunto l’adolescenza, mi sono spaventata… avevo paura di lasciarla crescere, volevo proteggerla, e tenerla al sicuro”. Questa donna arriva a dare a sua figlia della schifosa anoressica ma, nel suo malato mondo mentale, in realtà sta scrivendo a se stessa “perché ero troppo magra… non mangiavo, quindi potresti inserirmi nella categoria delle anoressiche” (NB – Kendra è ben lontana dall’essere troppo magra). Insomma, il narcisismo patologico di questo essere umano non conosce confini.
Kill yourself now bitch: la amo più di ogni cosa
L’ultima parte di Unknown Number è dunque dedicata alla romanzata autoanalisi di Kendra e all’analisi che di questo misfatto fanno diversi esperti, meno esperti e protagonisti vari di questa storia.
Si arriva a parlare di ‘versione digitale della sindrome di Munchausen per procura’ (in sostanza fare del male ad un altro proprio caro – solitamente la prole – per attirare attenzione e compassione su di sé). Kendra, dal canto suo, mente spesso e spudoratamente. E la regista si limita, in modo brillante, a ricordarci la portata dei messaggi che la figlia aveva da lei ricevuto, mostrando le esatte parole. Nell’originale: “Finish yourself, or we will””… “Kill yourself now bitch”. Senza parole.
Per chiudere in bellezza (si fa per dire): in contrasto con le mail stucchevolmente affettuose che la madre le ha inviato dal carcere, sullo schermo scorrono i crudeli messaggi di testo di cui sopra. Lauryn dice: “ora che è fuori, voglio solo che riceva l’aiuto di cui ha bisogno, così quando ci vedremo non torneremo ai vecchi schemi e a come era prima”.
L’ultima sua affermazione lascia naturalmente sbalorditi – reazione che ricorre più volte in questo documentario. Forse ‘naturalmente’ non è l’espressione più corretta. Perché cosa potrebbe esserci di naturale, dopo l’incubo vissuto a causa sua, nel dire – “La amo più di ogni altra cosa”?
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