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Dogs of Berlin: pulp crime tra calcio e corruzione

Pulp crime tra calcio e corruzione, la seconda produzione tedesca targata Netflix è un poliziesco strabordante, sporco e graffiante.

di Livio Pacella
01/03/2024
in Articoli
cover Dogs of Berlin per Mondoserie
688
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Dogs of Berlin è una serie crime scritta e diretta da Christian Alvart (Pandorum, Case 39). La serie (2018 – 10 episodi di 1h) è una produzione tedesca targata Netflix: la seconda, dopo Dark. La serie, ambientata interamente negli oscuri e caotici sobborghi della capitale tedesca, ha una trama particolarmente articolata. La storia ruota attorno al misterioso omicidio di  Orkan Erdem, asso del pallone turco-tedesco, trovato morto proprio alla vigilia di Germania – Turchia. “Ai turchi non piaceva che giocasse con la Germania e all’estrema destra ancor meno. Ci sarà una guerra tra razze”.

Il caso viene affidato ad un’improbabile coppia di giovani detective, molto diversi tra loro: Kurt Grimmer (Felix Kramer) e Erol Birkan (Fahri Yardim). I due gestiranno una squadra composta da una dozzina di elementi. Il nome dell’operazione sarà ‘Cartellino Rosso’.

Disonesto e indebitato il primo – Kurt -, ex neonazista e giocatore incallito, con una vita privata a dir poco turbolenta. Scelto perché, trovandosi casualmente sul luogo del delitto (irresistibile il suo arrivo in ciabatte con un neonato in braccio) e compresa immediatamente la rilevanza del caso, si impone sui colleghi a forza di inganni. Corretto e ligio al dovere il secondo – Erol -, di origine turca e omosessuale, è un agente dell’antidroga. Scelto per fare da contrappeso all’ingombrante passato di Grimmer di fronte all’opinione pubblica.

Le diverse anime della malavita berlinese

I due appartengono dunque a mondi sostanzialmente inconciliabili, ma si vedranno costretti, loro malgrado, a fare squadra per affrontare la criminalità berlinese, ormai fuori controllo. Diverse infatti sono le piste indiziarie dietro l’omicidio di Orkan Erdem. A cominciare dai neonazisti del quartiere di Marzahn (tra i quali milita ancora il fratello di Kurt, spalleggiato dalla madre). C’è poi il giro delle scommesse – regolari e clandestine – gestito dal clan serbo di Kovac. E infine la mafia turca dei Tarik Amir, che domina nel mercato della droga. Serbi e turchi sono naturalmente rivali, mentre quelli di Marzahn odiano visceralmente arabi, neri e turchi: questi ultimi ribattezzati dispregiativamente kanake. Se tutto questo non bastasse, c’è anche un gang di bikers turchi (tipo Sons of Anarchy), dediti al pizzo tra le attività commerciali della città.

Kurt Grimmer è indebitato proprio con Kovac. La morte di Orkan Erdem è per lui quindi un’occasione imperdibile. Sempre che riesca a tenere a distanza i media e a diffondere la notizia tra i giocatori della nazionale tedesca. In tal caso non gli rimarrebbe che puntare forte sulla vittoria della Turchia. Erol invece cerca da ben 18 mesi di incastrare i Tarik Amir. Inutilmente. Entrambi hanno dunque motivazioni piuttosto personali per fare i conti con le diverse bande della malavita locale. Posto che ci siano effettivamente queste dietro l’omicidio del famoso calciatore…

Omicidio che la stessa polizia tenta di tenere nascosto il più possibile per evitare disordini nella capitale, già preda di un crescente stato di agitazione. Disordini con cui si apre la serie, con scene di guerriglia urbana tra agenti antisommossa e bombe molotov… È la voce di Grimmer a commentare l’insurrezione in corso, riportando l’orologio degli eventi ad una settimana prima degli scontri. Ovvero alla scoperta del corpo senza vita del giocatore turco tedesco.

Dogs of Berlin, tra cupo realismo e epica surreale

L’universo di Dogs of Berlin è intricato, oscuro e adrenalinico. Costituito da personaggi ambigui, che strisciano tra le strade di una città infida e in preda al caos. La corruzione non risparmia nessuno. Le dinamiche dei protagonisti sono sfuggenti e ombrose. Tra giustizia e criminalità il divario è labile. I personaggi secondari sono spesso fuori dalle righe, quasi pulp.

Vi è il ragazzo turco, aspirante rapper, costretto a fare l’informatore. Il capo della polizia, donna che convive placidamente con la propria partner e vi è il suo secondo in capo, che trascorre le notti in albergo in compagnia di due prostitute. La risolutrice (come Ray Donovan) della Federazione Calcio tedesca, che sembra uscita da una spy story. Vi è il classico compagno per bene di Erol e l’amante di Kurt, sbandata alcolista dedita alle telefonate erotiche. E vi è la moglie perfettina di Kurt, in realtà impasticcata, traumatizzata e impossibilitata a dialogare con suo marito. Vi è il crudele boss dei Tarik Amir e vi è suo fratello minore, che brama il potere… E si potrebbe continuare ancora.

Fedele alla lezione americana (vedi Ozark o ancora più espressamente The Shield), la narrazione si muove tra il cupo realismo e l’epica surreale (il corrispettivo nostrano sarebbe, pur non essendo un poliziesco, Suburra – La serie). La pletorica presenza di tante esuberanti personalità, ciascuna corrispondente ad un percorso narrativo secondario, è a malapena contenuta nella narrazione principale. Ovverosia: in questa storia tendono a strabordare personaggi e vicende, nessuno dei quali può dirsi compiuto. Vero è che un’eventuale stagione successiva avrebbe potuto risolvere elegantemente la questione. Purtroppo però, nonostante il finale sospeso a mezz’aria – e posto che la storia si potrebbe comunque considerare chiusa così – non c’è stata una seconda stagione.

Uomini vs. Cani, Germania vs. Turchia

Tutto è dunque (volutamente?) buttato lì, tra i cani di Berlino del titolo. Cani che ricorrono nel dialogo alla fine del primo episodio, in cui Kurt (che qui ricorda un raffazzonato Rusty di True Detective S1) paragona il libero arbitrio di uomini e cani, sostenendo che entrambi non sono padroni delle proprie azioni. In questo dedalo sporco e cattivo di azione, reazione e corruzione si muovono dunque, come marionette deterministicamente costrette, i protagonisti di Dogs of Berlin.

Questa Berlino dai toni scuri e dalle luci al neon non è certo il ritratto della ricca capitale felicemente multietnica. Anzi, è l’esatto opposto, paradossalmente più vicino alla decadenza rappresentata in Babylon Berlin. Ed è un ritratto che fa fede ad alcune situazioni esistenti, come il quartiere di Marzahn, a est della città, attanagliato da disoccupazione e xenofobia. Non a caso Orkan Erdem viene trovato cadavere lì. Vi è poi il quartiere turco, roccaforte dei Tarik Amir in cui nemmeno la polizia può entrare (e qui siamo nell’epica surreale, anche se non troppo distante dalla realtà). E vi è il lusso di alberghi, cocaina e prostitute dei calciatori della nazionale. Lusso messo a disposizione da ambigui funzionari della Federazione (ibidem). Gli stessi titoli degli episodi sono tutti presi dal linguaggio calcistico: Team, Offside, Derby, National, Victory Ceremony…

Tutto questo è Dogs of Berlin, ben sintetizzato nelle fluide rime (the flow) di Murad, l’aspirante rapper adolescente. Una scommessa graffiante e azzardata, teutonica e rocambolesca. Da vedere come una finale di calcio: ad esempio Germania vs. Turchia.

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Livio Pacella [altrove Al Lecap o liviopacella]. Attore, autore, regista, filosofo ballerino, poeta maledetto, bohemien, da tempo impegnato nella stesura di "In Progress - a work", continua a vivere, tra lo stupore generale, al di sopra dei suoi mezzi.

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