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The Knick: viscere, follia e proto-chirurgia

Due stagioni dirette da Soderbergh nella New York di inizio ‘900, all’alba della moderna chirurgia

di Francesca Sarah Toich
21/08/2024
in Articoli
Cover di The Knick per Mondoserie
859
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Prodotta e diretta in tutti i suoi 20 episodi dal premio Oscar Steven Soderbergh, The Knick ci racconta la vita e i folli studi di un’equipe di chirurghi newyorkesi all’alba del ‘900. In un vicino passato dove l’anestesia era spesso un miraggio. E una semplice infezione poteva costare al malcapitato una gamba. A volte persino la vita. Creata e sceneggiata da Jack Amiel e Michael Begler e strepitosamente congegnata, The Knick ha spazzato via tutti i cliché delle serie in costume, sin dalla sua uscita (2014). In Italia è disponibile su Sky e NOW.

Il primo episodio ci fa subito piombare nella mente del protagonista, il geniale chirurgo John Thackery (Clive Owen). Mentre sta raggiungendo in carrozza il Knickerbocker Hospital (il The Knick del titolo) di New York di buon mattino, si toglie una delle sue eleganti scarpe bianche e con mano ferma si pianta tra le piccole vene del piede una siringa piena di cocaina. È passato solo un minuto e mezzo dall’inizio della serie e abbiamo già capito che dovremo preparare occhi e stomaco a qualcosa di inusitato.

In questo show non c’è nulla di rassicurante: i medici sono spesso razzisti, antisemiti e maschilisti, o pericolosamente tossici, le suore e infermiere hanno intenti oscuri e la New York che vediamo è ben lontana dal sogno americano. Le strade sono luride, con cavalli stramazzati a terra pieni di mosche, pullulano di criminali. I poliziotti sono corrotti, le donne abortiscono nei sottoscala e le persone di colore devono curarsi segretamente nelle cantine. Ma la serie ha l’intelligenza di non allargare troppo il campo: rimane una cruda e splendida narrazione sulla nascita della chirurgia moderna. Dove accurati costumi, uniti a precisione storica, illustrano un mondo in cui i medici venivano spesso ancora visti come personaggi pericolosi, pronti a mettere i bastoni tra le ruote alla Provvidenza, salvando pazienti considerati inevitabilmente condannati. 

Un grande Owen, chirurgo spregiudicato e tossicomane

Non erano semplici medici, infatti. Schiacciati dalla pressione continua dei casi disperati, dalla mancanza di fondi e dall’avanzare delle nuove tecnologie, questi scienziati dovevano operare nei morbosi Teatri Anatomici. Dando spettacolo di sé mentre, con mani nude e insanguinate, frugavano nei corpi aperti dei loro pazienti, spiegando ad alta voce le proprie innovative teorie. Tra loro c’è chi crede all’eugenetica. Chi pensa che una persona di colore non sia in grado di curare altri malati. E chi, come il dottor Thackery, non si ferma mai, troppo intento a sperimentare sui cadaveri di umani e maiali principi medici ancora sconosciuti.

Clive Owen ha in The Knick l’occasione di rivelare tutto il suo lato oscuro: Thackery è un chirurgo tossicomane, ateo, che passa le sue notti nei bordelli cinesi fumando oppio, per riuscire a placare l’effetto della cocaina che si inietta a fiumi durante il giorno nelle poche vene rimaste. Eppure il suo uso di cocaina ha un senso: sta sperimentando su se stesso questo potente anestetico, all’epoca il solo palliativo per operare un paziente senza farlo morire di dolore. “Lei è un folle”, esclama con occhi sgranati il suo nuovo assistente durante un’operazione nel teatro anatomico. 

“Folle sì, ma metodico”, risponde amleticamente lui, infilzando senza esitazione la colonna vertebrale di un paziente, paralizzandolo momentaneamente per poterlo operare. E senza ombra di ironia continua: “Non preoccupatevi, ho già sperimentato questo sistema poco tempo fa su un Labrador. Non passa giorno in cui non pensi a quel cane!”. Il principio guida di Thackery e degli altri chirurghi è che questi pazienti sono comunque spacciati: quindi tanto vale tentare. Vedono i corpi dei malati come delle cavie, delle generose e palpitanti membra su cui ‘infliggere’ tutto il loro sapere.

The Knick: il rimpianto di una terza stagione 

Ad accompagnare le sanguinosissime operazioni e le dubbie esistenze di questi scienziati senza remore c’è una singolare musica elettronica minimalista composta da Cliff Martinez (ex batterista dei Red Hot Chili Peppers), perfetta nel suo totale anacronismo. Proprio come aveva fatto pochi mesi prima – con notevole sincronia – Peaky Blinders, di cui abbiamo parlato qui. Che siate appassionati o meno di serie in costume, The Knick resta tutt’oggi un nero gioiello insanguinato e imperdibile. A meno che, appunto, la vista del sangue non vi disturbi. Meglio allora non entrare nemmeno con lo sguardo nelle sale operatorie del Knickerbocker.

Nonostante al suo debutto sia stata universalmente considerata come “la serie da non mancare”, The Knick non è mai andata oltre la seconda stagione, lasciando i fan a bocca asciutta. Forse il motivo è da ricercare nella durezza delle inquadrature sui corpi straziati o sulle membra giallastre del povero Thackery che non sa più dove bucarsi. Soderbergh al suo apice estetico non rinuncia al realismo: alla bellezza dei costumi vittoriani non ha timore di affiancare nasi strappati dalla sifilide o cervelli che stanno per esplodere. Del resto per il regista il corpo è sempre stato una ‘zona di guerra’ su cui accanirsi poeticamente. 

Rimane grande il dispiacere dei fan che da anni aspettano una terza stagione, oramai invano. Dobbiamo accontentarci di ricordare il dottor Thackery come l’abbiamo visto nell’ultima sequenza della serie. Al massimo della sua follia e nel delirio creativo di una medicina che da quei primi pazzi esperimenti non ha mai smesso di progredire.

Altro esempio di ‘moderna’ serie in costume: Peaky Blinders. 

Peaky Blinders: strade violente, Nick Cave e alta sartoria

Tags: darkin costumemedicinaNew YorkPeaky BlindersThe Knick
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Francesca Sarah Toich

Francesca Sarah Toich

Francesca Sarah Toich è un’artista che vive e lavora a Parigi, dove ha una compagnia di teatro e magie nouvelle. Scrittrice, autrice, attrice, ha vinto il primo premio nel concorso internazionale di scrittura per lo spettacolo “Premio Goldoni Opera Prima” con la tragedia intitolata “Diotallevi” e ha pubblicato due romanzi fantasy per ragazzi. Ha prestato la sua voce a numerosi film, documentari, installazioni artistiche e radiodrammi (in particolare per RAI radio Italia). Specializzata in Commedia dell’Arte e letteratura italiana è stata premiata come migliore giovane interprete della Divina Commedia, vincendo per due volte il Lauro Dantesco a Ravenna. Insegna e recita in italiano, inglese e francese in numerose compagnie di teatro e ricerca, ed ha portato le sue performance in prestigiosi teatri e gallerie d’arte in varie parti del mondo tra cui recentemente a New York, Mosca e Tokyo.

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