Uscita ad aprile 2021 su Netflix, la miniserie in otto episodi The Serpent ripercorre gli omicidi di Charles Sobhraj, serial killer indiano-vietnamita naturalizzato francese. Negli anni ‘70, spacciandosi per mercante di pietre preziose, seminò il terrore nel mondo degli hippies viaggiatori in Asia.
Se siete appassionati di assassini seriali e di atmosfere esotiche, potreste senz’altro essere intrigati dal Serpente, soprannome dato al killer per la sua personalità ammaliante e letale. Ma prima di addentrarci nella torbida mente di Sobhraj, tutt’oggi incarcerato in Nepal, val la pena di dare uno sguardo agli interpreti della serie commissionata dalla BBC e girata in Thailandia in piena pandemia nel 2020.
Il trailer della serie:
The Serpent: cosa funziona e cosa meno.
Il ruolo del Serpente è affidato allo straordinario Tahar Rahim, attore francese di origine algerina, conosciuto per la sua interpretazione nel film il Profeta di Jacques Audiard. Senza dubbio, se la serie ha un certo seguito è in gran parte merito suo. Per tutti gli otto episodi riesce a sedurre non solo le sue vittime ma anche gli spettatori: che arrivano sovente a parteggiare per lui, nonostante commetta crimini atroci. Brava anche Jenna Coleman che incarna Marie-Andrée Leclerc, sua fidanzata e complice di molti delitti.
CONFESSIONE: Tahar Rahim è talmente convincente nel ruolo di protagonista, talmente camaleontico e ipnotico che, pur essendo io una sua fan, all’inizio non l’avevo riconosciuto. (Da anni ormai evito di guardare qualsiasi riferimento ad un film o una serie prima di addentrarmici, terrorizzata dagli spoiler. Spesso comincio la visione ignara anche del cast).
Molto meno convincenti appaiono invece i personaggi secondari dei turisti stranieri e dei diplomatici che si affannano a comprendere come incastrare la coppia assassina. Nonostante l’impegno, gli attori risultano poco credibili, costretti ad interminabili dialoghi in inglese con accento tedesco o francese. Le vittime della storia poi sono davvero senz’anima, una lunga carrellata di giovani interpreti vestiti da hippies che ricordano tutto tranne che dei ragazzi in cerca dell’oblio sulle vie ancora sconosciute dell’Asia.
Ottimi invece i costumi e la fotografia. Purtroppo, come spesso accade, la volontà di farne una serie di molteplici episodi costringe lo spettatore a subire interminabili primi piani di personaggi poco interessanti e noiose digressioni.
La fascinazione occidentale per un’Asia mitica.
La serie ha comunque il merito di riportarci in un capitolo di storia piuttosto inquietante: il mondo hippie e la fascinazione del ricco occidente per un’Asia quasi ancora vergine, pronta però ad ingoiare centinaia di sprovveduti ragazzi bianchi che, zaino in spalla, si persero tra le montagne del Nepal, nelle confuse metropoli della Thailandia o nei fumi dell’eroina afghana.
SECONDA CONFESSIONE: L’Hippie trail, il mistico viaggio intrapreso da molti e narrato in centinaia di libri, film e canzoni, mi ha sempre lasciata piuttosto perplessa. Quando al liceo lessi di sottobanco “Flash Katmandu, il grande viaggio”, un’autobiografia di un hippie francese che finì in pessime condizioni nelle peggiori topaie nepalesi, arrivai presto alla conclusione che, se per alcuni fu ‘la via dell’illuminazione’, per altri l’hippie trail si tramutò in un inferno senza ritorno fisico o mentale. Del resto, I Rolling Stones in ‘Sympathy for the devil’ furono tra i primi ad avvisare i viaggiatori con i versi “And I laid traps for troubadours / who get killed before they reached Bombay”
Scommetto poi che agli occhi di alcuni asiatici pieni di figli e di problemi, questi ragazzi dagli occhi spiritati e il portafogli visibilmente gonfio, che si aggiravano nelle loro città abbracciandosi e cercando LSD, dessero i nervi a tal punto da non farsi alcuna remora nel derubarli, fregarli o quantomeno ignorarli.
Charles però arrivò ad ucciderne metodicamente almeno una dozzina, se non di più.
Perchè?
L’odio per quei voraci “bamboccioni bianchi”.
Durante uno degli episodi Ajay, il braccio destro di Charles, che da qualche tempo lo aiuta a far fuori gli hippies, passa la notte con una di loro a Kathmandu. Invece di derubarla e ucciderla, se ne innamora. Il Serpente lo scopre e mette fine alla loro relazione nascente con queste parole:
“Perché pensi che questi bamboccioni bianchi rinuncino all’agio e alla ricchezza in cui sono nati per venire in un posto come questo? Perchè quando sono qui, dormono nei nostri squallidi letti e pregano le nostre divinità? Questa esperienza nella nostra terra li porterà solo a tornare a casa con al collo una falsa collanina tribale. Loro viaggiano solamente per comprare. E’ un’altra forma di colonialismo”.
Ma Sobhraj non disprezza solamente gli hippies. Inganna chiunque gli si avvicini, donne e complici compresi. Si tratta certamente di uno di quei geniacci del male che tanto affascinano il grande pubblico. La serie si concentra in modo particolare negli anni in cui il Serpente e Monique compiono la lunga serie di uccisioni di turisti tra la Thailandia, il Nepal e l’India. Tutte le vicende si svolgono attorno alle vittime che lentamente, in modo ipnotico, vengono ingannate dalla coppia.
The Serpent, oggi: cosa ne è stato del serial killer.
Ma prima di darsi agli omicidi seriali, Charles aveva compiuto innumerevoli furti ed evasioni. E anche dopo essere stato condannato per pluriomicidio riuscirà con il suo carisma ad avere una vita privilegiata in carcere e ad evadere nuovamente nel 1986, dando una bella festa per le guardie e drogandole tutte per poi darsi alla fuga. Dopo altri numerosi arresti, riuscirà ad ottenere la libertà e a farsi inviare in Francia nel 1997.
Poco fuori Parigi vivrà una vita agiata lucrando sulla propria fama: con l’aiuto di un agente chiederà somme altissime a qualsiasi giornalista, biografo o regista che si interessi alla sua storia.
Nessuno sa però cosa gli è preso nel 2003 quando, in un impeto di folle entusiasmo, ritorna in Nepal, uno dei pochi paesi dove può ancora essere arrestato, con l’idea, forse, di aprire un commercio di acqua minerale. Fatto sta che mentre gioca a carte in un bordello di Kathmandu viene riconosciuto da un giornalista dell’Himalaya Times che gli si mette alle costole fino a smascherarlo.
Oggi all’età di 77 anni, e in pessima salute, Charles Sobhraj langue in una prigione nepalese, mentre The Serpent brilla su Netflix.