The Peripheral (in it. Inverso – The Peripheral) è una serie statunitense di cui a fine 2022 ha debuttato la prima stagione (8 episodi di 1h circa, Prime Video). Lo show è tratto dall’omonimo romanzo del 2014 di William Gibson, autore culto e padre putativo della corrente cyberpunk della fantascienza.
Come ideatori e produttori esecutivi di questo show sci-fi (di cui fortunatamente uscirà a breve la seconda stagione) troviamo, assieme agli autori Vincenzo Natali e Scott B. Smith, anche Jonathan Nolan e Lisa Joy. Già creatori della fantastica saga di Westworld.
Sci-fi, ovvero science-fiction: fantascienza, è un genere che, tra le tante declinazioni audiovisive, può essere basilarmente diviso in due categorie. Premesso sempre un futuro più o meno prossimo, come ovvia e necessaria ambientazione temporale, nel primo vi è l’outer space, ovvero l’avventura nello spazio galattico, o intergalattico che si voglia, che coinvolge altri pianeti, altre stelle, altre forme di vita, ma soprattutto: astronavi. I più noti riferimenti in questo caso sono le mitiche e indimenticabili saghe di Star Trek e di Star Wars (del secondo franchise abbiamo raccontato diverse traduzioni seriali: Obi-Wan Kenobi, la fantastica Andor, Boba Fett, Clone Wars 2D…).
Nel secondo sottogenere ci si concentra più su un futuro ambientato spazialmente sulla Terra. Qui in gioco vi sono invece il progresso tecnologico con le sue insidiose implicazioni, in tutta la sua meraviglia e in tutto il suo orrore.
Inverso – The Peripheral: dal 2032…
Un progresso di volta in volta capace di riscrivere totalmente i codici esistenziali e morali dell’umanità. Una riscrittura che non è mai facile o lineare, anzi è piuttosto pericolosa e contraddittoria: ogni grande scoperta o invenzione dell’umanità è potenzialmente (e non solo) un’arma a doppio taglio. Penso ad esempio alla questione della proto-molecola aliena dell’intensa e favolosa saga sci-fi di The Expanse (Prime Video).
Inverso – The Peripheral, thriller fantascientifico, decisamente appartiene a quest’ultima categoria. L’umanità, alle prese con il terribile prezzo dei suoi tanti errori del passato, all’improvviso scopre la possibilità di tornare indietro nel tempo e cancellare proprio questo passato. In toto, nel bene e nel male. Al di là della profondissima domanda etica che suscita, avrebbe anche solo tecnicamente, cioè empiricamente, senso questa operazione? Simile al sogno di tornare indietro nel tempo per uccidere Adolf Hitler in culla, davvero ciò basterebbe ad impedire la seconda guerra mondiale?
2032 – in un futuro prossimo e distopico al contempo, nel desolato entroterra rurale americano del North Carolina, dalle parti dei Monti Blue Ridge. A Clanton, piccolo paese di provincia dove tutti si conoscono, Flynne Fisher (Chloe Grace Moretz) lavora in un negozio di stampe 3D. Il fratello Burton (Jack Reynor), oltre a bere birra e fumare con i suoi ex commilitoni Marine della Haptic Recon – unità speciale dotata di un particolare controllo di condivisione sinaptica, capace di mettere i singoli soldati in comunicazione diretta tra loro, condividendo ad esempio tutti la visuale di uno solo – arrotonda le magre entrate della sorella con l’attività di gamer.
I soldi servono principalmente per comprare le costose medicine di cui la madre, gravemente malata, ha bisogno.
… al 2099
Burton, congedato con la sua squadra dopo una non meglio precisata guerra civile, viene solitamente ingaggiato da qualche giocatore benestante per superare livelli particolarmente difficili di simulazione di realtà virtuale. La sorella è anche più brava di lui e un fatidico giorno lo sostituisce per testare (beta test) un nuovo visore controller di gioco immersivo, non ancora presente sul mercato, per conto di una misteriosa azienda colombiana, la Milagros Coldiron.
Così Flynne, testando questa nuova eccitante periferica, si ritrova ad agire nella futuristica Londra del 2099. Con l’incarico, datole nel gioco dallo sfuggente ed elegante Wilf Netherton (Gary Carr), di ritrovare una certa Aelita West, rea di essersi impossessata di dati sensibili appartenenti ad un certo Research Institute.
Il gioco si rivela da subito elettrizzante e coinvolgente come non mai, sembra addirittura essere un’esperienza totalizzante. Ma ben presto i due realizzano con grande stupore questa non essere una semplice simulazione, bensì un’espansione androide attraverso cui collegare e proiettare una coscienza umana in una realtà futura.
Dunque la Londra del 2099 esiste davvero. E le azioni che lì Flynne ha compiuto, credendo di essere nel gioco, avranno delle terribili conseguenze nella loro realtà…
Conseguenze che faranno della famiglia Fisher un obiettivo sensibile primario per sicari contattati dal 2099, e da questo stesso futuro dotati di tecnologie – auto invisibili e pistole soniche – decisamente fuori dalla portata per il presente del 2032.
Il Jackpot e la distruzione della realtà
Questo l’incipit della complessa trama di Inverso – The Peripheral. Trama che andrà via via chiarendosi da una parte – man mano che i diversi pezzi del puzzle verranno messi sul tavolo. Ma dall’altra andrà al contempo sempre più infittendo – proprio perché il disegno che questo puzzle ci rivela è a sua volta un enigma spaziotemporale da decifrare…
Benvenuti nel mondo di William Gibson.
Le due diverse prospettive – quella del 2032 e quella del 2099 – iniziano uno scontro che si farà sempre più serrato ed imprevedibile, mentre la ricerca di Aelita West sembra sempre più essere la decisiva chiave di svolta del paradossale conflitto. Tra shards (statue colossali che mascherano macchinari per ripulire l’atmosfera) e koid (servitori androidi gestiti da Intelligenza Artificiale), sullo sfondo tra questi due piani temporali, intuiamo stagliarsi un gigantesco evento catastrofico chiamato Jackpot, dal quale la cosiddetta realtà ne è uscita in una molteplice ed indefinita diramazione di piani temporali paralleli…
In questa nostra epoca di assoluto trionfo della serialità, del gaming e della realtà virtuale, Inverso – The Peripheral suona come un consapevole manifesto ludico e filosofico.
La possibilità di scardinare totalmente la sacra inviolabilità della freccia temporale, modificando scientemente il futuro dal passato e viceversa, costringe i protagonisti a porsi angoscianti domande esistenziali, che spaziano dai massimi sistemi ai rimorsi personali.
Per lo più ossessionati da ciò che hanno perso o da ciò che potrebbero perdere, tutti sembrano cercare rifugio ucronico in una realtà alternativa, passata o futura che sia, magicamente capace di aggiustare le inevitabili crepe e storture di ogni presente.
Inverso – The Peripheral: William Gibson
Come ad esempio il soldato della squadra di Burton, che nella guerra civile ha perso gambe e un braccio, che vede nella periferica – l’androide in cui proiettare la propria coscienza nel futuro – l’unica vita per lui degna d’essere vissuta. Ma può essere degna una vita per interposta persona, soprattutto se questa persona è un robot simil-organico?
O come ad esempio il conflitto sociale del 2099, che vede contrapposte tra loro diverse classi e fazioni. La multinazionale del Research Institute, l’oligarchica Klept, i Neo-primitivi. Ciascuna delle quali vorrebbe plasmare la realtà secondo la propria concezione del tempo. Un futuro in grado di cancellare il passato, una nuova biforcazione temporale futura dovuta ad un mirato intervento nel passato ecc.
In Inverso – The Peripheral la fascinosa estetica decadente si alterna a dialoghi spesso fumosi e verbosi, i combattimenti da videogame al cardiopalma si alternano a riflessioni più o meno cervellotiche sulla natura della società e del tempo.
Pregi e difetti di uno show che ha l’ambizione di portare sullo schermo uno degli autori più titanici e profetici della fantascienza del nostro tempo, e del nostro tempo tout-court.
Un autore che ha sempre avuto un rapporto difficile, se non contraddittorio, con la trasposizione cinematografico-televisiva della sua opera, da Johnny Mnemonic (1995) allo script di Alien 3 (rimasto solo sulla carta) fino a quella sorta di sublimazione di una parte dello spirito gibsoniano che è la saga di Matrix, come abbiamo raccontato qui.
Eppure “il lavoro di William Gibson ha permeato la cultura al punto che nemmeno lui è più in grado di distinguere cosa sia suo e cosa no…” (Zach Baron, GQ 2014).
Le realtà parallele nella fantascienza di Fringe