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Dark Matter è insieme bella e brutta, finché non la guardi

Il merito principale della serie di Blake Crouch, basata sul suo romanzo omonimo, è di prendere sul serio l’idea di realtà parallele e universi alternativi. Sviluppando in modo non banale premesse che pure erano ancora più promettenti.

di Jacopo Bulgarini d'Elci
11/08/2024
in Articoli
Cover di Dark Matter per Mondoserie
1.4k
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Proprio come il gatto di Schrödinger, che è insieme vivo e morto fino a che non viene osservato (ci torniamo dopo), Dark Matter è insieme bella e brutta. Finché non la guardi. Togliendola dalla sua “sovrapposizione di stati” per spostarla appunto in una delle due categorie. Bella, o brutta. E alcune altre testate avrebbero fatto bene a tenere a mente i paradossi della fisica quantistica quando hanno deciso di stroncare questa serie (Apple TV+, 2024) dopo solo un paio di puntate. Salvo poi, in qualche caso, ricredersi. Ecco un semplice antidoto: aspettare sempre che una serie si concluda (o almeno una stagione) per parlarne. Come facciamo noi.  

Se mi chiedete: ma questo principio non vale un po’ per tutte le serie? Cioè, non è forse vero che qualsiasi serie (film, libro) è indeterminata nella sua qualità fino a che non viene vista? vi rispondo che lo sapete benissimo che le cose non stanno così. Non parlo di sfumature e mezzi voti, ma di pollici su o giù: lo sapete quasi sempre, prima di guardarlo, se uno show può o non può essere davvero bello. Poi, certo, c’è un milione di motivi per guardare cose che non hanno nessuna possibilità di essere belle. Dark Matter sta invece nella categoria, non vastissima, degli show indecidibili a priori.  

Vabbé, mi direte: ma perché ‘sta predica proprio adesso? Beh, perché la serie in questione calza a pennello. Visto che al suo centro mette il tema degli universi paralleli e delle realtà alternative. Affrontando non a margine ma di petto un fronte di riflessione scientifica e intellettuale che non aveva ancora trovato una messa in scena di finzione radicale, seria, convinta (con qualche eccezione, che vedremo più avanti). Pur essendo, per tante ragioni, uno dei grandi nodi del nostro tempo.  

Cosa è Dark Matter e di che parla

Dark Matter è una serie di fantascienza americana creata da Blake Crouch, basata sul suo romanzo del 2016 con lo stesso titolo. La serie ha debuttato nel maggio 2024, per poi distribuire in un paio di mesi i 9 episodi. A produrre è Apple TV+, che prosegue così il proprio cospicuo investimento sulla sci-fi (da Foundation a For All Mankind e un po’ di altri titoli, passando per la deludente Invasion). 

La trama (con qualche spoiler sulla prima puntata, ma ampiamente presenti nello stesso trailer). Jason Dessen (Joel Edgerton), professore di fisica al college, vive con sua moglie Daniela (Jennifer Connelly) e suo figlio Charlie (Oakes Fegley) a Chicago. Tornando a casa, una sera, viene rapito da un uomo mascherato che lo porta in un cantiere, lo rende incosciente iniettandogli una sostanza e lo fa entrare in una misteriosa scatola di metallo. Al risveglio, Jason si trova in un laboratorio dove incontra la psichiatra Amanda Lucas (Alice Braga), a lui sconosciuta, e il CEO di Velocity, Leighton Vance (Dayo Okeniyi), che riconosce come un vecchio compagno di studi. I due sembrano invece conoscerlo molto bene, e appaiono felici del suo “ritorno”. Un ritorno a quanto pare a lungo atteso… 

A poco a poco, Jason si rende conto di essere stato gettato in un piano dimensionale alternativo, in cui ha avuto luogo una versione diversa della sua vita. Originata – pare – da una differente e decisiva scelta fatta quindici anni prima. E che a rapirlo è stata un’altra versione di sé, “Jason #02”, intenzionato a rubare la vita di “Jason #1”. Inizierà quindi la disperata ricerca di un difficilissimo “ritorno a casa”, tra le insidie di dimensioni alternative in cui è facile perdersi – o restare uccisi… 

Il romanzo omonimo

Prima che una serie, come detto Dark Matter è stata un romanzo thriller fantascientifico. La storia ha acceso subito l’immaginazione di molti, alla sua uscita. Il libro – che ha ricevuto recensioni contrastanti da parte della critica ed è stato nominato per i World Technology Awards del 2016 – prova a tradurre in finzione narrativa l’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica, che sostiene che ogni possibile risultato di ogni evento crea un nuovo universo o mondo parallelo al nostro. Per chi è interessato, ne parliamo un po’ meglio nei prossimi due capitoli. 

Un piccolo giallo, relativo al titolo del libro, è stato sciolto dallo stesso autore, Blake Crouch. La materia oscura (la dark matter del titolo originale) è infatti un diverso concetto scientifico, segnatamente astrofisico, e riguarda l’ipotesi di una cospicua presenza nell’universo di materia non osservabile, nascosta alla vista. Crouch ha spiegato che la vita è piena di misteri, ma che ce ne sono molti di più sotto la superficie che non possiamo vedere, proprio come la materia oscura. 

L’interesse di Crouch per la meccanica quantistica è iniziato leggendo un articolo divulgativo su Scientific American. La sua fascinazione per l’argomento è cresciuta ulteriormente dopo che il fisico quantistico sperimentale Aaron D. O’Connell ha dimostrato che le particelle subatomiche esistono in sovrapposizione quantistica. Questo ha portato Crouch a chiedersi: se le particelle microscopiche occupano realtà multiple, perché non gli oggetti quotidiani, compresi gli esseri umani? E se fosse possibile costruire un dispositivo che permettesse a una persona di esistere in sovrapposizione? Crouch ha detto che Dark Matter riguarda “la natura della realtà e dell’identità, e il mettere in discussione se fidarsi o meno di ciò che vediamo davanti ai nostri occhi”. 

Fondamenti teorici fisici dell’idea di realtà parallele

Ma da dove nascono le idee di Dark Matter? Non solo, appunto, dalla fantasia del suo autore. Il concetto di realtà parallele o universi alternativi è radicato in diverse teorie scientifiche che sfidano la nostra comprensione tradizionale dell’universo. Proviamo a vederle in rapidità. 

La teoria delle stringhe suggerisce che tutte le particelle fondamentali non siano altro che vibrazioni di minuscole “stringhe” di energia. Secondo alcune versioni della teoria delle stringhe, il nostro universo potrebbe essere uno di molti universi distinti che coesistono in uno spazio a più dimensioni chiamato “multiverso”. Questi universi paralleli potrebbero avere leggi fisiche diverse, costanti fondamentali differenti, e persino dimensioni spaziali e temporali diverse dalle nostre.

Un’altra teoria rilevante è l’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica, proposta dal fisico Hugh Everett III negli anni ’50. Questa interpretazione suggerisce che ogni evento quantistico crea una biforcazione in cui tutte le possibilità si realizzano, ognuna in un universo separato. Ad esempio, quando un elettrone passa attraverso una fenditura in un esperimento di interferenza, si creano universi paralleli in cui l’elettrone prende tutti i percorsi possibili. 

Ancora: la cosmologia inflazionaria introduce un altro concetto importante. Secondo questa teoria, l’universo ha subito un’espansione rapida subito dopo il Big Bang, e questa espansione potrebbe aver creato molte bolle di spazio-tempo, ciascuna con le proprie proprietà fisiche. Alcune di queste bolle potrebbero formare universi paralleli con le proprie leggi della fisica e costanti cosmologiche.

Concetti teorici supportati da modelli matematici sofisticati, ma ad oggi in gran parte speculativi – e al di là della portata delle attuali capacità sperimentali. Eppure, la ricerca sui fondamenti teorici delle realtà parallele stimola molte domande affascinanti: sulla natura della realtà, il significato del tempo e dello spazio, la nostra posizione nell’universo. 

Dark Matter, la fisica quantistica e il gatto di Schrödinger

Per chi è interessato al lato scientifico-filosofico (chi non lo è salti al prossimo capitolo), due parole anche su un paradosso che ha un posto molto importante in Dark Matter: quello del gatto di Schrödinger. È la stessa serie ad attirare la nostra attenzione, facendolo spiegare in classe ai suoi studenti dal protagonista proprio all’inizio del primo episodio. E costruendo molteplici richiami narrativi alle più suggestive implicazioni del paradosso. Proviamo dunque a vederlo, sempre per rapide e semplicistiche pennellate.

La fisica quantistica, con la sua natura intrinsecamente probabilistica e non deterministica, offre una base teorica intrigante per la nozione di universi paralleli. Una delle sue caratteristiche più sconcertanti è il principio di sovrapposizione, che afferma che una particella può trovarsi in più stati contemporaneamente fino a quando non viene osservata. Questo principio è alla base del famoso paradosso del gatto di Schrödinger, proposto dal fisico austriaco Erwin Schrödinger nel 1935.

Nell’esperimento mentale, un gatto viene posto in una scatola dove un meccanismo letale verrà attivato dal verificarsi di un evento subatomico (per esempio il decadimento di una particella radioattiva). L’evento può verificarsi o meno entro la prima ora: il meccanismo ha il 50% di probabilità di uccidere il gatto entro un’ora. Secondo le leggi della meccanica quantistica, fino a quando non apriamo la scatola e osserviamo il gatto, il sistema si trova in una sovrapposizione di stati, in cui il gatto è simultaneamente vivo e morto. Solo l’atto dell’osservazione costringe il sistema a “collassare” in uno dei due stati definiti: gatto vivo o gatto morto. Vale la pena sottolineare – paradosso nel paradosso – che Schrödinger elaborò il suo famoso esperimento mentale nel tentativo di irridere le conseguenze “assurde” del cosiddetto entanglement quantistico! 

L’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica porta questo paradosso un passo avanti. Secondo questa interpretazione, entrambe le possibilità si realizzano, ma in universi paralleli distinti. Quando apriamo la scatola, il nostro universo si divide in due: in uno, il gatto è vivo; nell’altro, il gatto è morto. Per ogni possibile esito di un evento quantistico, l’universo si biforca in una nuova realtà, creando una moltitudine infinita di mondi paralleli. Insomma: c’è un numero infinito di versioni di noi stessi. Ognuna viva in un universo leggermente diverso. In cui ogni possibile decisione e ogni possibile evento ha avuto luogo…

Realtà parallele e serie tv 

Data la portata di idee come queste, è curioso che prima di Dark Matter il tema degli universi paralleli e delle realtà alternative non sia mai stato affrontato in modo radicale in campo seriale. Con poche eccezioni. In parte Lost (l’ultima stagione). In parte The Leftovers, anche qui in particolare nell’ultima stagione. E poi Fringe, lo show mainstream ad aver dedicato più spazio a questa frontiera. Fringe (2008-2013), come raccontiamo nel podcast dedicato, esplora il tema delle realtà parallele e di un universo alternativo in cui le versioni dei personaggi principali vivono vite diverse. La serie approfondisce il concetto di realtà multiple e le implicazioni etiche e morali delle interazioni tra questi universi.

Lasciando perdere racconti ascrivibili più alla logica ucronica (come The Man in the High Castle, che pure ipotizza realtà parallele e alternative), vale la pena menzionare la presenza del tema nel mondo del fumetto. Specie con il multiverso della Marvel, poi divenuto film e serie. Le due stagioni di Loki, per esempio, esplorano il concetto di varianti e linee temporali alternative, approfondendo in modo brillante complessità e paradossi dell’idea di multiverso.

Ma una menzione a parte la merita una serie sfortunata e fascinosa, che prima di Dark Matter poteva rivendicare la palma del maggior sforzo narrativo per mettere in scena concetti intriganti quanto astrusi e controintuitivi: Awake. In onda per una sola stagione nel 2012, per 13 episodi, racconta nei toni di un drama thriller poliziesco la “doppia vita” di un detective (interpretato da Jason Isaacs). Che, dopo un grave incidente con moglie e figlio, si risveglia ogni giorno alternandosi tra due “realtà”. In una, sua moglie è morta nell’incidente, nell’altra è morto il figlio. Incapace di determinare quale realtà sia vera, Michael utilizza dettagli da ciascuna realtà per risolvere casi nell’altra.

Gli universi alternativi di Rick and Morty

Ma come spesso accade, è un cartone animato “adulto”, Rick and Morty, ad aver offerto un’attuazione particolarmente sofisticata e brillante di un tema attuale e complesso. In questo caso, i paradossi del multiverso. A Rick and Morty abbiamo dedicato non solo l’articolo linkato ma anche questa puntata del podcast. Gli universi alternativi sono un pezzo cospicuo dell’intero mondo narrativo del cartone creato da Justin Roiland e Dan Harmon (già autore di Community). Ma c’è un episodio che porta la cosa a un livello decisamente superiore. 

Mi riferisco alla puntata nota come “L’episodio della vasca d’acido” (s4, e8), premiata con un Emmy per gli show animati. Per dare una lezione a un Morty particolarmente lamentoso, Rick costruisce al nipote un telecomando con due funzioni, una che “salva” e una che “ricarica” la situazione. Proprio come in un videogame. Morty abusa dello strumento, vive una commovente storia d’amore contornata di tragedia, supera un incidente aereo tra i ghiacci nordici con la fidanzatina, e poi vede tutto svanire per un accidentale “ripristino all’ultimo salvataggio”. Nota a margine: Rick and Morty riesce a raccontare tutto questo in 4 mirabili minuti. Li vedete qui sotto. 

L’episodio non si conclude lì. Rick spiega a un esterrefatto Morty che il congegno non funzionava affatto come un videogame. Al contrario, ad ogni “riavvio” il ragazzino veniva proiettato in una realtà alternativa, uccidendo il Morty di quel piano dimensionale e prendendone il posto. Insomma: è l’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica nella sua forma più tremenda e spietata. 

La stessa che si trova in un brillante e pluripremiato cortometraggio, intitolato One Minute Time Machine (2014). Che il suo autore – Devon Avery – indica come probabile fonte di ispirazione per l’episodio del cartone (2020). Lo potete vedere qui sotto.   

Dark Matter, alla fine, è bella o brutta?

Riprendiamo la questione da cui eravamo, un po’ paradossalmente, partiti. Ma la verità è che Dark Matter, di cui era difficile prevedere l’esito prima di vederla, resta un oggetto un po’ misterioso, o quantomeno contraddittorio. Anche a visione completata. I temi, penso sia chiaro arrivati a questo punto, sono di enorme fascinazione e interesse. E vengono sviluppati con una certa coerenza, persino con una caparbia radicalità. Ma con esiti difformi.

Ci sono puntate ottime, sia nelle parti più da thriller (la famiglia di Jason#1 alle prese, inconsapevolmente, con Jason#2, e viceversa) che in quelle apertamente fantascientifiche (l’esplorazione di mondi a volte solo leggermente diversi dal nostro, a volte radicalmente altri e alieni, a volte dolorosamente profetici di possibili sventure a venire). Ma ci sono anche episodi come quelli finali (evito spoiler e resto sul vago) in cui il principio fisico/filosofico su cui si fonda la serie viene sì portato alle estreme conseguenze, persino con coraggio, ma forse trascinato oltre la soglia del ridicolo. 

E se la messa in scena è buona, anche grazie alle suggestioni di una Chicago in parte luminosa e in parte dark, difformi sono anche le prove attoriali. I co-protagonisti Jennifer Connelly, Jimmy Simpson (l’amico Ryan) e Alice Braga offrono ritratti complessi e credibili, e così gli interpreti di contorno. Ma per qualche strana ragione Joel Edgerton, nel ruolo principale, fatica a convogliare le sfumature che ci si potrebbero aspettare. E che i diversi “sé” che mette in scena avrebbero consentito. 

Insomma, il paradosso di Schrödinger colpisce anche Dark Matter. Più che mai in questo caso, solo lo sguardo dell’osservatore può determinarne lo status. 

Le implicazioni filosofiche dell’idea di realtà alternative

Ed è un po’ un peccato perché le notevoli ambizioni di Dark Matter, e la sua volontà di indagare in modo radicale un set di idee fin qui perlopiù sfiorate dal racconto fantastico, unitamente al sempre evidente sforzo produttivo di Apple, avrebbero potuto portare a una serie spartiacque. Uno di quei progetti che modificano l’immaginario collettivo. 

Ed è un peccato perché questi temi – realtà alternative, universi paralleli – non sono solo speculazione narrativa o scientifica o esercizio intellettuale fine a se stesso. Già le implicazioni filosofiche sono profonde. Suggerendo che il nostro mondo potrebbe essere solo una piccola parte di una realtà molto più vasta e complessa di quanto possiamo immaginare. Ma c’è di più. Il tema delle realtà parallele oggi è diventato sorprendentemente rilevante e persino attuale, nel mondo tribalizzato in cui viviamo. Quello della guerra politica per fazioni. Noi contro gli altri. Bene contro Male. In cui è sempre più chiaro che in assenza di sufficienti basi comuni (condivise) tendono a formarsi realtà di fatto separate, parallele, alternative. In conflitto tra loro. Che non conoscono altro modo per esistere che la distruzione del proprio “doppio speculare”. 

Un discorso attualissimo, se guardiamo agli Stati Uniti. In cui quelle opposte tribù che sono diventate le comunità politiche Democratici / Repubblicani non litigano sulla ricetta migliore per risolvere le sfide del nostro tempo, ma sulla definizione stessa della realtà. In cui i fatti vengono confusi e rimpiazzati dalle opinioni. Una realtà in cui tutto mente – persino i numeri. In cui la storia viene riscritta ogni giorno. In cui, appunto, non viviamo più in un universo. Ma in un multiverso. Fatto di realtà parallele. Alternative. In guerra tra loro per il dominio.  

Il tema delle realtà parallele in Fringe: ascolta il podcast

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Jacopo Bulgarini d'Elci

Jacopo Bulgarini d'Elci

Fondatore e direttore del progetto MONDOSERIE, prende le serie terribilmente sul serio. In una vita precedente è stato assessore alla cultura della città di Vicenza. In altre e non meno reali esistenze, si è perso sull’isola di Lost, ha affrontato i propri gemelli oscuri in Twin Peaks, ha avuto il cuore spezzato da Breaking Bad. Autore e critico tv, scrive interventi sulle trasformazioni dell’immaginario pop (Doppiozero), tiene conferenze, coordina e realizza pubblicazioni. Soprattutto, guarda e riguarda show da quasi 30 anni.

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