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Home Mondovisioni Documentari

Amanda Knox, ossessione globale che non passa

Il docufilm di Netflix racconta la storia del delitto di Perugia e della sua principale e più famosa imputata

di RDB
21/12/2021
in Artwork, Documentari
Cover di Amanda Knox per Mondoserie
60
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Sono passati oramai 14 anni da quella notte di Halloween che fu l’ultima della studentessa britannica Meredith Kercher – in quella successiva sarebbe stata brutalmente assassinata. E sono passati oramai 5 anni dall’uscita del docufilm di Netflix sull’accaduto, incentrato, come da titolo, sulla principale imputata del lungo processo: Amanda Knox.

La notte di sangue di Perugia non passa. Con intervalli ciclici, torna a galla. Un tempo bastava una foto comparsa da qualche parte – la Knox vestita da ladro coi baffi per una festa di… Halloween – per riaccendere gli animi. In alcuni casi, dobbiamo dire che ci ha messo del suo: come quando si fece ritrarre, in una foto d’arte, nei panni di cappuccetto rosso con un uomo-lupo alle spalle).

Foto di Amanda Knox Cappuccetto Rosso

Un nonnulla, ed ecco tutti a parlare di Amanda.

Amanda, Amanda, Amanda. Sui giornali, in TV, in ogni parte del mondo Incarnazione del detto che si fa risalire a Dumas: «cherchez la femme», che qui è pure «femme fatale».

Il mondo si interessa pazzamente a questa ragazza che i giornali dipingono come attraente e, dopo indiscrezioni uscite subito, ritenuta da alcuni un po’ promiscua. Nessuno si è coinvolto allo stesso modo per la metà della storia maschile, Raffaele Sollecito, nonostante anche lui sia tornato sui giornali con cose vistose: discorsi sul sistema carcerario nazionale al congresso dei Radicali, foto nel deserto del Nevada al Burning Man, la creazione di una startup per commemorare i defunti.

Ma è solo Amanda che ha la scena. Al punto che perfino l’unico condannato, Rudy Guede, è passato subito in secondo piano, e per anni. Ora è uscito di prigione. Ma ovviamente, più che di lui e della sua storia, si ritorna a parlare di Amanda Knox.

L’interesse di tanti Paesi per Amanda Knox

Netflix aveva capito subito la portata del personaggio, realizzando questo docufilm che poteva dipanare in modo consistente le tante ambizioni della piattaforma già nel 2016, a poco più di un anno dalla partenza in Italia e in altri Paesi.

Perché il delitto Kercher non riguarda solo l’Italia, neanche per sogno. Sono coinvolti almeno tre Paesi, ciascuno con opinioni e umori diversi, se non opposti. L’Italia colpevolista che va in piazza a festeggiare le sentenze contro la Knox. Gli USA innocentisti e rabbiosi, che accusano la Giustizia Italiana e talvolta minacciano ritorsioni. La Gran Bretagna (patria della vittima) silente e addolorata, ma calma e determinatissima nel «dare alla nostra ragazza la Giustizia corretta», scrisse il Daily Mail, con i tabloid inglesi che pedinano Amanda Knox per Seattle per mesi una volta libera.

Aggiungiamoci anche un paio di Paesi africani: Guede viene dalla Costa d’Avorio. Congolese è invece il ragazzo finito per la testimonianza di Amanda (assolta poi dal Tribunale di Firenze dall’accusa di calunnia) nell’intreccio: Patrick Lumumba Diya, quasi omonimo del conterraneo leader delle speranze africane, uscito definitivamente dal discorso. 

La storia, tuttavia, deborda perfino da questo ampio spettro geografico: i taiwanesi, senza vergogna, mandarono in TV una sorta di ricostruzione dell’omicidio in 3D, fatta con grafiche simil-Sims che andavano di moda all’epoca (per esempio nelle satire contro Steve Jobs, allora vivente).

Il mondo ai suoi piedi

Il caso polarizzò il mondo. La condanna di Amanda Knox finì persino sulla scrivania di Hillary Clinton, all’epoca a capo del Dipartimento di Stato di Obama. Nella mente di molti si palesò una frattura geopolitica ancora più ampia. Una storia antica, che si ripete in anni di cronache cruente e controversie al limite dell’incidente diplomatico in vari Paesi della terra.

Molti hanno pensato: siamo alle solite, gli americani, fuori del loro Paese, possono schivare la giustizia. Perfino il Segretario di Stato in persona si occupa delle loro pene giudiziarie.

Quindi, il delitto di Perugia come la funivia del Cermis, o gli stupri di Okinawa (o di Vicenza…), la morte in Iraq del nostro agente segreto Nicola Calipari: impuniti, e i presunti colpevoli magari esfiltrati appena possibile. È la dottrina dell’eccezionalismo americano che diventa incubo giuridico mondiale – o se vogliamo, prepotenza politica pura.

Amanda Knox ora è tornata saldamente in sella. È stata ospite, riverita e credutissima, nel podcast più seguito del pianeta, quello di Joe Rogan. Ha avuto un figlio, ed è riuscita a tenere nascosta la gravidanza fino all’ultimo. Ora lavora con il marito, giornalisti-scrittori-podcaster. Fa l’attivista per gli ingiustamente carcerati. 

L’altro protagonista

L’altro vero protagonista del film Netflix è Giuliano Mignini, il PM del caso Kercher. Non potrebbe esserci personaggio più opposto rispetto ad Amanda: geometrico, razionale, algido – religioso. Viene da una famiglia di scultori. È attento, nitido in tutto quello che fa.

Mignini, ripreso nella sua chiesa – dove sappiamo essere assiduo – rivendica la sua visione di cattolico praticante: anche se la giustizia terrestre non provvede, arriverà quella divina.

Non si tira indietro rispetto a quello che deve dire. La sua carriera incute un certo rispetto: prima di Perugia, fu procuratore che indagava intorno al Mostro di Firenze, in particolare riguardo allo strambo ritrovamento del cadavere del dottor Francesco Narducci nel Lago Trasimeno. La storia si fa densa, entrano in gioco sette segrete, massoni, ville sperdute, coperture di ogni tipo. Non ci avviciniamo nemmeno, perché se lo facciamo ci morde la tarantola dell’enigma criminale  e ci ossessioniamo per sempre alla materia perdendo sonno e salute (come insegna il film Zodiac; peraltro qualcuno dice che Zodiac e il Mostro di Firenze siano la stessa persona… tarantola… pussa via!). Un pericolo che abbiamo raccontato qui parlando di un altro bel documentario, I’ll Be Gone in the Dark. 

Foto: il PM da Amanda Knox documentario

Nell’indagine sul mostro spunta fuori anche uno scrittore americano trasferitosi in Toscana perché interessato al caso del Mostro, Douglas Preston, che fu interrogato da Mignini. Lo statunitense non gradì particolarmente. Anni dopo, il romanziere riemerse per attaccare la condotta del magistrato italiano nel caso Knox. Ma non finisce qui.

I diritti del libro di Preston sulle sue disavventure dentro alla storia delle indagini sul Mostro di Firenze furono acquistati da Tom Cruise.  Sarebbe dovuto diventare un film con George Clooney, annunciato più e più volte. Il libro pare invece essere diventato, in questi mesi, una miniserie in sei puntate con Antonio Banderas, contro la quale il PM ha reagito quest’estate con una lettera indignata.

Da Joe Rogan Amanda ha rivelato – non senza destare la sorpresa da parte di chi ha visto il docufilm e gli universi inconciliabili dei due – , che il giudice ha risposto ad una sua lettera. Lei intende onorare l’accordo di non divulgare quanto le ha scritto.

L’interesse qui va alle stelle.

Foto: Meredith Kercher
Meredith Kercher, studentessa inglese, violla vittima del delitto di Perugia

Amanda Knox e lo spettacolo (inevitabile) del mistero

Oltre all’internazionalità, l’altra grande ambizione di Netflix era la possibilità di mostrare al mondo come il medium potesse arrivare, con qualità e puntualità, a masticare qualsiasi storia. Netflix arriva dappertutto, in ogni Paese, dentro a qualsiasi cosa – anche la più dolorosa, la più oscura, la più indicibile. Netflix 5 anni fa era di fatto l’unico vero streaming esistente: Amanda Knox era una prova della sua onnipotenza. 

Le cose sono cambiate in questo lustro. Amazon Prime Video, Disney+, AppleTV+ e tanti altri servizi hanno messo in crisi il monolite. Una cosa, però non è cambiata. Tutto il mondo parla ancora di «Foxy Knoxy», come la chiamarono i giornali inglesi.

Non sappiamo se si fermerà mai. Siamo ancora tutti qui a studiare ogni sua ruga, ogni sua lacrima, ogni suo vestito. Stiamo a interrogarci sulle cartwheel e le split, le ruote e le spaccate fatte mentre attendeva in Questura. La maglietta «All You Need is Love» al processo. Oppure qualche intervista che d’improvviso diventa inquietante, come quella alla TV irlandese, dove si è messa a cantare una canzone pro-IRA.

È stata lei? È malagiustizia? E giù a scrutarle il volto, ogni singola espressione, e chiederci ancora una volta: le crediamo?

Lo spettacolo di questo mistero non finirà mai. Non è bello, è inevitabile.

 

Giudizio: Amanda Knox è intenso, di ottima fattura. Indispensabile per chi si è interessato del caso. Per chi invece non ne sa nulla: un recap tra i tanti possibili, nemmeno troppo fazioso.

 

Leggi anche il nostro articolo su I’ll Be Gone in the Dark

I’ll Be Gone in the Dark, l’ossessiva caccia a un serial killer

Tags: Amanda Knoxdocumentariofenomeni mediatici e ossessioni di massaI’ll be gone in the darkItaliatrue crime
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