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The Mosquito Coast: è ancora possibile fuggire dal mondo?

La bella e angosciante serie Apple TV+ Con Justin Theroux racconta dell'individuo in lotta contro la società. E del perché, e come, scappiamo.

di Jacopo Bulgarini d'Elci
16/11/2022
in Articoli, Artwork, Libri
Artwork: cover per The Mosquito Coast
302
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Fascinosa, tesa, intensa serie la cui prima stagione si è da poco conclusa su Apple TV+: di The Mosquito Coast vale la pena parlare dedicandoci un po’ di tempo.

Non solo perché è bella, ma perché affronta un tema che sta diventando e diventerà sempre più centrale: il conflitto tra l’individuo e il mondo; l’individuo in fuga dal mondo. 

La battuta – profetica – di Bill Burr sul Muro

Guardandola, però, continuavo a ripensare con ancora più frequenza a una delle battute più divertenti sentite negli ultimi anni. La disse il quasi infallibile Bill Burr, voce comica del disorientamento americano maschile, bianco e middle class, di recente consacrato pure da una parte ricorrente in The Mandalorian. Siamo il giorno dopo l’elezione di Trump, e Burr era – ovviamente – ospite di Conan O’Brien. 

Tema: le elezioni, la vittoria a sorpresa di Trump, lo shock di metà del Paese. Si parla della prospettata costruzione del Muro, che nelle promesse roboanti del platinato artista della truffa divenuto Presidente dovrebbe tenere fuori dagli Stati Uniti i “bad hombre”, come li aveva chiamati. 

Burr, peraltro assai poco tenero anche con la Clinton, commentando sulla lunghezza allucinante del confine USA – Mexico tira fuori la battuta folgorante: “Per quando avranno finito di costruirlo, saremo noi che cercheremo di scavalcarlo”. La parte sul Muro è da 4:03, ma l’intero brano è da vedere; ricordando che siamo letteralmente il giorno dopo l’elezione di Trump.

The Mosquito Coast non fa ridere, proprio per niente, e non ne ha alcuna intenzione. Eppure, come vedremo, la battuta di Burr di fine 2016 aveva qualcosa di profetico. Perché i muri, una volta che sono stati costruiti, funzionano in entrambe le direzioni.

Il muro che separa Stati Uniti e Messico, simbolo delle politiche di Trump

Di cosa parla The Mosquito Coast

Lo capiamo meglio se vediamo di che parla la serie. La cui rilevanza culturale trascende l’impatto circoscritto dello show, come discuteremo più avanti parlando dei temi che affronta.

Allie Fox (l’eccellente Justin Theroux) è un inventore geniale ma spiantato, le cui ingegnose creazioni non sembrano interessare nessuno. Così, in attesa di riuscire a registrare quel brevetto che ne cambierebbe la vita, mantiene a fatica la famiglia ricorrendo a infiniti lavoretti e soprattutto promuovendo uno stile di vita improntato all’anti-consumismo. Con la moglie Margot (Melissa George) e i figli adolescenti Dina (Logan Polish) e Charlie (Gabriel Bateman) vive off grid nell’America profonda: niente cellulari o computer, niente carte di credito, riciclo e riparazione dell’esistente come filosofia di vita. 

Ma a motivare marito e moglie nella scelta di sottrarsi alla società dei consumi non è solo l’odio profondo per la sempre più oppressiva mercantilizzazione della società americana. Lo capiamo già nella prima puntata. Una telefonata clandestina di Margot ai genitori viene captata da un’agenzia governativa di controllo. Poliziotti e federali si dirigono in forze verso l’isolata casa dei Fox.

Foto: The Mosquito Coast
La famiglia Fox si appresta a fuggire dagli Stati Uniti, all’inizio di The Mosquito Coast (Apple TV+)

Con non poche peripezie la famiglia riesce a scappare. Dunque, Allie è ricercato: oppure potrebbe esserlo la moglie, con un dubbio che non ci toglieremo fino alla fine della prima stagione. Per qualcosa che uno di loro ha fatto nel passato, qualcosa di abbastanza grosso da tenere vivo, a distanza di anni, il fortissimo interesse del governo americano.

In ogni caso, si parte per una fuga che ha il sapore dell’avventura: direzione, il Messico, e poi si vedrà. Ma intanto bisogna arrivarci. Perché in mezzo ci sono poliziotti e federali che inseguono, una dogana presidiata, un Muro da superare e il deserto con le sue insidie mortali, affrontate ogni anno da migliaia di migranti illegali. Insomma, un’avventura serissima.  

Un libro, un film, una serie. E due curiosità.

Chi pensa di sapere come e dove la storia si svilupperà, però, sbaglia. Come vedremo meglio dopo, né il libro di Paul Theroux del 1981 né il film di Peter Weir con Harrison Ford del 1986 sono una bussola affidabile per lo show. Chi ricorda in particolare il film, all’epoca un insuccesso ma poi capace di conquistarsi nel tempo uno status di cult movie, potrebbe persino trovarsi spiazzato: quando arriveremo nell’eponima Mosquito Coast, la “costa delle zanzare” dell’Honduras, con i suoi paesaggi vergini insieme promettenti e minacciosi?

Torneremo dopo sul libro e sulle differenze col film. Basti qui dire che libro e film ci portavano subito lì, in Centro America. Mentre la serie prende, per così dire, una lunghissima deviazione panoramica: al cuore del racconto che si poteva aspettare chi conosceva le fonti di ispirazione si arriverà con la seconda stagione, già programmata.

Le sette puntate distribuite da Apple TV+ nella prima metà del 2021 sono state sviluppate da Neil Cross e Tom Bissell. Al primo, qui anche showrunner, si devono la creazione di due prodotti interessanti come Luther e Hard Sun. 

Paul Theroux, autore del libro The Mosquito Coast (1981) e zio del protagonista della serie Justin Theroux

Prima curiosità: Justin Theroux, che della serie è protagonista e produttore esecutivo, è nipote del Paul autore del libro da cui è tratta. Ottantenne, Paul Theroux ha pubblicato il suo primo romanzo, Waldo, nel 1967. L’Africa, il Sudamerica e soprattutto l’Asia, luoghi in cui ha vissuto a lungo, hanno ispirato alcuni dei suoi libri maggiori: The Great Railway Bazaar – By train through Asia; Hotel Honolulu; Ultimo treno della Patagonia; Ultimi giorni a Hong Kong; Dark Star Safari; il nostro Mosquito Coast.

Curiosità numero due: se vi chiedete, come io ho fatto a lungo, perché la coppia Justin Theroux – Melissa George vi facesse suonare un campanello in testa, ecco la risposta. Non è solo per l’innegabile chimica tra i due attori, capaci di trasmettere una fortissima e quasi telepatica complicità di partenza. Nel 2001, 20 anni fa, condivisero un paio di scene di quel capolavoro eccezionale che è Mulholland Drive, di David Lynch.  Lei appariva brevemente ma con intensità (era l’attrice che in provino cantava “I’ve Told Every Little Star” e che veniva scelta per il film, fortemente raccomandata dai due coproduttori mafiosi – “She’s the one”). Lui, pur a inizio carriera, aveva una delle parti maggiori: il regista. Tornerà nell’ultimo film del visionario autore americano, Inland Empire (2006), e lo ameremo poi protagonista memorabile del gioiello televisivo The Leftovers (2014-2017) di Damon Lindelof, cui abbiamo dedicato questa puntata del podcast. 

Justin Theroux e Melissa George in The Mosquito Coast (Apple TV+)

La storia di partenza (che vedremo nella seconda stagione?)

Prima di chiudere planando sui temi di questa serie interessante e fascinosa, mettendo in evidenza perché sono così attuali e rilevanti in prospettiva socio-culturale, bisogna affrontare l’elefante nella stanza. Il libro, il film. 

La trama della prima stagione dello show prende una direzione così diversa che parlare delle fonti di partenza non compromette per nulla la visione della serie. Ma è chiaro che la seconda stagione, salvo nuove sorprese, ci dovrebbe portare là dove ci si aspettava fin da subito che la serie andasse. Chi non vuole rischiare proprio nessuna anticipazione sulla trama (immaginiamo) della prossima stagione passi al prossimo capitolo. In ogni caso, non ci saranno spoiler.

Il libro di Paul Theroux e film di Peter Weir, entrambi negli anni ‘80, raccontavano molto similmente della scelta radicale di Allie Fox. Inventore geniale ma caparbio come un mulo e perennemente incompreso, convinto che la società americana fosse sul punto di collassare probabilmente a causa di un’imminente e devastante guerra, spostava la famiglia in Honduras. Qui, acquistato un villaggio costiero di poche capanne, il visionario anticonformista provava a costruire il piccolo paradiso utopico che aveva sempre vagheggiato. Basandolo sulla scienza, la ragione, l’odio acceso per la religione e il trascendente, la diffidenza per le debolezze della società dei consumi. E soprattutto sull’idea di una piena autosufficienza tecnologica e socio-culturale: l’uomo di ingegno, forte delle sue risorse e in alleanza con la natura, non ha bisogno della degenerata società contemporanea.    

Nota a margine: il film merita davvero la visione. Peter Weir (L’attimo fuggente, The Truman Show) alla regia è particolarmente ispirato, come sempre quando incrocia una Natura misteriosa, sacra, minacciosa (Picnic a Hanging Rock; Master and Commander). La sceneggiatura l’ha scritta il grande  Paul Schrader, già autore di American Gigolò e Taxi Driver. Harrison Ford interpreta forse l’unico ruolo non da eroe-tutto-d’un-pezzo della sua ricchissima carriera. E a narrare il tutto, nei panni del figlio Charlie, è nientemeno che un giovanissimo River Phoenix. Serve altro?

Harrison Ford e un giovanissimo River Phoenix nella versione cinematografica di Peter Weir (1986)

I temi di The Mosquito Coast (2021)

Torniamo alla serie. La scelta di non mostrare, nella prima stagione, quasi nulla del cuore narrativo del racconto indicato anche dal titolo è radicale. 

Come se le prime sette puntate fossero una sorta di lunga (per chi si aspettava l’adesione a libro e film) premessa. Una premessa al contempo appassionante e avvincente, che costruisce tensione e ragioni e profondità e insieme ci avvicina al racconto che ci attendiamo: l’arrivo in questa benedetta Costa delle Zanzare. 

Ma è una scelta giusta, se si considera l’evoluzione dello spettro ideologico e politico della storia. 

Alcuni temi li ritroviamo simili a come libro e film li esprimevano. Il rifiuto radicale di una società consumistica, in cui tutto diventa usa e getta e nessuno ripara più nulla. Secondo una chiara contrapposizione valoriale: l’immorale e indifferente dissipazione del consumismo contro quel partecipe prendersi cura che l’atto della manutenzione e della riparazione presuppongono. 

Ovviamente, l’idea della resistenza dell’individuo al costante tentativo di omologazione del mondo: fino alla scelta di opporsi, con forza, o di sottrarsi, di chiamarsi fuori, di fuggire lontano da una società retta da regole indigeribili. 

Foto: The Mosquito Coast
In fuga dalla civiltà, in fuga dalla società dei consumi

E poi il racconto di un’ossessione che confina con la follia. Perché l’altro rovescio della medaglia della logica “noi contro tutti” è, per l’appunto, che si finisce per ritrovarsi davvero contro tutti. La polizia, le opache e ciniche agenzie americane per la sicurezza nazionale, i cartelli messicani, i trafficanti di immigrati clandestini, gli amici e le conoscenze della vita di prima. 

Ed è un’ossessione che reclama sacrifici: quello non proposto ma imposto, ovviamente, ai due figli adolescenti. Che non possono avere una vita normale in America. Che vengono trascinati dai genitori, e in specie dal padre sempre più paranoico, in una fuga verso il “Paradiso” costellata di cadaveri, menzogne, rinunce.  

Di là dal Muro

Altri temi, però, nei 4 decenni che separano il libro (e, quasi, il film) dalla serie sono cambiati. In parte si sono radicalizzati. L’American Dream è definitivamente morto, nel collasso della classe media, nella rabbiosa guerra tra poveri contro i nuovi schiavi giunti dal confine meridionale, nella corruzione morale di ogni istituzione statale.

La critica, già molto accesa, della società dei consumi qua diventa se possibile ancora più assoluta. The Mosquito Coast ci mostra un mondo in cui davvero tutto, ogni singola cosa, ha un prezzo; e quindi tutto è in vendita. Non solo nell’America lasciata alle spalle senza troppi rimpianti dai Fox. 

Anche nel mondo al di là del Muro. Un materialismo che non lascia spazio a nient’altro (pietà, sentimenti, umanità) si è impadronito di tutto e tutti. Agenzie federali statunitensi e cartelli messicani agiscono con lo stesso cinismo (e qualche richiamo a Breaking Bad lo sentiamo). La vita, per tutti, ha un prezzo: ed è un prezzo modesto. Persino i bambini, come negli episodi angoscianti di Città del Messico, sono parte di questo meccanismo infernale: cenciose spie, orribili e spietati mercenari della criminalità organizzata.  

Foto: The Mosquito Coast
Di là dal muro, attraverso il deserto, alla ricerca di una terra promessa

Anche la scelta di modificare il quadro motivazionale dei Fox contribuisce a mutare l’atmosfera dell’opera: là era la volontà di reinventarsi una vita altrove; qua è la necessità anche concreta di sfuggire alla minaccia di una cattura da parte delle autorità. E questo porta con sé una dimensione più politica, più paranoica, più complottistica. Del tutto in linea con la nuova, terrificante America che le cronache ci presentano.

Un’America dilaniata da una guerra civile strisciante, pronta a divampare fisicamente e non solo nella sua dimensione culturale. Un’America avvelenata dalle teorie del complotto, dalla sfiducia ormai totale nel sistema, dai miasmi tribalistici della Rete. 

40 anni dopo, la storia di The Mosquito Coast ha perso le ultime vestigia romantiche. Vogliamo fuggire, ma forse non sappiamo neppure più se è rimasto un luogo verso cui scappare. Proprio come nella battuta di Bill Burr che dicevamo profetica: “Per quando avranno finito di costruire il Muro saremo noi che cercheremo di scavalcarlo”.

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Jacopo Bulgarini d'Elci

Jacopo Bulgarini d'Elci

Fondatore e direttore del progetto MONDOSERIE, prende le serie terribilmente sul serio. In una vita precedente è stato assessore alla cultura della città di Vicenza. In altre e non meno reali esistenze, si è perso sull’isola di Lost, ha affrontato i propri gemelli oscuri in Twin Peaks, ha avuto il cuore spezzato da Breaking Bad. Autore e critico tv, scrive interventi sulle trasformazioni dell’immaginario pop (Doppiozero), tiene conferenze, coordina e realizza pubblicazioni. Soprattutto, guarda e riguarda show da quasi 30 anni.

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