Vikings: Valhalla (2022) è il sequel / spin off di Vikings, la celeberrima serie in 6 stagioni di Michael Hirst. Sostituito qui – nella scrittura – da Jeb Stuart (sceneggiatore di Trappola di cristallo e de Il fuggitivo). Vikings: Valhalla mantiene il connubio, già caratteristico della serie originale, tra realtà storica e invenzione drammaturgica (e di cui abbiamo parlato ampiamente qui). Narrando gli avvenimenti accaduti un secolo dopo le gesta di Ragnar e figli, ormai entrati a pieno titolo nel mito norreno.
I vichinghi si sono da tempo insediati sulle coste britanniche, dapprima con la forza, poi venendo a patti con nobili e corona. Ma nonostante un lungo periodo di convivenza relativamente pacifica, le tensioni e i contrasti tra i due popoli rimangono irrisolti. Fino al massacro nel giorno di San Brizio (13 novembre 1002), che segna l’incipit di questo nuovo racconto.
Il re anglosassone Aethelred II (Bosco Hogan) – in seguito ribattezzato lo Sconsigliato, chissà perché – ordina a tradimento di annientare tutti gli insediamenti norreni presenti nel paese. Di conseguenza il re danese Canuto il Grande (Bradley Freegard) chiama a raccolta tutte le tribù in terra vichinga, riunendole in un’unica imponente armata, per compiere l’inevitabile vendetta. Come i figli di Ragnar fecero gloriosamente un secolo prima, in risposta all’esecuzione del leggendario padre, compiutasi in territorio inglese. Con una differenza sostanziale: il mondo nordico è ora diviso tra cristiani e pagani, e versa costantemente sull’orlo di una guerra civile di religione. Ma vendicare il massacro del giorno di San Brizio si rivela l’insperata – forse l’ultima – occasione per riunire tutti i vichinghi sotto l’orgoglioso vessillo del sangue di appartenenza.
Vikings Valhalla tra sete di gloria e fame di ricchezze: un film già visto
Il grande raduno avviene naturalmente a Kattegat, capitale per antonomasia di Vikings, ora retta dalla saggia e tollerante – dovendo far convivere la nuova cristianità e la fiera tradizione – Jarl Haakon (Caroline Henderson). Guerriera di origini addirittura africane, a significare l’evoluzione in un certo senso cosmopolita della città e della cultura vichinga in essa rappresentata.
Canuto il Grande è sostenuto in questa grande battaglia dal giovane e nobile principe norvegese Harald Sigurdsson (Leo Suter) e dal suo fratellastro Olaf Haraldsson (Jóhannes Haukur Jóhannesson), cristiano fanatico e avido di potere e ricchezze.
A chiudere il quadro dei protagonisti nordici vi sono i groenlandesi – Leif (Sam Corlett) e sua sorella Freydís (Frida Gustavsson), figli del grande berserk Erik il Rosso – giunti a Kattegat per trovare e uccidere il norreno cristiano che ha violentato lei, incidendole una croce sulla schiena.
Come sempre nel mondo di Vikings la vendetta è, con il desiderio di gloria, uno dei nobili moventi di qualsiasi impresa. Dico nobile, perché la sete di potere o la fame di ricchezze appartengono invece al novero delle ragioni squisitamente pragmatiche. E in generale in questa saga – come è giusto che sia – non sempre è semplice separare la nobiltà d’animo dal senso pratico.
Tra Kattegat e l’Inghilterra, senza dimenticare Uppsala, luogo sacro meta di pellegrinaggio per i cultori di Odino e Thor, si compiono le avventurose vicende di Vikings: Valhalla.
Vicende e avventure che richiamano fatalmente, nelle loro dinamiche, la serie primaria, serie che del resto aveva già esplorato tutte le possibilità narrative contenute nell’orizzonte vichingo. Valhalla, in questo senso, ha ben poco di nuovo da raccontare. Battaglie spettacolari, tradimenti e intrighi politici, visioni mistiche, sanguinolenti sacrifici… tutto già visto, tutto già vissuto.
Il senso e la differenza tra sequel e spin off
Ma non è forse questo lo scopo principale di un sequel / spin off? Chiariamo. Sequel, in quanto il tutto avviene dopo, anche se è solo vagamente collegato alla narrazione prima. Spin off, in quanto si usano la stessa ambientazione e le stesse caratteristiche per raccontare altre storie, anche se con diversi personaggi. E dunque: Vikings: Valhalla è formalmente un sequel; per i contenuti, invece, è uno spin off.
L’idea principale è dunque quella di riproporre le medesime atmosfere di Vikings, proprio in virtù del suo straordinario successo.
La scrittura di Jeb Stuart, rispetto a quella di Michael Hirst, lascia però un po’ a desiderare. O meglio, ha caratteristiche diverse, più hollywoodiane. Ad esempio una sfacciata relativizzazione dello spaziotempo (lunghe distanze marittime o terrene percorse con assurda velocità), ingiustificati voltafaccia dei protagonisti (come se tradire appartenesse indiscutibilmente alla natura norrena), e altre scelte ellittiche narrative, di sicuro più appropriate in un film, per ovvie ragioni di durata.
A proposito – Vikings: Valhalla non si chiude con questa prima stagione. Il finale è un’invocazione alla stagione successiva, dato che lascia aperti tutti i percorsi narrativi. Che sia il tentativo di realizzare una nuova saga vichinga, articolata in più stagioni? Probabile. Perché se da una parte è vero che il mondo norreno è già stato inscenato in lungo e in largo, è altrettanto vero che la nota nuova che qui cerca di risuonare è proprio quel Valhalla del titolo – il luogo in cui dopo morti vanno i fieri guerrieri e le coraggiose shieldmaiden. Sia per la questione religiosa in sé, che divide in due il mondo in vichingo, sia per le conseguenze a cui questa porterà, ovvero il disfacimento di quello stesso mondo.
Vikings: Valhalla – da vedere perché già visto
Nella serie originale non si erano ancora visti vichinghi cristiani, con tutto ciò che questo apparente ossimoro comporta (vedi il meraviglioso personaggio Jarl Kåre – interpretato da Asbjorn Krogh Nissen – sterminatore di vichinghi pagani). Il cieco fanatismo, la furiosa intolleranza, la conversione imposta attraverso lo sterminio nel nome del Signore… Il tema è il declino e la fine della grande era vichinga, ormai fatalmente contaminata con religione e costumi europei e destinata ad un metaforico Valhalla.
Per tutto il resto, deformando cronache anglosassoni e saghe scandinave a piacimento, la trama indulge fin troppo in schemi cinematograficamente abusati e in luoghi divenuti ormai comuni dopo le 6 stagioni di Vikings. Sontuosi banchetti con decapitazione, dialoghi filosofici nel mentre si dà il colpo di grazia ai morenti sul campo di battaglia, traversate con modeste imbarcazioni sul mare in tempesta, l’immancabile attacco a Kattegat, e dulcis in fundo – il dialogo con l’immortale Veggente…
Nel bene e nel male, lo show è una ripetizione ad nauseam dell’esaltante rito della passionale violenza norrena. Insomma niente di nuovo – ma da vedere, paradossalmente, proprio perché già visto…
Per ritrovare il piacere della visione di quell’antico mondo perduto, che era propria di Vikings. Non è forse questo il nostalgico obiettivo di ogni sequel / spin off? Uhm… forse no. Ma sicuramente lo è per Vikings: Valhalla.
Leggi il nostro articolo sulla serie madre, Vikings!