The Thing About Pam (NBC, 2022) – in Italia andata saltuariamente in onda su Top Crime et similia del digitale terrestre – è una miniserie americana in 6 episodi (di circa 40 minuti l’uno), ispirata ad una storia realmente accaduta.
La vicenda è talmente surreale che, dopo averne fatto un articolato oggetto di cronaca – con episodi tra i più seguiti nella sua storia – Dateline NBC (programma di informazione e approfondimento) ha prodotto nel 2019 un omonimo podcast, anche questo da ascolti record. Con la voce narrante del giornalista canadese Keith Morrison: la stessa voce narrante della serie – che segue fedelmente titolo, trama e sviluppo della suddetta versione audio.
Protagonista assoluta di The Thing About Pam – con una performance davvero notevole – un’irriconoscibile Renée Zellweger (due volte premio Oscar). Completamente trasformatasi per l’occasione in un essere terribilmente sgraziato, sfatto e obeso. Una recitazione brillantemente debordante la sua, sempre volutamente sopra le righe, tanto da poter sembrare a volte addirittura esagerata. Soltanto alla fine, con i titoli di coda dell’ultimo episodio, venendo mostrati dei video originali della donna che l’attrice interpreta, si può pienamente apprezzarne lo scrupoloso lavoro di immedesimazione. Immedesimazione che, tra l’altro, ha richiesto due ore – per ogni giorno di riprese – soltanto per poter applicare le apposite protesi a corpo e viso.
Ma quale è la storia – realmente accaduta – narrata da questa strana miniserie? Durante una sera delle vacanze natalizie del 2011, nella cittadina di Troy, Missouri, la polizia riceve una concitata e confusa telefonata. Russell Faria (Glenn Fleshler – Billions, Barry), appena rientrato a casa dopo essere stato con gli amici, dice di aver trovato il corpo della moglie, Betsy – ovvero Elizabeth Kay Meyer Faria (Katy Mixon – American Housewife) – riverso nel sangue, sul pavimento della cucina.
Russ, Pam, e le 55 coltellate a Betsy
Il corpo di Betsy è straziato da una moltitudine di coltellate, e lo stesso coltello è ancora piantato nel collo della donna. Per qualche strambo motivo, legato forse all’erba fumata poco prima o forse solo alla sua dabbenaggine, Russ dice che la moglie – che stava lottando contro un cancro al quarto stadio – deve essersi suicidata.
Gli investigatori orientano da subito le indagini presumendo, da luogo uxoricida comune, la colpevolezza del marito. A rafforzare i loro sospetti vi è l’appassionata testimonianza di Pamela Hupp – la Pam del titolo: antipatica, ingombrante e invadente amica della vittima. L’ultima ad averla vista in vita. Ma la colpevolezza di Pam si intuisce praticamente fin da subito, e così i suoi più o meno goffi tentativi di incastrare il povero Russ.
Perché The Thing about Pam non è semplicemente una colorita serie fiction true crime ambientata nella provincia americana, in cui la tensione è data dal cercare di capire chi è stato (whodunnit), ovvero chi è l’assassino. Piuttosto è un avvincente e incalzante affresco di una personalità decisamente borderline: narcisista, manipolatrice e patologicamnte bugiarda (alla figura della casalinga sociopatica, Mondoserie ha dedicato un interessante articolo).
L’aspetto tragicomico di questa storia è che la sequela di menzogne di Pam, che dipinge il bonario e innocuo Russ come un mostro omicida, convince tutti in paese. Convince la madre e le stesse figlie di Betsy. Convince la polizia. E convince la procura. Ma soprattutto convincerà giudice e giuria. E Russ, nonostante l’appassionata difesa del brillante avvocato Schwartz (Josh Duhamel – Jupiter’s Legacy), viene ingiustamente condannato per il brutale omicidio – 55 coltellate! – della moglie.
The Thing about Pam e il teatro dell’assurdo
Ma perché Pam – donna d’affari, come lei stessa amava definirsi – avrebbe dovuto uccidere Betsy, sua amica e collega di lavoro? Forse perché pochi giorni prima, ad insaputa dei suoi stessi familiari, Betsy aveva cambiato il destinatario della sua assicurazione sulla vita (Pam, of course). Per il bene delle figlie, ancora minorenni – dice giustificandosi l’esuberante psicopatica. Eppure diversi anni dopo le due giovani donne – entrate nel frattempo nella maggiore età – non avranno ancora visto un soldo di quella polizza insanguinata.
Questo solido movente, assieme a nuove prove sull’inefficienza della polizia durante le prime indagini, non incluse nel precedente processo, portarono nel 2016 all’assoluzione in appello – e quindi alla sacrosanta scarcerazione – di Russ. La vicenda aveva ormai da tempo ampiamente travalicato i confini provinciali, divenendo oggetto di morbosa attenzione di stampa e televisione a livello nazionale. Il gioco facendosi più pesante, persino il pubblico ministero della contea (Judy Greer – Arrested Development) – che di questo aveva voluto fare un caso esemplare per la sua stessa carriera, puntando pregiudizialmente tutto sulla colpevolezza di lui – viene costretta a rivedere le sue precedenti posizioni. E a pagare il prezzo politico di tanta miopia, da lei presieduta, a livello investigativo prima e giudiziario poi.
Anche la suddetta voce narrante, che accompagna lo spettatore all’inizio e alla fine di ogni episodio, è più interessata a commentare questo irreale e grottesco susseguirsi degli avvenimenti. Che, poco a poco, porteranno alla luce le surreali malefatte di Pam. L’evoluzione in questione viene di volta in volta introdotta con un’ironia tendente spesso al lezioso, ma – vedere per credere – giustificata dalle successive e sempre più riprovevoli azioni della donna. Frutto di un crescente delirio che le farà raggiungere vere e proprie vette da teatro dell’assurdo.
La pena per una pessima messinscena
Tralasciando il dubbio suicidio (omicidio?) della propria madre, la Hupp verrà condannata all’ergastolo per un terzo delitto – quello del povero Louis Gumpenberger – che, nelle sue deliranti intenzioni, doveva figurare come complice di Russ nell’uccisione di Betsy. Nel suo nuovo racconto, Louis – un tizio che per gli inquirenti è letteralmente sbucato dal nulla – era entrato in casa sua per minacciarla con un coltello: lei aveva dovuto sparargli per legittima difesa.
In verità, questi era solo un poveraccio – con evidenti problemi psicomotori – che lei stessa aveva casualmente abbordato, con la promessa di un provino per la televisione (sic). E che si era quindi portata in casa. Per inscenare un dramma che – nella sua testa – avrebbe rispedito Russ in prigione, scagionandola in tal modo da ogni sospetto per l’omicidio di Betsy. La folle ed elaborata messinscena prevedeva dunque un’aggressione da parte del giovane handicappato che lei, temendo per la sua vita, uccide. Il tutto in diretta telefonica con il 911. E questa nuova vittima, come lei dirà concitatamente ai detective accorsi subito sulla scena, aveva sbraitato una conveniente confessione: quella di essere stato il complice di Russ nell’assassinio della moglie.
Ma la sua storia, questa volta, fa davvero acqua da tutte le parti. A partire dalle menomazioni del giovane malcapitato, che gli impedivano di correre e di poter alzare un coltello contro di lei. Per non parlare dei tracciati del suo cellulare, che la smentiscono ulteriormente, collocandola nei pressi dell’abitazione di Louis poco prima della millantata aggressione. Pam viene finalmente arrestata per l’omicidio di Gumpenberger. Sarà condannata all’ergastolo. Di fatto però si è tuttora in attesa di un responso per l’omicidio di Betsy. E rimane ancora sospetta la morte della madre: un suicidio che pare la Hupp abbia più o meno abilmente inscenato. Sempre per soldi.
La fiaba nera di The Thing about Pam
The Thing about Pam è quindi la storia di una psicopatica pluriomicida realmente esistita. I cui omicidi risalgono a poco più di una decina di anni fa. L’intervallo che intercorre tra gli eventi reali e la relativa finzione seriale si è fatto ultimamente sempre più breve. Questo rende più difficile fare una riflessione approfondita sulla portata degli eventi stessi. Correndo – più o meno consapevolmente – il rischio di mettere in risalto soltanto l’aspetto sensazionalistico degli avvenimenti in questione.
Con tutte le enormi differenze tra questi show – rispetto a The Thing about Pam, serie come Dahmer o Monsters: La storia di Lyle e Erik Menendez (entrambe di Ryan Murphy, alla cui straordinaria carriera Mondoserie ha dedicato un podcast) hanno sicuramente avuto dalla loro il tempo, riferendosi a fatti accaduti diversi anni, o addirittura decenni, prima. Riuscendo quindi a concentrare una profonda riflessione psicologica, filosofica e sociologica sui soggetti in questione.
Eppure questa fretta furiosa è indubbiamente uno dei nuovi segni distintivi del nostro tempo: così come i social hanno in un certo qual modo annullato la possibilità di mediare, ovvero di ponderare un pensiero, una reazione, una risposta – lasciando porte spalancate a commenti istintivi d’ogni tipo e d’ogni sorta. Achtung: questa superficialità non è per forza un male. Anzi, attraverso l’affabulazione seriale, si riesce forse a raccontare l’essenza di ciò che è accaduto. Senza contaminazioni ermeneutiche di sorta. Restando proprio sulla superficie, come sognava Oscar Wilde. E proprio perché non c’è stato il tempo di elaborare una riflessione, non si corre nemmeno il rischio di falsificare la narrazione, se vogliamo. Chissà.
Nello specifico The Thing about Pam si presenta come una fiaba nera. Assolutamente fiabesco è il tono con cui questo racconto comincia. Evolvendosi presto, al contempo, in tragedia e parodia. Un altro segno dei tempi: quello di non riuscire più a distinguere l’aspetto drammatico da quello farsesco di un avvenimento. Basti pensare all’attacco a Capitol Hill del 2021.
Una psicotica narrazione personale contro la NBC
Pamela Hupp è un personaggio (una persona? difficile in questo caso separare una cosa dall’altra) assolutamente sgradevole: egoista, saccente, arrogante… E fino all’ultimo – teatrale. Nel senso parossistico e parodistico (per l’appunto) del termine. Fino, ad esempio, al plateale tentato suicidio: compiuto quando è ormai in arresto e ha finalmente realizzato di non avere più vie di uscita. Un tentativo improvvisato, inutile e malfatto. Come il piano per incastrare una seconda volta il povero Russ. E, in fondo, come il piano della prima volta, che si è realizzato solo grazie ad un’assurda condotta delle indagini. E ad un’assurdo pregiudizio da parte della procura.
Pam viveva letteralmente all’interno di una propria peculiare narrazione. Una narrazione, tra le altre cose, piuttosto costosa. Per mantenere il suo stile di vita – da borghese della classe media, niente di troppo sfarzoso, al limite qualche ritocco di chirurgia estetica – doveva talvolta attingere alla riscossione di polizze sulla vita a lei intestate. E dunque coinvolgere il resto del mondo nella sua follia mitomane. Una follia tragica. Causa, ad esempio, di 55 coltellate.
Fino a quando il resto del mondo si limitava alla propria contea, le cose sono filate piuttosto lisce. Ma quando il resto del mondo è diventato il resto degli Stati Uniti d’America, la sua ambizione mitopoietica ha dovuto scontrarsi contro l’iceberg della cosiddetta realtà. Ovvero contro ben altre narrazioni, molto più potenti e molto più avvincenti della sua. Tipo quella di Dateline NBC. E per Pam non c’è stato più niente da fare.
Da soggetto narrante si è ritrovata ad essere oggetto narrato. Protagonista assoluta di una storia seriale, dal titolo The Thing about Pam. Ideata da Jenny Klein. Per la regia di Scott Winant, Logan Kibens e Adam Kane. Prodotta da Blumhouse Television, NBC News Studios. The End.
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