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Bull: una cinica scommessa sulla pigrizia del pubblico

Le 6 stagioni del legal drama sprecano una premessa interessante (la manipolabilità del sistema giudiziario USA) in un telefilm ripetitivo, fatuo e pomposo come il suo protagonista

di Jacopo Bulgarini d'Elci
11/12/2024
in Articoli
Cover di Bull per Mondoserie
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Bull è l’esempio perfetto di quei prodotti (sono ancora tantissimi) pensati a tavolino per funzionare senza correre il minimo rischio. Una scommessa tanto evidente quanto cinica sulla pigrizia del pubblico, di cui solletica l’appetito per l’evasione, compiacendolo con il minimo sforzo. Un’operazione per certi aspetti nata vecchia, perché ripropone in anni a noi vicini (2016-2022) formule da telefilm d’intrattenimento classico (125 episodi, visto uno visti tutti). Ma per altri diversa dalle produzioni generaliste medie, che continuano a imperversare sui canali appunto generalisti e che sempre più spesso minacciano, per seguire gli spostamenti del pubblico, le oasi più o meno felici delle piattaforme streaming. Perché Bull avrebbe una premessa interessante – la manipolabilità del sistema giudiziario USA – e un impianto produttivo di tutto rispetto. Ma li spreca senza alcuna vergogna. 

Tutto, in questa serie, è artificioso, vacuo, pretenzioso. Artificiosa è la storia: Jason Bull, psicologo ed esperto di scienze forensi, assicura ai propri clienti mirabili vittorie in tribunale selezionando e poi manipolando le giurie, con l’ausilio di un apparato tecno-psicologico tanto sontuoso quanto risibile. 

Vacuo è il protagonista, con le sue faccette perennemente ammiccanti e compiaciute, cui dà il volto (e le suddette faccette ammiccanti) Michael Weatherly. Già per 13 estenuanti stagioni negli eleganti panni dell’agente speciale Anthony “Tony” DiNozzo del popolarissimo NCIS (un altro insondabile mistero della TV), di Weatherly si può piuttosto ricordare Dark Angel (2000-2002), dove ebbe l’immeritata fortuna di conoscere – e poi frequentare – l’allora diciannovenne Jessica Alba, luminosa protagonista dello show post-apocalittico. 

Pretenzioso è l’autore primo: Phil McGraw, che basa la storia su una parte della propria personale vicenda biografica e professionale. E che altri non è che il vanesio Dr. Phil, famosissimo negli States. 

Avrei già detto tutto, ma andiamo a completare il quadro con qualche informazione in più. 

Le faccette furbette del dottor Bull, interpretato da Michael Weatherly

Cos’è Bull?

Bull, trasmessa dalla CBS dal 2016 al 2022 (e in Italia visibile in modo frammentato, al momento, tra Paramount, Sky / Now e Tim Vision) è una serie procedural che ha saputo conquistare una solida base di pubblico grazie a un mix di tecnologia, psicologia e dramma legale.

La trama segue Jason Bull, psicologo e capo della Trial Analysis Corporation (TAC), un’azienda specializzata nell’analisi predittiva dei giurati. Bull e il suo team utilizzano strumenti tecnologici avanzati, algoritmi e tecniche psicologiche per anticipare e influenzare le decisioni delle giurie. Pilotando i processi in direzione dei loro clienti. I 125 episodi combinano casi legali autoconclusivi con archi narrativi più ampi, che esplorano la dinamica della squadra e gli aspetti personali della vita del protagonista.

Accanto a McGraw, stranoto in America come Dr. Phil e che ha fornito l’ispirazione per la serie basandosi sulla propria carriera giovanile, co-creatore dello show è un autore di livello come Paul Attanasio, noto per belle sceneggiature come Quiz Show e Donnie Brasco. Ma tra i nomi di peso figura pure Steven Spielberg, che con la sua casa ha prodotto le prime tre stagioni di Bull (forse per prossimità tematica al suo Minority Report?), prima di rinsavire. Il cast è guidato dal già citato Michael Weatherly, accanto a cui troviamo Freddy Rodriguez (Six Feet Under) e Geneva Carr (Law & Order – Criminal Intent).

Insomma un impegno produttivo cospicuo, salutato da un successo di pubblico significativo e duraturo, seppur un po’ declinante negli anni. Fino a fare dello show un punto di riferimento per CBS nel panorama delle serie procedural. Cosa che fa ancora più arrabbiare, se si pensa che non è appunto per carenze produttive se un tema così interessante e attuale ha finito per produrre una tale fesseria. Tradendo la sua intrigante premessa.

La manipolazione delle giurie tra realtà e finzione

In Bull, il protagonista guida un’azienda che sfrutta algoritmi, psicologia avanzata e “giurie specchio” per prevedere il comportamento dei giurati e influenzare i verdetti. Una giuria specchio è un gruppo di persone reclutato per simulare una vera giuria, così da aiutare gli avvocati a prepararsi per un processo. Permettendo di anticipare e studiare come i giurati effettivi reagiranno a testimonianze, prove e strategie legali. La giuria specchio è infatti composta da individui selezionati per avere caratteristiche simili (demografiche, culturali, o psicologiche) a quelle della giuria reale. 

Se la cosa vi pare bizzarra, non avete considerato quanti soldi girino attorno a molti processi, specie quelli con implicazioni industriali, o grandi risarcimenti. Negli States, dove come noto a decidere sulla colpevolezza dell’imputato è una giuria popolare composta da 12 cittadini estratti a sorte, è cresciuta a dismisura quella parte del procedimento che porta alla selezione del gruppo di giurati. Riducendoli da un pool casuale più ampio, sulla base dei veti e contro veti di accusa e difesa. I quali cercano, va da sé, di scegliere giurati più favorevoli alla propria tesi. Come? Con l’analisi dei dati demografici e del comportamento sociale dei possibili candidati.

La rappresentazione un po’ caricaturale di Bull si inserisce in un filone di opere che esplorano il tema della giustizia e della manipolabilità delle giurie. Show come Jury Duty (2023) e Depp vs Heard (2023) propongono sguardi rispettivamente satirico e documentaristico. Al cinema, un antico capolavoro idealistico come La parola ai giurati (1957) o il più cinico La giuria (2003) raccontano in modo disturbante il processo decisionale collettivo. Il secondo film in modalità molto simili a quelle esplorate da Bull. 

E che il creatore dello show, Phil McGraw, ha modellato sulle proprie reali esperienze giovanili come consulente forense.  

Phil McGraw: successi e controversie di Dr. Phil

Phil McGraw, meglio noto come “Dr. Phil,” è una figura iconica e al contempo divisiva della televisione americana. Psicologo clinico abilitato fino al 2006, è diventato una celebrità grazie a Oprah Winfrey, che lo ha lanciato come esperto di consulenza “di vita” nel suo talk show negli anni ’90. Questo trampolino di lancio lo ha portato a creare Dr. Phil nel 2002, un programma che si è imposto come uno dei talk show di maggior successo, in onda fino al 2023. Con uno stile diretto e un approccio spesso teatrale, McGraw affronta temi che spaziano dalla salute mentale ai conflitti familiari, attirando milioni di spettatori ogni settimana.

Tuttavia, dietro il successo si nasconde una lunga scia di controversie, indagini e cause legali. McGraw è stato spesso criticato per il modo in cui spettacolarizza le difficoltà personali dei suoi ospiti, trasformando problemi seri in intrattenimento. Un episodio particolarmente discusso riguarda la sua visita nel 2008 a Britney Spears, allora ricoverata in ospedale per problemi di salute mentale. L’apparizione, percepita da molti come un tentativo di sfruttare una situazione di estrema vulnerabilità, ha suscitato indignazione e sollevato dubbi sull’etica del suo operato.

Non meno problematiche sono state le accuse legate alla promozione di prodotti dimagranti e integratori. Nel 2004, McGraw è stato citato in giudizio per aver sostenuto integratori alimentari commercializzati come “soluzioni miracolose” per perdere peso. Cosa che ha portato a un accordo multimilionario per risolvere le accuse di pubblicità ingannevole.

Un uomo, insomma, che ha saputo costruire un impero mediatico giocando sul confine tra psicologia, spettacolo e marketing. La stessa ambiguità che vediamo anche in Bull: cioè tanto nel racconto interno alla serie, quanto nella serie in quanto tale. 

Bull, un prodotto di facciata – anzi di faccetta

Vabbé, avete capito. Il tema era serio e attuale: la selezione delle giurie, sempre più oggetto di dibattiti sull’etica e sull’equità. Con i dubbi su tecnologia e tecniche avanzate di profilazione. Con gli interrogativi disturbanti su come il potere e il denaro possano influenzare il sistema legale. E pure le premesse produttive c’erano tutte.  

Tuttavia, proprio come il suo ispiratore Bull preferisce concentrarsi sul dramma personale e sugli intrighi. Lasciando inesplorati gli aspetti più critici di un sistema che finisce per privilegiare chi può permettersi i migliori consulenti. Non siamo moralisti: il problema non è voler fare dell’intrattenimento, anche spicciolo. Il problema è spettacolarizzare superficialmente la figura di questo consulente legale / mago, trascurando totalmente le implicazioni etiche delle sue azioni per esaltarne acriticamente le ciniche manipolazioni. La giustizia, nelle mani di Jason Bull, diventa un mirabolante gioco di prestigio, che il pubblico viene spinto ad applaudire. Autolesionisticamente, visto che una “giustizia” siffatta favorisce gli abbienti a scapito dell’uomo medio. 

La satira di un sistema corrotto e problematico resta solo di facciata. Ma più che di facciata, dovremmo parlare di faccette: quelle del sempre ammiccante Weatherly, che trasforma il suo Bull in un pomposissimo e vanesio gigione, un incrocio tra insopportabile genio onnisciente e ridicolo imbonitore da circo itinerante. 

Invisibile e incomprensibile la presenza come co-creatore e produttore esecutivo di Paul Attanasio, che ha sfiorato due volte l’Oscar per le sceneggiature di Quiz Show e Donnie Brasco, e che qua si sarà prestato per ragioni – che ve lo dico a fare? – alimentari. 

Per il resto: 6 stagioni, 125 episodi, ascolti belli alti. Evidentemente, la scommessa di cui dicevamo in apertura è stata vinta. 

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Una versione embrionale di questo articolo è stata pubblicata l’11 febbraio 2019 su The Week, settimanale del gruppo editoriale Athesis. 

Tags: Bullprocessualepsicologia
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Jacopo Bulgarini d'Elci

Jacopo Bulgarini d'Elci

Fondatore e direttore del progetto MONDOSERIE, prende le serie terribilmente sul serio. In una vita precedente è stato assessore alla cultura della città di Vicenza. In altre e non meno reali esistenze, si è perso sull’isola di Lost, ha affrontato i propri gemelli oscuri in Twin Peaks, ha avuto il cuore spezzato da Breaking Bad. Autore e critico tv, scrive interventi sulle trasformazioni dell’immaginario pop (Doppiozero), tiene conferenze, coordina e realizza pubblicazioni. Soprattutto, guarda e riguarda show da quasi 30 anni.

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