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Tutto ricominciò con un’estate indiana, il capolavoro di Hugo Pratt e Milo Manara | Fumetto
Tutto ricominciò con un’estate indiana, podcast | Puntata a cura di Untimoteo
Senza ombra di dubbio Tutto ricominciò con un’estate indiana è uno dei massimi capolavori del fumetto italiano. E, a buon diritto, tra le opere più importanti della nona arte tout-court. Sceneggiato dal Maestro di Malamocco, ovvero il veterano del racconto d’avventura Hugo Pratt, e illustrato dal virtuoso veronese della matita Milo Manara, è ambientato nelle colonie del New England del XVIII° secolo. Compare per la prima volta nel 1983, a puntate, sull’allora appena nata rivista Corto Maltese, costola della storica Linus. In seguito è stato più volte riedito in volumi unici, sia di gran pregio che in edizioni economiche.
Questa è una delle sole due storie che Pratt abbia mai scritto senza disegnare (l’altra si chiama El Gaucho, ambientata nella frontiera americana di fine ‘800 e anch’essa affidata alle matite di Milo Manara). Tutto ricominciò con un’estate indiana è la vetta della produzione dei due autori, che qui si fondono mirabilmente. Pratt si abbandona con voluttà alle forme ideali delle donne e dei giovani, ritratti da un Manara che di contro non eccede mai, sfoderando un tratto sublime ma sempre fedele alle necessità della narrazione.
Una storia ricca di rimandi letterari e di immagini evocative, che alterna dialoghi serrati e funzionali a piccoli tocchi. Che solo due grandi artisti potevano concepire e che, anche se ininfluenti allo scorrere della trama, restituiscono un intero mondo al lettore. Centocinquanta pagine di perfezione stilistica e narrativa, che si fanno divorare e poi rimirare a lungo.
“Fumetto” è il formato del podcast di Mondoserie dedicato al mondo dei fumetti. Dai grandi classici alle opere più recenti. Italiani, orientali, occidentali.
Che cos’è l’estate indiana?
Siamo nel New England del XVIII° secolo. Nella colonia puritana di New Canaan è giunta l’estate indiana, ovvero gli ultimi giorni autunnali di calore prima del rigido inverno. La giovane Sheva, figlia del reverendo Black, passeggia solitaria sulla riva dell’oceano, quando si imbatte in due ragazzi del vicino accampamento nativo. Immediatamente i giovani nativi si fiondano su di lei e le fanno violenza. Dopo, come se nulla fosse accaduto, i maschi si tuffano gioiosi tra le onde per giocare.
Tra i cespugli, Abner, secondo figlio della famiglia di coloni Lewis, carica il fucile e spara all’Olandese, che crolla tra le braccia dell’amico. Quest’ultimo, compresa finalmente la gravità del suo gesto, accetta di essere il prossimo a cadere sotto i colpi di Abner. Il colono avanza verso i due morti, li scotenna e consegna alla ragazza gli scalpi dei suoi stupratori. Lei però scoppia in un pianto disperato e cade svenuta. Abner solleva Sheva tra le braccia e la porta nella casa di famiglia, costruita fuori dal forte di New Caaanan. I Lewis sono maledetti, la madre e i suoi 4 figli sono stati banditi per empietà e ora vivono tra la colonia e il villaggio di Squando.
Questo è l’incipit del fumetto, sedici pagine totalmente mute, in cui le doti dei suoi due autori risaltano in tutto il loro genio creativo. Pratt dà a Manara le intenzioni, i tempi e i significanti. Manara fa recitare i personaggi con l’intensità che solo un maestro assoluto del disegno può fare. Nel prosieguo delle vicende verremo a conoscenza di tutta la famiglia Lewis, della madre che porta sul viso il marchio d’infamia di Lilith, la sposa ribelle di Adamo, degli altri 3 figli, tutti avuti con uomini diversi e in contesti peccaminosi. Conosceremo Squando e la sua tribù, i soldati del fortino di New Canaan e il terribile reverendo nero, il capo dei puritani, l’incarnazione del male, dell’ipocrisia e della lussuria.
L’incontro tra due geni
Il legame che unisce Hugo Pratt e Milo Manara non inizia con quest’opera. Infatti da sempre il disegnatore veronese ha riconosciuto nel Maestro di Malamocco il suo più grande ispiratore. Il primo fumetto completamente scritto e disegnato da Manara è HP e Giuseppe Bergman, una storia rocambolesca piena di ironia e situazioni paradossali. In cui al protagonista (un autoritratto ideale dell’autore) succede un po’ di tutto e su cui incombe mefistofelico il nume tutelare delle storie d’avventura, ovvero H.P. (Hugo Pratt).
Milo Manara ha prestato le proprie matite ad altri grandissimi autori: Neil Gaiman (Endless Night – Desire), Chris Claremont (X Women – Girls on the run), Federico Fellini (Viaggio a Tulum, Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet) e Alejandro Jodorowsky (I Borgia), per citarne solo alcuni. Il suo Il gioco rimane uno dei libri a fumetti per adulti più venduti di sempre. Recentemente si è anche cimentato con le biografie (Caravaggio) e con l’adattamento del romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa.
Sarebbe invece inutile tracciare la parabola artistica di Hugo Pratt, il più grande autore di fumetti italiano, il più amato all’estero. Un autore che ha avuto una vita ancora più avventurosa delle sue creature. Figlio di un militare della legione straniera, appena dodicenne prigioniero dei guerrieri berberi, artista profugo sui tetti di Venezia, migrante in Argentina alla corte di Hector German Oesterheld, l’indimenticato autore dell’Eternauta. E ancora, i figli avuti con una donna indio della foresta amazzonica, i viaggi nell’Isola di Pasqua alla ricerca del continente perduto di Atlantide.
Questo straordinario autore giramondo, dalla cultura sconfinata e dalla fame di vita insaziabile, ha vissuto praticamente le stesse avventure del suo personaggio più famoso, il marinaio Corto Maltese. Un grande eroe sognatore e individualista. Uno spirito libero, l’incarnazione dell’irrequietezza. La rappresentazione dell’ideale di un mondo senza confini. Sempre dalla parte dei deboli e degli sconfitti. Le storie realizzate con Oesterheld (Sgt. Kirk, Ticonderoga) prendono le parti dei nativi americani, coloro che il mito della nuova frontiera l’hanno subito, coloro cui la corsa all’oro ha portato solo depredazione. Le produzioni in solitaria (Fort Wheeling, L’Uomo del Grande Nord) lo vedono descrivere una natura spietata eppure più giusta della legge degli uomini bianchi. Pratt nutre una naturale simpatia per i popoli nativi, ama le culture e i miti mentre odia i confini, strumenti di potere dei comandanti corrotti per tenere stretta la presa sulla povera gente.
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