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Suspicion: l’ombra delle PR sul nostro mondo

La prima stagione della serie Apple TV+ si fa guardare, ma manca di coraggio. Nonostante almeno un’idea interessante: le responsabilità socio-politiche delle agenzie di PR.

di Jacopo Bulgarini d'Elci
24/04/2022
in Articoli, Artwork
Cover di Suspicion per Mondoserie
170
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Tra capolavori e schifezze c’è tutto uno spazio grigio di serie medie, normali, guardabili ma senza particolare forza o interesse. Serie di cui spesso si finisce per parlare meno. Perché appunto non consentono una posizione nettissima: “da vedere!”; “da evitare!”. Suspicion (“Sospetto”) è una di queste. 

Trasmessa tra febbraio e marzo 2022 da Apple TV+, inglese, in 8 puntate, Suspicion è una serie thriller. Con un bello spunto di partenza, un’idea interessante, e uno svolgimento molto molto piano. Piacerà probabilmente, pur senza eccessivi entusiasmi, a chi trovi irresistibile lo spunto, o fascinosa l’idea. Meno, molto meno a tutti gli altri. Compresi i fan di Uma Thurman, il nome maggiore e potenzialmente attraente nel cast dello show. Perché le apparizioni della meravigliosa protagonista di Kill Bill sono limitate. E, un po’ come tutto il resto, piuttosto blande, assai poco speziate. 

Lo spunto intrigante di Suspicion: cinque persone, inglesi, vedono la loro vita stravolta quando vengono arrestate e accusate di aver organizzato il rapimento, a New York, del giovane Leo, figlio ed erede di Katherine Newman (la Thurman), imprenditrice di enorme successo che sta per diventare ambasciatrice degli Stati Uniti in Gran Bretagna. 

L’idea interessante: la Newman è a capo di una gigantesca agenzia di PR, un vero e proprio impero che plasma con abilità i media e l’informazione globale per servire gli interessi di danarosi e potenti clienti. 

I cinque sono stati incastrati? Oppure non sono poi così innocenti? E la Newman, madre affranta di un figlio rapito, è davvero solo una vittima? Che cosa vorranno i rapitori? Qual è la verità che reclamano per liberare il rapito (“Tell the truth”)?

Suspicion e False Flag: filiazione e cambiamenti 

Lo show britannico non è un originale. Deriva da una serie israeliana piuttosto celebre, False Flag. E anzi, è prodotto dalla divisione inglese della stessa casa, la Keshet. 

False Flag è andata in onda per un paio di stagioni a partire dal 2015. Con qualche premio all’attivo, lo show è divenuto un discreto successo internazionale, trasmesso in parecchi Paesi dopo essere stato comprato da Fox. 

Vediamo in cosa differisce dal nostro Suspicion. 

Innanzitutto l’ambientazione: siamo in Medio Oriente. Poi i temi: scenari geopolitici internazionali e servizi segreti, tra Iran e Mossad. La trama, mutatis mutandis, è invece bene o male quella. Cinque israeliani apparentemente comuni scoprono una mattina che i loro nomi, volti e dettagli personali sono stati diffusi sui media di tutto il mondo perché sospettati di essere coinvolti in un rapimento di alto profilo. Sono stati incastrati? Il titolo, che evoca un concetto divenuto nel frattempo molto popolare nel nostro mondo paranoico, sembra farlo pensare… 

Lo show è in qualche modo basato su, o meglio ispirato da, la storia dell’assassinio a Dubai di Mahmoud al-Mabhouh, co-fondatore dell’ala militare del gruppo islamista palestinese Hamas, il 19 gennaio 2010.

Ecco, in Suspicion la differenza maggiore è proprio quella per cui le ombre non sono tanto proiettate dalle diverse agenzie (FBI, polizia inglese, diplomazia, politica…) che cercano di ritrovare il rapito, ma dal mondo delle PR, le public relations. E dal potere che l’agenzia di Katherine Newman detiene. 

È la cosa più interessante, forse veramente l’unica cosa interessante, dello show.  

https://youtu.be/RQOKP-rhopA

La realtà dietro la finzione: le agenzie di PR

Perché tocca un punto realmente delicato del nostro tempo. Come la manipolazione dei media e dell’informazione, realizzata da soggetti senza scrupoli, può produrre effetti potenti e duraturi. Come può essere difficile, se non impossibile, ripristinare una verità che è stata per troppo tempo occultata e corrotta. E quanto è facile per converso distrarre, distogliere, far dubitare. 

In Suspicion la cosa assume una forma precisa. ATTENZIONE: c’è uno spoiler, nelle righe che segue, ma non compromette realmente la trama o i colpi di scena. È il retroscena. Se volete evitarlo saltate al prossimo capoverso! [INIZIO SPOILER] L’agenzia della Newman, scopriremo, decenni prima aveva costruito la propria fortuna agendo, per conto di alcuni colossi dell’industria petrolifera, nello screditare uno dei primi scienziati a sostenere la tesi del cambiamento globale. Per evitare che uno studio particolarmente convincente vedesse la luce, e condizionasse l’opinione pubblica, l’agenzia aveva costruito alcune campagne. La prima per screditare lo scienziato, inventando menzogne sulla sua vita privata. Poi screditandone lo studio, o meglio annegandolo in moltissimi altri studi (pagati) che sostenevano tesi diverse, o contrarie, o ambigue. Nella convinzione (giusta, ahinoi) che per rendere indistinguibile una verità basti circondarla di menzogne. [FINE SPOILER]

Quello che tocca Suspicion è uno dei grandi temi del nostro tempo. Perché le guerre si combattono sempre più sul fronte dell’informazione, come abbiamo raccontato nel parlare di Servitore del Popolo, la serie tv che ha “creato” l’attuale presidente ucraino. E perché la centralità strutturale del digitale e del web ha aumentato, non ridotto, la possibilità di confondere così tanto le acque della conoscenza e dell’informazione da rendere la verità sempre meno discernibile. Persa tra riflessi, nascosta dalle onde, portata via dalla corrente.

Peccato che questo tema Suspicion lo lasci, per restare in metafora, in superficie! 

https://youtu.be/TU6djQ4LW-A

Insomma, Suspicion…

Nelle sue 8 puntate, Suspicion racconta la vulnerabilità dell’individuo nell’era della paranoia, dell’informazione, della globalizzazione. Lo fa con competenza e una sufficiente efficacia. Distribuendo tensione e azione con la professionalità a cui ormai siamo abituati dalla televisione.

C’è più di un momento discreto, o riuscito. Nonostante un cast davvero poco brillante, e una scrittura assai piana. Medietà che finisce per attirare in basso anche una svogliata Uma Thurman. E che porta a un finale pure quello piuttosto pigro, oltre che non particolarmente verosimile. 

La tecnologia gioca ovviamente un ruolo centrale: sistemi di sorveglianza, possibilità di reperire in rete ogni informazione, hacker e sicurezza informatica. Tuttavia, i momenti migliori sono forse quelli in cui il gruppo dei protagonisti in fuga trova rifugio in una sperduta casetta di campagna. Senza internet, senza rete telefonica, con l’oscurità della notte che preme alle finestre, si scopre che la tensione più forte in fondo deriva ancora dagli ingredienti più vecchi. Il buio, un rumore improvviso, il perdersi di vista. 

Basta? Io, alla fine, le 8 puntate le ho viste tutte. Ma se mi venisse chiesto “perché?” farei fatica a rispondere. Succede!

 

Uno dei primi o racconti seriali della paranoia in forma di thriller: ascolta il nostro podcast su 24! 

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Fondatore e direttore del progetto MONDOSERIE, prende le serie terribilmente sul serio. In una vita precedente è stato assessore alla cultura della città di Vicenza. In altre e non meno reali esistenze, si è perso sull’isola di Lost, ha affrontato i propri gemelli oscuri in Twin Peaks, ha avuto il cuore spezzato da Breaking Bad. Autore e critico tv, scrive interventi sulle trasformazioni dell’immaginario pop (Doppiozero), tiene conferenze, coordina e realizza pubblicazioni. Soprattutto, guarda e riguarda show da quasi 30 anni.

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