Kaiser! Il più grande truffatore della storia del calcio è un documentario britannico del 2018 – per la regia di Louis Myles, al suo esordio cinematografico – girato per lo più in Brasile, per le interviste, con l’utilizzo di materiale video di repertorio, ora disponibile in Italia su Sky. Come già dice eloquentemente il titolo, si tratta dell’incredibile storia di Carlos Henrique Raposo, detto Kaiser, calciatore brasiliano (classe 1963) che negli anni Ottanta riuscì a ottenere una serie di contratti con le più importanti squadre del paese, senza però scendere mai in campo.
La sua carriera è durata addirittura vent’anni, nei quali il centravanti in questione può vantare un complessivo risibile di presenze in campo (34 partite per un totale di pochissimi minuti), senza naturalmente mai aver segnato un gol. Perché Kaiser, per quanto fisicamente prestante, era un tizio completamente impedito con il pallone: come dicono i suoi ex compagni – dovunque si trovasse il pallone, potevi essere sicuro che Kaiser era sempre da tutt’altra parte…
Kaiser, il più grande truffatore della storia del calcio
Per quanto assurdo possa sembrare, non si tratta di un mockumentary: questa è una storia assolutamente vera e, fino ad ora poco, conosciuta al di fuori dei confini nazionali (per ragioni di orgoglio calcistico brasiliano, credo). Perché il Brasile, rispetto al calcio, non è un paese qualsiasi; anzi, è una delle nazioni più religiosamente dedite e infervorate dal calcistico culto. Come si può dunque diventare calciatori famosi senza aver la minima idea di come si giochi a pallone? La risposta è il primo degli aspetti irresistibili di questo documentario.
Innanzitutto bisogna considerare che negli anni Ottanta non esisteva Internet e che dunque la natura dell’informazione – ovvero la capacità di ottenere informazioni di qualsivoglia natura – era tutto un altro mondo. La seconda premessa è che allora – come anche ora – i calciatori famosi vivevano in una sorta di Olimpo, come gli attori hollywoodiani o le rockstar. Uso il termine Olimpo perché lo stesso tipo di privilegi era goduto dagli atleti olimpionici dell’Antica Grecia (ma questa è un’altra storia).
‘Kaiser’, ci dice lui stesso – che ora va verso i sessanta – agli inizi del filmato, dietro un vistoso paio di occhiali da sole, era il soprannome datogli per la somiglianza del suo gioco con quello dell’allora campione tedesco Beckenbauer. Strano però: a quale tecnica di gioco si riferisce, se la sua è la storia di un truffatore del calcio o meglio, di un anticalciatore, come poco dopo si definirà? La risposta a questo fa parte del secondo aspetto irresistibile del documentario in questione.
Una “carriera” durata incredibilmente 20 anni
Ma torniamo a lui, a Kaiser, che negli anni ha ‘giocato’ con i quattri principali club brasiliani, avendo come compagni o amici nomi del calibro di Romario, Bebeto, Renato Gaucho, Edmundo e altri. Proprio alla somiglianza con Renato Gaucho, e alla benevolenza che questi ha per lui sempre avuto, Kaiser deve molta della sua fortuna. Atletico, prestante e sbruffone, appena il nostro protagonista, non ancora ventenne, capì di poter sfruttare quella somiglianza per entrare nei locali notturni più esclusivi di Rio de Janeiro, non si fece certo scrupoli; quando poi capì che, sempre grazie a quella somiglianza, poteva anche portarsi a letto molte, moltissime donne, se ne fece ancora meno…
Come prima si diceva, il grande calciatore, soprattutto in Brasile, era per il popolo tutto figura da idolatrare, venerare – e viziare. Kaiser, per così dire, una volta assaggiato il frutto proibito, non volle né poté più tornare indietro: , e per farla durare il più a lungo possibile (20 anni!) si avvale di tutti gli espedienti, anche i più improbabili.
Raccomandazioni – il primo contratto, con il Botafogo, arriva grazie ad un amico d’infanzia; corruzione – ad esempio di un raccattapalle, affinché convincesse la trentina di tifosi sugli spalti, durante il suo primo allenamento con un nuovo club, a tifare per lui, urlando all’unisono il suo nome; contraffazione – forgiando documenti a testimonianza del suo avvenuto acquisto da parte di club europei (tipo il corso Ajaccio); falsificazione – avendo meticolosamente preparato vhs (il formato video dell’epoca) contenenti le migliori azioni di qualche giocatore a lui simile (soprattutto se inquadrato e ripreso da lontano), oppure di un altro avente per cognome il suo nome di battesimo (Henrique), nel caso lo speaker ne stesse parlando!
Kaiser, un truffatore geniale
In poche parole, Kaiser è stato un truffatore geniale: riesce fin da subito a farsi acquistare da un grande club brasiliano (Botafogo; seguiranno, nell’ordine, Flamengo, Fluminense e Vasco de Gama – senza contare gli ingaggi all’estero); da lì in poi la sua strada è quindi, e inverosimilmente, in discesa. Ma come è stato possibile?
Attraverso una ininterrotta serie di infortuni simulati – a quei tempi la risonanza magnetica era cosa rara e costosa; una dirigenza arriverà a chiamare un esorcista voodoo pur di tentare di guarirlo – la sua innata sbruffoneria – simulava chiamate negli spogliatoi, in uno stentato anglofrancese, con un cellulare palesemente finto, affermando di essere in trattativa con grandi squadre europee – e la sua simpatia e ruffianeria – per cui era amatissimo dai compagni di squadra, pur tutti sapendo fosse scarsissimo a giocare.
Era inoltre bravissimo nel procurare sollazzi con il gentil sesso a tutti i giocatori, sposati e non, nelle notti di libera uscita o persino durante i castigati periodi di ritiro… Nessuno restava immune davanti al suo fascino magnetico o alle sua gaudenti e festose abilità
Persino Renato Gaucho, il sopracitato giocatore, una volta conosciutolo – quando non riuscì ad entrare in un locale notturno in cui, teoricamente, era già entrato poco prima, essendo appunto entrato Kaiser (che per Gaucho si spacciava) – lo trovò fantastico e divenne da allora suo grande amico, perdonandogli gli scambi di identità passati – e futuri.
Pistole, sotterfugi, birre in bottiglia
L’ultimo aneddoto che voglio qui citare riguarda un momento cruciale della sua carriera. Il presidente della squadra per cui allora giocava era un noto malavitoso, che girava sempre con la pistola. Dopo sei mesi di panchina, causa infortuni d’ogni tipo, il presidente, pistola alla mano, gli intimò di entrare in campo nel secondo tempo. Era arrivato il momento di mostrare a tutti il suo grande valore. Come lui stesso racconta, comincia a scaldarsi, sudando freddo, sente che per lui è finita… Poi, ad un tratto, la brillante intuizione: vede dei tifosi, oltre la rete, scalmanati come sempre; scavalca con un balzo la rete e comincia una rissa con i suddetti tifosi della sua stessa squadra.
Volano pugni e calci – senza pallone. Di conseguenza viene espulso dalla partita. Interrogato dal mafioso, pistola ancora alla mano, gli dirà (parola più, parola meno): “Prima che lei mi spari, mi lasci solo dire che per me è come un secondo padre; quelli la stavano insultando e io non potevo sopportarlo!” Tra lo stupore generale della panchina, si ritroverà con il contratto prolungato per altri sei mesi e lo stipendio raddoppiato, pronto a dare nuove mazzette ai medici compiacenti per ottenere falsi referti.
La storia di Kaiser è davvero pazzesca. Lui stesso, durante l’intervista per il documentario, cerca disperatamente di continuare a tenere vivo il suo mito. Ma – e questo è il secondo aspetto straordinario – gli autori scavano più a fondo nella sua storia. Un amico di infanzia racconta la verità sulla genesi del suo soprannome: altro che Beckenbauer, la Kaiser era una birra in bottiglia molto diffusa nel paese, dalla forma tutt’altro che slanciata, piccola e tozza, come Carlos Henrique da bambino – da qui il soprannome che poi gli è rimasto.
Se negli anni senza Internet gli era bastato confezionare un paio di articoli, grazie a qualche amico giornalista (un giornale arriverà addirittura a titolare “Il Bangu ha già il suo Re: Carlos Kaiser”) e ad alimentare le dicerie popolari sul suo grande talento, ai giorni nostri tutto questo non basta più. Il suo tentativo di tenere in auge il suo mito fallisce miseramente, e tristemente.
L’astuto intervistatore sa bene dove vuole andare a parare: all’inizio gli dà corda, per poi proseguire smontando il mitomane castello di bugie, millanteria per millanteria. E il Kaiser rimane così, poco a poco, nudo.
Kaiser, una parabola esistenziale
Il Kaiser nudo, ecco la terza e forse più notevole parte di questo documentario: un uomo che comunque ha da tempo concluso la sua carriera calcistica e che, dopo aver vissuto la vita da sogno dei grandi calciatori brasiliani – senza aver mai toccato una palla – si ritrova a dover fare i conti con la sua ineguagliabile e allucinante storia, nel bene e nel male. E si ritrova a fare questi dolorosi conti, paradossalmente, proprio davanti ad una telecamera, che lo costringe a togliersi la maschera. Sotto gli improbabili occhiali neri kitsch scorrono lacrime amare.
Fingendo ripetuti infortuni, Raposo ha nascosto ai tifosi di tutte le squadre in cui ha militato la sua grande incapacità di giocare a pallone: tutti i suoi compagni sapevano, ma lui sopperiva con le sue abilità da pappone. Anche presidenti e allenatori venivano a saperlo, prima o poi, ma non potevano parlare, pena l’ammissione di un’incompetenza senza pari. E così, Kaiser veniva prestato o ceduto ad altre squadre – e il circo continuava. Il vecchio Carlos Henrique, ripensandoci, si giustifica piagnucolando: “Tutti mi volevano bene, non ho mai fatto del male a nessuno…” Chissà se questo è vero. Chissà se ha mai fatto male.
“Kaiser! Il più grande truffatore della storia del calcio” è una parabola esistenziale che lascia stupefatti, portandoci inevitabilmente ora a parteggiare per lo sfrontato coraggio di un ragazzo che ha sfidato l’impossibile – o quantomeno l’altamente improbabile – e ne è uscito vincitore; ora a compatire il vecchio in lacrime che, dopo aver perso tutto ciò che aveva di più caro al mondo (due mogli e un figlio) per crudele fatalità, è rimasto solo con i suoi ricordi. Ricordi che lo consolano e lo tormentano in egual misura. Almeno nella misura in cui ha senso parlare di un anticalciatore di prima serie.
Nota finale: cos’è il genio
Nel documentario si racconta come, acquistato dall’Ajaccio nel 1986, Kaiser sia stato accolto in Corsica con una cerimonia fuori misura in occasione del suo primo allenamento.
“Mi catapultarono in uno stadio che, sebbene piccolo rispetto agli stadi di Rio, era pieno di tifosi come se si dovesse disputare una partita. Pensai che avrei dovuto solo fare una corsetta e salutarli, ma in campo c’erano dei palloni ed ho capito che avrei dovuto palleggiare. Sono diventato nervoso, temevo che dal mio primo allenamento avrebbero capito che non sapevo giocare. Ho iniziato a raccogliere tutti i palloni e a lanciarli ai tifosi. Nel frattempo salutavo e mandavo baci. La folla era impazzita. Alla fine sul campo non c’erano più palloni.”
Geniale, no? Lanciare tutti i palloni ai tifosi, così da non doverne calciare alcuno davanti a loro… No. Il vero genio sta nel fatto che Carlos Henrique Raposo, detto Kaiser, non ha mai giocato nell’Ajaccio.