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American Manhunt: OJ Simpson – il primo reality true crime

A 30 anni di distanza, la docuserie ripropone il 'processo del secolo', con alcuni nuovi elementi e una nuova consapevolezza

di Livio Pacella
28/06/2025
in Articoli, Documentari, In primo piano
cover di American Manhunt: O.J. Simpson per Mondoserie
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American Manhunt è una docuserie antologica statunitense di genere true crime, distribuita a livello internazionale da Netflix. Il primo capitolo riguardava l’individuazione dei responsabili dell’attentato alla maratona di Boston (American Manhunt: The Boston Marathon Bombing, 2013). Il terzo, uscito nemmeno due mesi dopo quello su O.J., è invece dedicato alla laboriosa cattura del terrorista allora più ricercato al mondo (American Manhunt: Osama Bin Laden, 2025). La seconda stagione oggetto di questo articolo – American Manhunt: OJ Simpson (2025) -, diretta da Floyd Russ, è articolata in 4 episodi da 1h circa.

Esce quasi 10 anni dopo il documentario premio Oscar O.J. Made in America (2016), considerato il migliore, tra i tanti, su quello che è stato considerato ‘il processo del secolo’. Rispetto a questo, American Manhunt rielabora gli elementi della vicenda nella piena consapevolezza della massiccia diffusione del genere true crime nell’ultimo decennio. I quattro episodi, oltre ad essere arricchiti da interviste inedite, offrono quindi un nuovo modello di narrazione del caso di cronaca di trenta (31 per la precisione) anni fa. Parallelamente al dibattimento processuale, che fu il più seguito degli anni Novanta. E che ha segnato in modo irreversibile il rapporto tra media, giustizia e spettacolo. Ma – per chi non dovesse saperlo (e non solo) – cos’è il caso O.J. Simpson e perché il processo che ne è seguito è diventato un fenomeno culturale?

Innanzitutto, Orenthal James Simpson (1947-2024) è stato una leggenda del football americano. Dopo il ritiro dall’attività sportiva, l’ex campione si dedica con un certo successo al cinema (indimenticabili le sue apparizioni nella saga comica di Una pallottola spuntata). 

American Manhunt e il caso OJ Simpson

O.J. divorzia dalla seconda moglie, Nicole Brown, nel 1992. La donna aveva presentato diverse denunce per violenza domestica. Poco dopo mezzanotte, tra il 12 e il 13 giugno 1994, Nicole – che aveva 35 anni – e il 25enne Ronald Goldman vengono trovati accoltellati davanti casa di lei, a Los Angeles. Ronald era il cameriere del ristorante in cui Nicole aveva cenato quella sera con la famiglia. Le stava riportando gli occhiali che sua madre aveva dimenticato al tavolo. O.J. Simpson quella notte si imbarca su un volo per Chicago.

Tutte le testimonianze – dall’ospite che aveva in casa all’autista della limousine – sono contro di lui. Del resto anche i detective accorsi quella notte sembrano fin da subito avere le idee abbastanza chiare. Tutti gli indizi puntano contro l’ex marito di Nicole, ex star del football e divo hollywoodiano. I media impazzano in moltitudine, accampandosi a frotte presso il luogo del delitto e l’abitazione di O.J. in quel di Brentwood – esclusivo quartiere di Los Angeles, abitato quasi esclusivamente da gente bianca.

Molteplici indizi, raccolti forse in modo caotico e frettoloso dalla polizia di L.A., puntano contro O.J. Il mandato d’arresto viene emesso il 17 giugno, il giorno della diretta televisiva crime più iconica del decennio. Simpson fugge a bordo di una Ford Bronco di colore bianco, con alla guida un amico. Viene surrealmente inseguito da innumerevoli auto della polizia, mentre al cellulare minaccia di farla finita. Il dramma, mandato in diretta dalle principali reti televisive – NBC, ABC, CBS, CNN – viene seguito da quasi un centinaio di milioni di spettatori. Gli avvocati di O.J., Robert Shapiro (uno dei migliori sulla piazza) e Robert Kardashian (ironia della sorte, quel Kardashian), intrattengono l’audience con un’improvvisata conferenza stampa, nel mentre dell’inseguimento. Dopo due ore di avvincente spettacolo, il protagonista si arrende alle forze dell’ordine.

“Race plays a part of everything in America”

Hanno allora inizio i preparativi per il processo ufficialmente noto come ‘People of the State of California v. Orenthal James Simpson’, condotto presso la Corte Superiore della Contea di Los Angeles. Dalla parte dell’ex campione si schiera anche Johnnie Cochran, avvocato storico per la difesa dei diritti dei cittadini di colore contro i soprusi della polizia di Los Angeles. Assieme ad altri nomi di spicco, Shapiro, Cochran & Company danno luogo al Dream Team, come lo ribattezza subito la stampa. E il Dream Team dà a sua volta luogo ad un evento mediatico senza precedenti. Le telecamere vengono ammesse in aula e l’intero processo diventa una sorta di grottesco reality. Capace di paralizzare l’America e di dividerla in due opposte e fanatiche fazioni: innocentisti e colpevolisti. 

Nonostante le prove all’apparenza schiaccianti dell’accusa, la strategia di Cochran riesce ad insinuare il dubbio che Simpson sia vittima di un complotto razziale orchestrato dalla polizia di L.A. Paradossalmente, l’uomo che viveva nel ricco quartiere dei bianchi diviene ora il simbolo della comunità nera (il brutale pestaggio di Rodney King risale a pochi anni prima).

In una controversa copertina della nota rivista Time il volto di O.J. è raffigurato platealmente più scuro di come realmente era. Esempio perfetto del ruolo dei media nella polarizzazione razziale dell’opinione pubblica di fronte a questa vicenda. Il processo giudiziario si è trasformato in un fenomeno sociale carico di tensioni mai sopite. La narrazione di questa storia, come ricorda American Manhunt: OJ Simpson, diventa il vero luogo dello scontro, fuori e dentro l’aula di tribunale. “Because now we’re trying a race case. We’re not trying O.J. Simpson.” E, ancora, “race plays a part of everything in America” dice astutamente Cochran.

Guanti, cavilli, spettacolo: American Manhunt OJ Simpson

Centrale per la narrazione della difesa è la figura di Mark Fuhrman, il detective che aveva trovato i famosi guanti insanguinati (uno sul luogo del delitto, l’altro fuori casa del sospettato). L’agente viene accusato di razzismo per alcune dichiarazioni del passato, e questo pregiudica irreversibilmente l’andamento del processo. In American Manhunt: OJ Simpson, per la prima volta Fuhrman rilascia un’intervista a commento dell’accaduto.

La spettacolarizzazione del processo alla celebrità (primo di una fortunata serie, per così dire, che vede al suo interno casi come Depp vs. Heard) ha il suo apice nella famosa scena dei suddetti guanti. Viene chiesto a O.J. di indossarli, e così facendo l’accusa realizza una clamorosa autorete. I guanti non calzano. Cosa abbastanza ovvia, tenendo conto della loro probabile restrizione a causa del sangue secco, senza contare i guanti in lattice indossati dall’accusato. Che non prende le solite medicine per l’artrite, cosa che gli fa gonfiare le nocche – come rivela il suo ex agente sportivo. Ad ogni modo, la difesa pronuncia la celeberrima e stucchevole frase “If it doesn’t fit, you must acquit” (se non calza, dovete assolvere).

I test del DNA che lo inchioderebbero vengono poi invalidati “per cavilli tecnici”. Così, nonostante l’iniziale abbondanza di prove (“non avevo mai visto così tante prove in vita mia” dice un detective di allora), la richiesta della difesa per un processo veloce ha evidentemente preso in contropiede la procura, che ha pasticciato non poco nella loro raccolta e catalogazione. Per concludere, l’uomo che si era rifiutato di sottoporsi alla cosiddetta macchina della verità, perché ‘aveva sognato di ucciderla’, vedendo che la giuria era composta in maggioranza da neri, disse: “If this jury convicts me, maybe I did do it!”

Un’assoluzione per un assassino

L’esito del processo che ha cambiato il giornalismo giudiziario e la cronaca nera americana tout-court è sconvolgente, anche se perfettamente in linea con la trama dello show true crime in cui nel frattempo si è trasformato, e su cui la nostra American Manhunt: OJ Simpson gioca: assoluzione per insufficienza di prove. La CNN e diverse emittenti locali hanno coperto tutti e 134 i giorni del dibattimento. Non a caso, l’anno dopo nasce Fox News, un canale attivo 24 ore su 24. L’idea dell’aggiornamento continuo, arricchito da approfondimenti e analisi degli ‘esperti’, diventa la normalità per raccontare qualsiasi evento di rilievo.

Poco tempo dopo, il processo ai fratelli Menendez (vedi la serie Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez, a cui abbiamo dedicato un podcast) conferma pienamente il trend. Che corrisponde all’odierna e morbosa affezione per il genere true crime. Uscendo dall’orizzonte delle celebrità, The Staircase e Making a Murderer sono due espressioni assolutamente significative dell’attuale nostro rapporto con i processi show (rapporto a cui abbiamo dedicato un intero podcast: Documentari & Follia: true crime e processi).

Tornando all’assurda assoluzione: pochi anni dopo (1997), nella causa civile intentata dalle famiglie delle vittime, O.J. Simpson viene dichiarato colpevole di omicidio colposo. Questa volta le telecamere non vengono ammesse e l’uomo, ritenuto finalmente responsabile per il duplice omicidio, è condannato ad un risarcimento complessivo di 42 milioni di dollari. Ma O.J. non farà nemmeno un giorno di galera in quanto assassino. Confermando il candido commento dell’avvocato Shapiro: “gli assassini ricchi non finiscono quasi mai nel braccio della morte”. 

American Manhunt: OJ Simpson – finale di partita

Nel 2007, O.J. Simpson, nel frattempo caduto rovinosamente in disgrazia, viene condannato a Las Vegas per rapina a mano armata. Ormai vecchio e malato, viene rilasciato sulla parola soltanto dieci anni dopo, nel 2017. Per morire infine di cancro, dimenticato da tutti, nel 2024. Passato il clamore del processo del secolo, O.J. era gradualmente caduto in un limbo dal quale era impossibile venire fuori. Per gli americani, lui era quello che l’aveva fatta franca. Perché ricco e perché, per quanto strano possa sembrare, nero. Come dire: un omicida del colore della pelle giusto al posto giusto al momento giusto: nella Los Angeles degli anni Novanta. Poi nessuno aveva più voluto saperne niente. 

Lui stesso, anni dopo, aveva confidato all’ex agente e intimo amico: “If Nicole wouldn’t have opened the door with a knife, she would still be alive…” (se Nicole non avesse aperto la porta con un coltello in mano, sarebbe ancora viva). La storia di O.J. Simpson in fondo non è che la farsesca e intima tragedia di un uomo violento, la cui intera esistenza è stata votata – lui volente o nolente – allo spettacolo. E il cui nome, più che al football o al cinema, sarà per sempre legato allo show del suo processo. In cui il brutale assassinio di due persone è stato cinicamente sublimato in un avvincente e squallido reality true crime. Il primo del suo genere.

E il primo di una lunga interminabile fila, come American Manhunt: OJ Simpson testimonia.

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Tags: documentariotrue crimeUSA
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