Partiamo da qua, ora che l’attesissima seconda e ultima stagione è finita: Andor (Star Wars: Andor) con i suoi due capitoli (2022 e 2025) è stata una delle serie migliori degli ultimi anni. E no, non mi riferisco solo all’universo Star Wars, in cui vince a mani basse. E neppure alla fantascienza come genere. È davvero uno degli show più belli, meglio costruiti, più gioiosamente guardabili da un bel po’ di tempo.
Ma se uno non è un fan, o un conoscitore profondo, della ormai immensa saga di Guerre Stellari? Va bene uguale. Si può guardare da sola, e funziona benissimo nei suoi tratti di racconto fantascientifico a metà tra spionaggio e politica. E con le sue caratteristiche ambiziose di world building “realistico”, incredibilmente generoso nel dar vita a una pluralità ricchissima di ambienti quasi sempre “periferici”, marginali.
È chiaro: Andor funziona ancora meglio vista nel contesto di Star Wars. Cui peraltro conferisce una ulteriore profondità, come vedremo meglio dopo. Funziona molto bene se si ha una familiarità generica con l’universo inventato da George Lucas ormai quasi mezzo secolo fa. E meravigliosamente se quell’universo lo si conosce bene, nel gioco delle anticipazioni e dei rimandi.
Tutto questo anche per la sua premessa narrativa. La storia di Andor infatti si colloca nei cinque anni che precedono gli eventi di A New Hope (1977), il film capostipite della serie che in Italia conosciamo come Guerre Stellari. Attraverso le vicende di un gruppo di personaggi, scopriamo la lenta nascita di un’Alleanza Ribelle, che si oppone al sempre più dispotico Impero Galattico.
Al centro della storia è Cassian Andor: un ladro che un po’ alla volta si unisce alla Ribellione. Sullo sfondo, l’ombra dell’iconica Morte Nera, la super arma che l’Impero sta costruendo con terribile pazienza.
Andor e l’universo Star Wars
Chiunque abbia anche solo una vaga familiarità con l’universo di Guerre Stellari conosce l’importanza della Morte Nera nella trilogia originale. È la gigantesca stazione da battaglia capace di incenerire un intero pianeta. Nel primo film, oggi etichettato come episodio IV, dopo che il suo immenso potere distruttivo era stato scatenato dall’Impero per impartire una lezione a chiunque osasse sfidarlo, l’Alleanza Ribelle concentrava i propri sforzi sulla disperata missione di far fuori la super arma.
Chi conosce bene la saga invece probabilmente ricorda anche il personaggio che dà titolo alla serie: Cassian Andor. Che non appare in uno dei nove film “maggiori”, ma nel primo spin off standalone del franchise: Rogue One (2016). Lo show Andor funge da prequel proprio a Rogue One, che come meglio racconteremo nel prossimo capitolo è a sua volta un prequel di A New Hope, il film d’esordio di Star Wars.
Lo show è prodotto ovviamente da Disney+, che sta espandendo il franchise con diverse serie tv (abbiamo parlato qui di Obi-Wan Kenobi, e qui di Boba Fett). Il primo nome da ringraziare per Andor è quello del suo creatore, showrunner e co-sceneggiatore Tony Gilroy. Come sceneggiatore, a lui si devono Dolores Claiborne (1995) e L’avvocato del diavolo (1997), la trilogia originale di Jason Bourne (2002-2007) di cui ha diretto il quarto capitolo, The Bourne Legacy (2012). Gilroy ha anche scritto e diretto Michael Clayton (2007) e Duplicity (2009). Proprio per il bellissimo Rogue One ha attuato una riscrittura (e pure fatto riprese aggiuntive).
La prima stagione di Andor è stata pubblicata da Disney+ dal 21 settembre 2022, in 12 episodi. La seconda, distribuita a gruppi di 3 episodi dal 23 aprile 2025, conclude con altre 12 puntate la serie, portandoci appunto dritti agli eventi di Rogue One.
Rogue One: “Un film sul furto dei piani della Morte Nera”
È a questo punto inevitabile e giusto dedicare un capitolo proprio al bellissimo film standalone dell’universo Star Wars. Parlare di Rogue One significa inevitabilmente fare SPOILER su Andor, visto che lo show ci racconta appunto gli eventi che porteranno a quelli della pellicola. Ma sarebbe una preoccupazione ancora più stupida dell’attuale esageratissima ossessione per lo “spoiler”. Perché uno degli elementi che dà fascino allo show è proprio quello di raccontarci la origin story di un personaggio che abbiamo già conosciuto nel pieno della maturità. E di cui sappiamo persino come finirà – eroicamente – la storia.
Come si diceva, Andor (2022-2025) è un prequel di Rogue One (2016), a sua volta prequel del primo Guerre Stellari (1975). Andor racconta l’evoluzione e la formazione di uno dei protagonisti degli eventi raccontati da Rogue One. Eventi che hanno al centro la missione (suicida) per rubare i piani della Morte Nera. I famosi “piani rubati” che poi appaiono letteralmente nella prima scena di Guerre Stellari, e che – come sanno anche i sassi – nascosti in un simpatico droide finiranno per arrivare in mano al vecchio Obi-Wan Kenobi, mettendo in moto la catena di eventi che porteranno il giovane Luke Skywalker a intraprendere il cammino dei Jedi…
Nel film vediamo un eterogeneo gruppo di ribelli combattere nel tentativo disperato di scoprire una falla che possa fermare la nuova micidiale superarma dell’Impero. Bisogna rintracciare lo scienziato che l’ha costruita, scoprire dove sono i progetti e poi cercare di rubarli dal protettissimo pianeta-archivio che li custodisce. Il film, ricco di un ottimo cast, è molto bello, maturo, intelligente, appassionante. Proprio come la serie, e non è un caso.
Il nostro Cassian Andor (Diego Luna) in Rogue One è un’abile, coraggiosa ed esperta spia ribelle.
Cassian Andor, da poco di buono a mercenario a ribelle
Ma non è sempre stato così. Prima di diventare un eroe della ribellione, Cassian Andor era un poco di buono. Un ladro, e qualcosa di persino peggio. Nella prima scena della nuova serie, arriva sul tetro pianeta industriale di Morlana One. Cercando notizie sulla sorella scomparsa, si imbatte in due sgradevoli addetti alla sicurezza della Preox-Morlana Authority, un gigantesco conglomerato aziendale galattico. Quando i due cercano di taglieggiarlo, Andor uccide uno dei due accidentalmente. Ma a quel punto, alle strette, ammazza il secondo a sangue freddo. Eccolo, il nostro “eroe”…
I primi minuti dello show ci hanno mostrato il suo protagonista come, di fatto, un assassino. Persino spietato. Apprendiamo poi che da bambino Cassian aveva assistito alla distruzione del proprio pianeta per l’avido sfruttamento minerario da parte dell’Impero. Senza per questo diventare un ribelle, ma piuttosto un cinico: opportunista, materialista, egoista. Ed è questo uno dei motivi della bellezza e della forza coinvolgente di Andor: la capacità di mostrarci la convincente trasformazione di un personaggio, la sua crescita. Sappiamo già, da Rogue One, cosa diventerà: un eroe. All’inizio della serie ci viene mostrato all’opposto, e ci vorranno praticamente tutte e 12 le puntate della prima stagione (e pure un bel po’ della seconda, a ben guardare) a dare conto di un cambiamento così profondo.
Cassian Andor si avvicinerà alla ribellione, che disprezza, quasi per caso, come mercenario assoldato per una sola missione. Conoscerà le ragioni e la forza morale di chi rischia la vita per una giusta causa. Ne vedrà il coraggio, la disperata speranza. Imparerà a rispettare le parole – che all’inizio gli suonano vuote, pompose, astratte – del manifesto rivoluzionario che un ribelle incontrato lungo il cammino sta scrivendo. Lentamente abbraccerà una coscienza collettiva, forgiata anche dall’esperienza diretta – in un’ orribile fabbrica-prigione – dell’iniquità ammorbante della tirannide. Solo alla fine emergerà, compiutamente, come eroe della resistenza.
Ed è veramente difficile immaginare un attore più adatto di Diego Luna a rendere le sfumature di un uomo sfuggente, solitario, ombroso, non immediatamente carismatico, che solo lentamente svilupperà le doti di un leader. Non a caso Luna, messicano, oltre che attore (Y tu mamá también, Frida, Milk) è anche regista, sceneggiatore, produttore di film e documentari di forte valenza sociale. E attivista politico.
Un universo più complesso
L’evoluzione del suo protagonista – una trasformazione così radicale, coinvolgente, realistica – è la prima grande sorpresa strutturale di Andor. Sotto il segno di una profondità che non è ovvia nell’universo narrativo di Star Wars. Prima che i fan si mettano a urlare, precisiamo: non stiamo dicendo che la saga inventata da George Lucas sia una bambinata (peraltro non sarebbe un insulto). Ma che lavori affastellando archetipi, serviti su un livello simbolico fiabesco e avventuroso, questo sì. Fascinosa, emozionante, divertente: certo. Ma mai interessata a indagare nel profondo genesi e dinamiche del suo universo.
Cassian Andor non è Han Solo, cioè un finto cinico dal cuore d’oro che si rivela tale dopo cinque minuti. Allo stesso modo, neppure l’universo di Andor è esattamente lo stesso di quello di Guerre Stellari. Per esempio: l’Impero del franchise cinematografico è una costante parata di truppe in armatura (corazze inutili ma sempre tirate a lucido). Con pochissimi spaventosi villain e poi una massa di esecutori singolarmente inetti. Se non apertamente grotteschi, caricaturali. Qui, la musica cambia.
La prima manifestazione dell’Impero che incontriamo (1×01) è indiretta e ambigua, e non ha la forma degli stormtrooper, i classici assaltatori imperiali. Sono invece addetti, guardie, lavoratori del super conglomerato economico della Preox-Morlana Authority (Pre-Mor). Tra questi, uno dei personaggi più importanti della serie, e uno degli antagonisti, anche se il termine qui risulta solo parzialmente applicabile: lo zelante, ossessivo, ambizioso funzionario Syril Karn (Kyle Soller). Che inizia a dare la caccia a chi ha ucciso due suoi colleghi. A questa missione sacrifica la carriera, animato da una motivazione accesa e profonda. Sincera. Karn è uno che vuole fare il suo dovere, che cerca giustizia. Ai suoi occhi, Andor è un elemento di disordine. Karn è un antagonista, certo – ma lo possiamo comprendere: una novità.
“Una ferita al centro della galassia”. L’impero in Andor
E poi c’è la forma poliziesca e repressiva dell’Impero. Per la prima volta la vediamo dietro le quinte. Ed è la seconda grande innovazione strutturale di Andor. Non i super cattivi, gli iconici villain: l’imperatore, Darth Vader, e manco – che so – un Grand Moff. Vediamo piuttosto i servizi segreti. Lo stato poliziesco. La lenta e avvolgente stretta di un potere che si fa sempre più oppressivo, sempre più paranoico. Coruscant, il pianeta-capitale, è tutto un intrigo di spie, di astuzie politiche, manovre, complotti. Una piaga che infetta la galassia.
Vediamo i modi in cui l’Impero gestisce i “fastidi” locali residui: i nativi di Aldhani; le tradizioni di Ferrix; la memoria del martirio di Ghorman. Vediamo l’abilità con cui la burocrazia – spina dorsale del potere – governa. O ancora: le tecniche che il controspionaggio usa. Le forme atroci e inventive di tortura. La strategia di spersonalizzazione che vi sta dietro. Usando la lente di un altro funzionario ossessivo: l’algida e concentratissima supervisora dell’apparato di sicurezza imperiale Derdra Meero (Denise Gough), in rapida ascesa per le sue doti di astuzia e manipolazione.
Ma non basta. In uno degli inserti più impressionanti, e sorprendenti, entriamo nel sistema di amministrazione della giustizia. O meglio: di somministrazione dell’ingiustizia. Spaventato dalla ribellione, l’Impero stringe le maglie: basta un’infrazione di poco conto, trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, per essere condannati ad anni di galera. Senza difesa, senza giusto processo.
E la prigione-fabbrica in mezzo al mare su Narkina-5 è un luogo kafkiano e orripilante, in cui migliaia di detenuti sono assoggettati a una sorta di panopticon, sotto la costante minaccia di punizioni fisiche. E devono ogni giorno competere, divisi in gruppi di lavoro, per raggiungere gli obiettivi di produzione di alcune misteriose parti meccaniche.
“La libertà è un’idea pura”. Nascita della rivoluzione
Proprio sul pianeta-prigione incontriamo (8×01) il personaggio di Kino Loy: è una sorta di kapò, un prigioniero responsabile di altri carcerati e della loro produzione. Lo interpreta Andy Serkis, per una volta in live action: curiosità, l’attore era già apparso nel ciclo canonico, interpretando (in motion capture) il Supremo Leader Snoke dell’ultima trilogia. Loy tiene in riga gli schiavi-prigionieri: ma poi diventerà, spinto da un Cassian sempre più “collettivista”, la voce della ribellione nella magistrale puntata 10×01.
Loy è uno dei tre personaggi-chiave della terza grande innovazione della stagione 1 di Andor: aver dato anima e corpo alla Ribellione. In lui vediamo incarnata la possibilità del riscatto: anche un prigioniero, anestetizzato capo-reparto di altri carcerati, può abbracciare la rivolta.
Il secondo personaggio chiave è Marva (Fiona Shaw), la madre adottiva di Andor: rappresenta la dignità della resistenza. Il suo discorso di commiato, baricentro emotivo e narrativo della formidabile puntata di fine stagione (12×01), è il canto del cigno di una donna anziana che non vuole più avere paura. Che non accetta più di sottomettersi. È lei a definire l’Impero “una ferita al centro della galassia”. Lei ad accendere l’insurrezione di Ferrix.
La terza figura chiave è quella di Nemik (Alex Lawther), il gracile e apparentemente risibile ribelle che Andor incontra su Aldhani. Incarna la teoria della rivoluzione, attraverso un manifesto che sta scrivendo: e che ascolteremo finalmente anche noi, in apertura del meraviglioso finale di stagione, quando Cassian sarà pronto a recepirlo. Perché oramai non è più il ladro, il mercenario, l’individualista: ha abbracciato l’idealità della ribellione e la necessità che essa sia collettiva. “La libertà è un’idea pura. Compare spontaneamente, e senza istruzioni. Atti isolati di insurrezione si verificano costantemente in tutta la galassia”, dice il manifesto di Nemik.
La dimensione politica della ribellione
La libertà è un’idea spontanea. Come spontanea può essere la ribellione. Mentre innaturale è l’Impero, innaturale è la sua smania di controllo pervasivo, innaturale la sua repressione paranoica, innaturale la sua rigidità metallica. È l’idea più bella che la puntata finale di Andor stagione 1 introduce con le parole del manifesto di Nemik. E che si concretizzano, poco dopo, quando il discorso funebre di Maarva accende una di quelle “scintille di rivolta”.
Cui assiste anche Luthen Rael, elemento fondamentale della ribellione dietro la facciata di rispettabile e chic antiquario sul pianeta-capitale Coruscant. Rael è convenuto su Ferrix, per assicurarsi che Andor – che lui ha personalmente reclutato per la missione su Aldhani – non possa mai identificarlo con le autorità imperiali. Qui osserva l’insurrezione spontanea del pianeta operaio e tradizionalista e del suo proletariato. Luthen, che ha il volto pensoso e calcolatore di Stellan Skarsgård, è una delle due figure che incarnano la dimensione politica della ribellione. È il regista di un’abile campagna terroristica pensata scientificamente per spingere l’Impero a una stretta repressiva che – questa la scommessa – alimenterà vieppiù il fuoco libertario che vorrebbe soffocare. E vive (consapevolmente) il tragico paradosso di tanto terrorismo “tirannicida”: diventare crudele come il proprio nemico, nel tentativo di distruggerlo.
L’altra figura che rappresenta la dimensione politica della ribellione è l’unica presente anche nella saga: Mon Mothma (Genevieve O’Reilly). La futura leader dell’alleanza ribelle qua è ancora una senatrice, segretamente parte del nucleo aristocratico e repubblicano della resistenza. Di cui alimenta il flusso finanziario: anche, se serve, con alleanze equilibristiche con i banchieri più corrotti della galassia.
A fronte di queste figure – inevitabilmente opache, politicanti – vi è l’ultimo attore, il più sorprendente nell’universo individualista di Star Wars: la massa rivoluzionaria. Vera protagonista dell’eccezionale finale della stagione 1 di Andor.
Il perfetto finale di Andor stagione 1
L’ultimo episodio della prima stagione di Andor, come avete capito, ci ha stregati. È bellissimo, perfetto. Portando all’ennesima potenza quel mix di intelligenza, emozione e profondità di sguardo che caratterizza in crescendo questa serie. E che la distingue, oggettivamente, da tutto il resto del canone. E non parlo solo degli altri prodotti seriali.
Lo show aveva mostrato una struttura possente, che si prende il tempo di approfondire diversi ambienti e i discorsi di cui sono portatori: tre puntate ciascuna per l’inizio su Ferrix, la missione su Aldhani, la prigionia su Narkina-5. Ora, il finale chiama a raccolta quasi tutti i personaggi che abbiamo seguito fin qui. I vivi, e i morti. E coreografa, con una perfezione stilistica rara, il funerale “politico” che diventa innesco rivoluzionario. E che sublima la trasformazione del nostro Cassian: lo abbiamo incontrato ladro e assassino, iniziamo ora a riconoscere il futuro martire della ribellione, capace dell’atto di eroismo supremo raccontato da Rogue One. Atto (il furto dei piani della Morte Nera) su cui, se ci si pensa, si fonda l’intera trilogia originaria!
Aperto dall’enunciazione del manifesto di Nemik, acceso dalla rivolta di Ferrix – che non sopporta più l’umiliante e sempre più asfittico gioco imperiale e si produce quindi in uno di quegli “atti spontanei di insurrezione”, l’episodio si chiude con l’ingresso di Andor nella rete ribelle di Luthen.
La scena post crediti finali, che mostra la costruzione della Morte Nera (assemblata proprio con i misteriosi componenti costruiti dai lavoratori – prigionieri), è un reminder non solo cupamente beffardo ma persino utile. Era tale la bellezza di Andor che, in attesa della seconda e ultima stagione, ci eravamo quasi scordati in che universo narrativo fosse inserita – e di quale altra storia fosse il prequel.
La stagione 2 di Andor, la prima metà: costruzione della tensione…
La seconda stagione di Andor costruisce una struttura ancora più sontuosa e complessa. Le 12 puntate, andate in onda tra aprile e maggio 2025, sono state pubblicate a gruppi di 3. Una scelta perfettamente coerente con l’articolazione del nuovo capitolo. Se la prima stagione era stata ambientata 5 anni prima della Battaglia di Yavin (cioè la distruzione della prima Death Star, l’evento culminante del film originario della saga), la seconda colma sistematicamente la distanza con gli accadimenti di Rogue One e A New Hope.
Ogni terzetto di episodi ci porta avanti di un anno. Permettendoci di assimilare la crescente complessità narrativa del racconto. I primi due blocchi costruiscono la tensione, prendendosi il loro tempo.
Nelle prime tre puntate assistiamo a due processi. La brutalità crescente dell’Impero, che ormai non si nasconde più (e vede sciamare ovunque le bianche corazze lucenti degli assaltatori): emblematica e possente la scena dei controlli sul pianeta agricolo di Mina-Rau, e il tentato stupro di Bix, compagna di Cassian fuggita da Ferrix. E le difficoltà della Ribellione, divisa tra mille fazioni (lo scontro interno alla brigata Maya Pei), costretta a scelte brutali per proteggere la propria fragile rete di agenti e simpatizzanti (la fine del banchiere Tay Kolma).
Le puntate 4-5-6 introducono nella storia Ghorman. Il pianeta, culturalmente tradizionalista e ricco della sua produzione di seta, è finito nel mirino dell’Impero. Perché il suo sottosuolo nasconde un minerale essenziale per il completamento della Morte Nera. L’Impero (con il crudele direttore imperiale Krennic del sempre fantastico Ben Mendelsohn) stringe la presa, e costruisce una vera e propria false flag operation pluriennale, creandosi l’alibi per un intervento brutale. Intanto, la Ribellione assiste e spinge all’azione i sempre più insofferenti cittadini. Intanto, sul pianeta-capitale, la senatrice Mon Mothma cerca – invano – di reclutare alleati per contrastare l’agenda tirannica dell’Imperatore.
Il massacro di Ghorman e l’alba della ribellione
Il terzo blocco della stagione 2 di Andor (puntate 7-8-9) ci porta avanti di un altro anno. Le tensioni costruite nelle parti precedenti sono ormai giunte al limite. Su Ghorman, agenti dell’Alleanza Ribelle assistono i cospiratori locali, che ormai attaccano apertamente le forze imperiali. Non sapendo di star facendo il gioco dei servizi segreti del regime, che subdolamente favoriscono l’insurrezione per avere il pretesto di spazzare via la popolazione nativa e impadronirsi del pianeta. Mentre le trame di Luthen iniziano a sfaldarsi, collassando sotto il peso di macchinazioni e intrighi sempre più difficili da governare.
Il cruciale e devastante episodio 8 è uno dei baricentri emotivi della seconda stagione. Racconta la rivolta di Ghorman, fatta scoppiare dall’intelligence imperiale, e il massacro spietato di un’intera popolazione. Un vero e proprio genocidio, che però i media di regime raccontano in senso opposto: l’inevitabile e necessaria risposta dell’Impero per riportare ordine di fronte all’aggressione immotivata dei ghormaniani. È quasi un riedizione della rivolta di Ferrix nel finale della prima stagione, ma all’ennesima potenza. Ed è impossibile non avvertire il brivido della Storia, nelle sue pagine più buie, fare capolino dietro il racconto di finzione.
La puntata “Welcome to the Rebellion” (9×02) è un altro gioiello, un capolavoro di tensione tanto morale quanto narrativa. Dopo il massacro di Ghorman, un gruppo di senatori decide di sfidare l’Imperatore e denunciare la crescente stretta liberticida del regime. È Mon Mothma a prendere la parola nell’aula del Senato, e pronunciare un discorso memorabile: di fatto, la dichiarazione pubblica della Ribellione e un appello disperato alla resistenza. Subito dopo fugge, aiutata da Luthen: sarà Cassian a scortarla fino a Yarvin IV, il pianeta che è nel frattempo divenuto base militare e rifugio dell’Allenza.
Dal finale di Andor a Rogue One
L’ultimo blocco – di nuovo un anno dopo – regala al pubblico altre tre puntate perfette. Un anno dopo, la pressione dell’Impero si è fatta insostenibile. La rete di Luthen collassa. Jung, l’ufficiale dei servizi segreti che è un suo infiltrato da anni, riesce ad avvertirlo in extremis: sono stati tutti identificati, bisogna provare a fuggire, evitare la cattura. La decima puntata apre uno squarcio, doloroso e possente anche perché inatteso, nel passato del maestro degli intrighi. Scopriamo che Luthen era stato un ufficiale dell’esercito, inorridito dai massacri di civili; e che lì, tanti anni prima, aveva salvato e poi adottato Kleya. Facendone prima un’allieva, poi il suo braccio destro, quindi una figlia. La lunga serie di flashback rende questo episodio straziante.
E proprio Kleya assumerà un ruolo centrale nelle ultime due puntate. A lei Luthen ha confidato l’ultima, febbrile scoperta della sua rete spionistica: che l’Impero sta costruendo una super-arma, grande come un pianeta, e che è quello sforzo titanico ad aver motivato tante delle sue mosse più efferate, a partire dal massacro di Ghorman. E c’è un uomo che va trovato, Galen Erso… Lo scienziato che – contro la sua volontà, come apprendiamo in Rogue One, sta costruendo la Morte Nera. Il padre di Jyn, protagonista del film.
Ci siamo: Andor è arrivata dove doveva arrivare. All’aggancio con Rogue One, e cioè con la saga di Star Wars come l’abbiamo conosciuta. Capire cosa sia questa super arma, scoprire di più, indagare se sia possibile fermarla – diventa l’unica missione che conta. E sarà la missione raccontata appunto nel film del 2016.
Tutto è compiuto. Il destino di Cassian è definito. E quando lo vediamo salire su quell’astronave, nell’ultima scena dell’ultima puntata della seconda stagione, con il droide riconvertito, sappiamo a cosa andrà incontro. Lacrime.
Etica ed epica del sacrificio
Chi ha un cuore non può non piangere. Avendo visto Rogue One, conoscevamo fin dall’inizio la fine della storia di Cassian. Ma come sapevano i tragici greci e il pubblico di 2500 anni fa, e invece non sappiamo più noi con la nostra stupidissima ossessione per lo spoiler, non è importante il punto di arrivo. La fine può essere già nota. Conta il percorso. Contano gli inciampi, le sofferenze che temprano, il coraggio, l’amore, il sacrificio. Eccola, la parola chiave: sacrificio.
Andor basa su questo la propria etica e la propria epica: se è vero che ci sono cose più grandi di me, allora quelle cose contano anche più di me. Più di quello che voglio io. Ovviamente è il caso di Cassian: che non conoscerà solo il sacrificio supremo ma, prima, una serie infinita di sacrifici intermedi e crescenti. La madre, gli amici, la sicurezza, la pace. La donna che ama, Bix. Pure lei capace, come vediamo nelle puntate finali, di sacrificare moltissimo: una possibilità serenità, dopo gli orrori subiti; un marito che sia anche padre.
Abbiamo detto di Luthen, ed era stato lui stesso, nella prima stagione, in quel memorabile monologo, a dirlo. “Cosa ho sacrificato, io?”. Tutto: la decenza, la moralità, la speranza di poter assistere al trionfo finale. Ma così i suoi agenti: molti morti, molti uccisi per timore che parlassero… E su tutti, forse, il povero Lonni Jung, l’infiltrato: personaggio che non ha il volto dell’eroe ma che alla Ribellione sacrifica moltissimo, fino alla fine.
E si sacrificano persino i “cattivi”, se ci pensate. Syril, Dedra: caduti anche loro, in modo diverso, sul campo di battaglia di ciò che credevano giusto. Non tanto l’Impero, ma un’idea di ordine, di responsabilità, di pulizia che non è in sé cattiva. È umana.
L’emozionante e matura bellezza di Andor
Giunti alla fine della serie, e di questo articolo, cosa resta? Restano negli occhi dello spettatore tanti momenti magnifici. Il funerale incendiario di Marva alla fine della stagione 1. Il manifesto di Nemik, che torna – splendidamente, genialmente – alla fine della stagione 2, 12 puntate dopo, quando ad ascoltarlo (anzi, riascoltarlo, per chissà quante volte) è il capo dell’intelligence imperiale: ed è così che scopriamo come quella riflessione bellissima sulla purezza della libertà, la spontaneità della ribellione di contro all’ossessiva necessità di controllo della tirannia, il coraggio, l’importanza cumulativa di ogni piccolo gesto di insurrezione, sia davvero diventata nel frattempo il manifesto della Ribellione. E si sia propagata per la galassia come un incendio.
Resta Narkina 5, l’isola-prigione. Il massacro premeditato di Ghorman. Il bellissimo, potentissimo discorso di Mon Mothma di fronte a un Senato in larga parte ormai asservito al potere oppressivo dell’Imperatore. Quando dice, denunciando le fake news e gli alternative facts imperiali, che l’abisso più terrificante è la perdita di una realtà condivisa, l’allontanamento deliberato dalla verità fattuale, la perversione manipolatoria dei fatti. A voi ogni associazione con pagine nerissime della nostra storia – e forse del nostro stesso tempo.
Resta, ovviamente, lo struggente finale, in cui il lento cammino di Andor verso la navicella che lo porterà all’inizio di Rogue One, cioè verso il suo destino, è intervallato dal coro di tutti gli altri destini individuali che renderanno possibile quella serie straordinaria di accadimenti. Fino a quella vittoria apparentemente impossibile, fino a una nuova speranza: perché “le ribellioni sono costruite sulla speranza”.
Resta, lo avete capito, l’ammirazione per uno show che ha saputo connettersi a uno dei più formidabili e complicati universi narrativi del nostro tempo, quello di Star Wars, senza rimanerne schiacciato. Anzi, arricchendolo. Conferendogli una maturità e una profondità sorprendenti, emozionanti. Completandolo, potremmo dire. Perché dopo Andor rivedere l’epica degli eroi sovrumani (Luke, Darth Vader, i Jedi…) significherà anche pensare che a renderla possibile sia stato il sacrificio individuale e collettivo di così tanti uomini e donne comuni. Che non conoscevano le vie della Forza, ma solo quelle del coraggio.
Uomini come Cassian Andor, che nell’ultimissima scena della serie, mentre vola verso il suo destino, allontanandosi da quell’altra vita possibile che lui non conosce ma che noi vediamo, concreta e struggente – la quiete del campo di grano con i robot che giocano e Bix che culla suo figlio -, rende vera senza saperlo quella formidabile frase di Luthen: “I burn my life to make a sunrise that I know I’ll never see”.
Brucio la mia vita per accendere un’alba che so non riuscirò a vedere.
Non siamo stati altrettanto felici di Obi-Wan Kenobi: scopri perchè