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Home Mondovisioni Documentari

Dirty Pop: la truffa delle boy band 

La sconvolgente docuserie su Lou Pearlman, il creatore di Backstreet Boys e ‘NSync

di Livio Pacella
02/11/2024
in Documentari
Cover di Dirty Pop per Mondoserie
68
VIEWS
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Dirty Pop: The Boy Band Scam (La truffa delle boy band) è una docuserie (Netflix, 2024) in tre episodi da poco più di 40 minuti l’uno. O anche, volendo, un documentario in tre parti della durata di 130 minuti. Questa indagine svela gli ‘sporchi’ retroscena criminali dietro il fenomeno delle boy band degli anni ’90 – Backstreet Boys e ‘NSync in primis – incarnati dall’ambigua figura di Lou Pearlman, l’uomo che ha creato questo fenomeno dal nulla. 

Il mito delle boyband, con intensità differenti, ci ha accompagnato per decenni. Vero che l’ultimo grande gruppo – gli One Direction, il cui ex cantante Liam Payne è morto di recente in circostanze ancora misteriose – risale ad almeno 10 anni fa. Ma questa sgargiante realtà corale rivive ancora oggi, ad esempio, nei fasti coreani del K-pop. Perché queste band, tra gli anni Novanta e il nuovo millennio, hanno forgiato un vero e proprio immaginario collettivo. Fatto di motivetti orecchiabili, studiatissime coreografie e improbabili look. Ma soprattutto di ragazzi – in seguito anche ragazze – nel pieno della giovinezza, con facce d’angelo e un pizzico di pose da bad boy. E il mondo era pronto a farne degli idoli.

Agli inizi degli anni ’90 imperversava il rock in ogni sua variante – dal grunge dei Nirvana al brit pop degli Oasis, passando per U2, Metallica e Guns N’ Roses. Anche rap e hip hop erano in buona salute, mentre i mostri sacri del decennio precedente – Michael Jackson, Madonna e Prince – sguazzavano o annaspavano, a seconda, in potenti crisi d’identità. Finché, nel 1993, qualcuno crea a tavolino – più precisamente con un annuncio su un giornale – i Backstreet Boys, destinati a rivoluzionare l’industria discografica, la cultura musicale e il mondo del pop. Dirty Pop racconta questa storia. E la truffa che ci sta dietro.

Dirty Pop: l’incredibile storia di Lou Pearlman

L’audace autore di questa geniale operazione musical – e soprattutto commerciale – era per l’appunto Lou Pearlman. L’ispirazione gli venne dai New Kids On The Block (che può forse essere considerata la primissima boyband del periodo), ai quali noleggiava aerei privati. Da qui l’annuncio sull’Orlando Sentinel: “Cerco bei ragazzi, intonati e capaci di ballare”. Si presentano in migliaia. Lou li scrutina tutti, uno per uno, con scrupolo e pazienza infinite. Del resto, sta per fare un investimento milionario. Li seleziona e li abbina seguendo rigorosamente il suo fiuto per gli affari.

Nascono quindi i Backstreet Boys. Seguiranno gli ‘NSync, con un certo Justin Timberlake, gli O’ Town, i Natural, gli US5, e le Innosense, dove transita Britney Spears… Ce ne sono stati tanti altri, magari meno noti, perché litigi, ripicche e rotture erano all’ordine del giorno, data la convivenza forzatamente imposta e la smania di protagonismo di alcuni. In fondo non erano che adolescenti che sognavano di diventare popstar, lanciati allo sbaraglio… E alcuni ce la facevano pure.

‘Big Poppa’ – come venne affettuosamente ribattezzato dai ragazzi – sa riconoscere il talento, è generoso, protettivo, persino paterno. Ma è anche un losco affarista, capace di speculare sulla pelle degli stessi ragazzini. “Non ci sarebbero Backstreet Boys, non ci sarebbero ‘NSync senza Lou”, dice AJ nelle primissime scene di Dirty Pop, “ma ci sono ferite che non sono mai guarite, che potrebbero non guarire mai”. Così, attraverso preziosi materiali d’archivio, inediti e interviste ai protagonisti di allora (AJ McLean e Howie Dorough dei Backstreet Boys, Chris Kirkpatrick degli ‘NSync e altri ancora), prende lentamente – talvolta confusamente – forma l’incredibile storia (per lo più da noi sconosciuta) di Lou Pearlman. 

Al resto ci pensava Big Poppa

La docuserie Dirty Pop utilizza una sofisticata tecnologia digitale per intervenire su un suo vecchio video in cui parla davanti alla telecamera, facendogli dire – con la sua stessa voce – estratti dal suo libro del 2002: Bands Brands and Billions: My Top Ten Rules for Success in Any Business. Tra le sue stesse dichiarazioni – digitalmente manipolate – e i racconti di musicisti, amici, collaboratori e giornalisti, viene fuori la volontà di apparire come un manager scaltro, e come si diceva generoso, paterno e protettivo con i suoi giovani artisti. Una falsa proiezione di sé, per nascondere la sua natura di avido e accanito truffatore, amico di malavitosi, amante del lusso e predatore pedofilo… 

Con il suo elaborato castello di menzogne, che custodiva un più semplice schema Ponzi, si calcola abbia incassato almeno 300 milioni di dollari (secondo alcuni addirittura un miliardo!). Erano gli anni in cui Lou, divenuto un pezzo grosso nel business musicale, gestiva non solo la più grande boyband del momento ma anche i suoi diretti concorrenti, dando così vita ad un inedito e bizzarro monopolio. Bastava essere un bel ragazzo ed essere vagamente intonato. Al resto ci pensava Big Poppa. Era sempre lui a decidere tutto: look, video, coreografie. Divenne così il padre putativo di tante band clonate dal modello originale, anche se ad ogni clonazione ci si allontanava sempre più dalla qualità e dal successo delle prime band. Comunque per mantenere un impero del genere servivano continui investimenti e quindi una montagna di soldi. Ecco allora i finti contratti, le promesse di pagamenti, i finanziamenti ceduti e mai saldati… 

Il sesto componente di ogni band

Naturalmente il castello di menzogne doveva alla fine crollare e, grazie alle indagini dell’FBI, Pearlman finisce in prigione. Dove continua a fingersi sbalordito perché afferma di aver sempre agito per il bene delle persone, anche se qualche volta ha avuto sfortuna nella gestione del denaro. Strano, dato che nonostante la popolarità, i videoclip milionari, i premi musicali, le folle di ragazzine urlanti e, soprattutto, le decine e decine di milioni di dischi venduti (130 per l’esattezza) i componenti dei Backstreet Boys si ritrovarono con un assegno del valore di 300.000$. Tutti gli altri milioni se li era intascati Lou che, per contratto, figurava come sesto componente della band. Di ogni sua band. 

Fu proprio allora – verso la prima metà degli anni Duemila – che, a partire proprio dai Backstreet (già nel 1998), quasi tutti i suoi gruppi musicali gli fecero causa per frode e contratti iniqui. La carriera di Big Poppa, il goffo ciccione del Queens partito concedendo in leasing lussuosi aerei a star come Paul McCartney e Madonna, cominciò a precipitare in una vorticosa spirale discendente. Che si concluderà con la condanna, nel 2007, a 25 anni di prigione. Della fortuna che negli anni si è intascato si riusciranno a recuperare solo dieci milioni. Circa in duemila, tra famiglie e individui, hanno perso i loro soldi nella frode di Pearlman. Qualcuno si è pure suicidato. Ma Pearlman non si è mai sentito in colpa.

La sua scarcerazione era prevista per il 2029, ma Big Poppa muore nel 2016 in carcere, in seguito ad un ictus. Aveva 62 anni. Alcuni artisti si dichiararono “sollevati” dal fatto che non ci fosse più. Timberlake lo ricorda in un tweet: l’uomo senza il quale lui non farebbe ciò che ama.

I dirigibili schiantati, gli aerei inesistenti e il lusso in Dirty Pop

“Sono presidente della Trans Continental. Sto vivendo un momento incredibile come imprenditore nell’aviazione e nell’industria dell’intrattenimento. Ho anche guadagnato un po’ di soldi.” E la Trans Continental è sia l’etichetta discografica sia la società aeronautica verso cui attirava gli investitori, forte del successo di ‘NSync e compagnia bella. Ma è tutta una montatura: Big Poppa non ha mai posseduto nemmeno un aereo. Anche se tutta questa assurda storia nasce in mezzo ai dirigibili (sic). Pearlman gestiva per l’appunto in origine la Airship Enterprises Ltd, una società di dirigibili promozionali per aziende (come McDonald’s). Siamo negli anni ’80 e già al volo inaugurale vi è il primo di diversi schianti sospetti (con il senno di poi).

Intascati i milioni di dollari dell’assicurazione, Lou lascia New York per fondare la nuova società di affitto di aeroplani di lusso a star dello show business. Poi, la brillante intuizione. E Pearlman, come vediamo in Dirty Pop, diventa Big Poppa. Parenti e amici vedono i suoi successi con le band come fonte sicura di ricchezza e iniziano a investire nelle sue attività. Non solo aerei e dirigibili: Lou vantava anche aziende di yogurt, ristoranti ecc.

Nel frattempo, mentre i Backstreet ricevono i primi consensi anche oltreoceano, fonda gli ‘NSync. Così da controllare anche la concorrenza. Big Poppa amava dire che i Backstreet Boys erano come la Coca-Cola e che qualcuno prima o poi si sarebbe inventato la Pepsi. Tanto valeva la inventasse lui. E la sua Pepsi erano gli ‘NSync. Per i primi tre anni i componenti di questa band ricevono una paghetta da 35$ al giorno (sic). Certo, nel frattempo, vivono nel lusso più sfrenato. Come gli altri ragazzi, e gli altri a venire. Big Poppa ama il lusso, e ama condividerlo ‘generosamente’ con i suoi protetti. Salvo poi metterlo loro in conto…

Star Wars, i porno, l’Indonesia e Incognito Johnson

Non è altrettanto generoso quando però si tratta di remunerare i suoi artisti. Sempre nel fatidico 1998, i suddetti ‘NSync stanno per ricevere il sudato compenso, dopo 3 anni pieni di successi e concerti. Ma ci sono soltanto 5 assegni da 10.000 dollari. Pearlman è stato avido e loro saranno i secondi a fargli causa. Anche nei momenti più difficili, Lou appare comunque davanti ai giornalisti sorridente, ostentando sicurezza. Nonostante l’addio di Backstreet Boys e ‘NSync, Big Poppa si rilancia con un nuovo talent MTV – Making the band – e crea gli O-Town. La sua faccia bonaria e il suo fare persuasivo sono una sorta di garanzia. Così, nonostante le chiacchiere di collusione con la mafia, in molti continuano a consegnargli risparmi e denaro.

Arrivano però anche le chiacchere riguardanti accuse più gravi, come quelle di molestie e addirittura violenza sessuale su minore. Reati per cui non verrà mai processato. Che dire? Tim Christofore, membro dei Take 5 a soli 13 anni: “Invitò la band a guardare Star Wars nella sua sala di proiezione. A un certo punto il film si spense e fu sostituito da un film pornografico. All’epoca pensavamo solo che fosse divertente. Eravamo bambini…”

Infine, nel 2006, dopo la citazione da parte dello stato della Florida e di una serie di banche creditrici assai agguerrite, Pearlman scappa in Indonesia, dove si fa chiamare Incognito Johnson. Lo prendono in un resort a Bali l’anno dopo. 

Dirty Pop: la storia del cugino di Art Garfunkel

“Se mi avessero dato la possibilità di mettere insieme un’altra band, avrei ripagato tutti. Ma non ho mai avuto questa opportunità, ed è questo che mi ha sconvolto molto” dichiarò in un’intervista fatta in carcere. Strano, perché nei suoi ultimi anni di frenetica attività Big Poppa aveva fondato una serie di agenzie di talent scout. Tutte poi accusate di sfruttare i tanti giovani aspiranti artisti, vendendo loro servizi come book fotografici, videoclip e altro a prezzi stratosferici. Senza poi procurare loro nemmeno un misero ingaggio… 

La docuserie Dirty Pop mostra dunque il marciume nascosto dietro il mondo delle boy band. Accostando paradossalmente alle tante facce da bravi ragazzi di Backstreet ecc., il flaccido corpo sovrappeso di un uomo che doveva faticare non poco per guardare negli occhi il suo interlocutore. Ad ogni modo, parlare di finanza, investimenti e truffe non è facile. Sono spesso potenziali sabbie mobili che rallentano, quando addirittura non affossano, il ritmo della narrazione. Il montaggio talvolta tortuoso salta da un anno all’altro, contravvenendo qualsiasi senso cronologico, con testimonianze non sempre raccordate. Si salta surrealmente dalla fine degli anni Ottanta ai primi anni 2000 e viceversa, rallentando il cammino e talvolta persino smarrendo la strada principale.

Disarmonico e assolutamente non lineare, Dirty Pop: La truffa delle boy band tergiversa, senza mai raggiungere una spiegazione chiara e completa. Ma la storia del cugino di primo grado di Art Garfunkel (sic) alla fine dei giochi è comunque assai chiara – e assolutamente pazzesca.  In chiusura: anche se il mito delle boyband è quasi crollato durante la crisi globale della discografia, causata dall’avvento del digitale, l’idea che la musica possa essere costruita a tavolino al solo fine di essere venduta, non è di certo crollata con la fine di Big Poppa… 

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