Volersi addentrare nell’oscuro universo filmico di David Lynch è già di per sé un’impresa assai azzardata. Se poi uno ha anche la pretesa di farci dentro un po’ di luce… Comunque non è certo il nostro caso. Ben consapevoli dell’immenso e kafkiano dedalo di simboli e forme che è la sua opera – anche solo Twin Peaks – abbiamo infine scelto, in questa labirintica oscurità, di chiudere anche noi gli occhi. E di aggirarci, senza una meta precisa, percorrendo strade perdute, o stretti corridoi abitati da tulpa e doppelgänger… Guidati da una intuizione: rock, teatralità, Twin Peaks.
In sostanza, abbiamo optato per una scrittura riflessiva e frammentaria. Ogni frammento cerca di sintonizzarsi con un’intuizione, un’idea, una connessione. Senza alcuna volontà ermeneutica, dunque. Giusto una passeggiata nel buio – tra vividi palcoscenici notturni e diabolica musica rock – di Twin Peaks, capolavoro seriale di Lynch. Capolavoro seriale tout-court.
David Lynch è pittore e musicista. Nei suoi film egli cura maniacalmente tanto la fotografia quanto l’edizione del suono. Solitamente la maggior parte dei registi si focalizza sull’aspetto visivo per poi affiancarvi, in un secondo momento, la musica come rafforzativo. “Be’, chiunque, persino un deficiente, può prendere una canzone e ficcarla in un film. Per me la cosa si fa interessante quando il pezzo non se ne sta solamente lì appiccicato. Deve possedere degli ingredienti che siano davvero adatti a far parte della trama, il che può verificarsi sia in maniera astratta che per via del testo. A quel punto è come se fosse impossibile vivere senza quel brano musicale: non può assolutamente trattarsi di nulla di diverso.” (D. Lynch)
È opportuno qui menzionare, anche perché forma più recente delle attività del proteiforme autore, il canale YouTube David Lynch Theater, alimentato di video sovente misterici e tutti declinati sul fronte musicale / sonoro. Come I Have a Radio.
Twin Peaks in chiave rock (la musica del diavolo)
Il cinema è per Lynch una assoluta equivalenza di suoni e immagini. Queste visioni sonore raggiungono spesso livelli di estetico parossismo proprio perché, incuranti della verosimiglianza, assecondano solo l’imperativo di dare forma ad un’intuizione. Suoni e musica sono elementi della grande messinscena filmica, del puzzle mentale che l’autore va di volta in volta costruendo. Fire Walk With Me e The Return, il film e la serie di Twin Peaks su cui Lynch ha potuto esercitare il pieno controllo, sono la summa del suo enigma creativo.
La musica non tollera significati o spiegazioni. Ogni vera opera d’arte apre invece indefiniti orizzonti di senso. Non esistono i perché di statue e sinfonie. Così Twin Peaks, che ha il suo cuore pulsante nell’idea stessa di mistero. Il rock in Twin Peaks è presenza costante, non tanto e non solo come colonna sonora, quanto invece come esibizione, atteggiamento e stile. Senza dubbio Lynch è anche un autore rock. In che senso? Come diceva Lester Bangs: “Il rock’n’roll è un’attitudine, non uno stile musicale o formale. Identifica il modo in cui si fanno le cose: scrivere può essere rock, così come girare un film. È uno stile di vita”.
Il rock’n’roll delle origini (anni ‘50/’60) era ritenuto dai più la musica del diavolo. La musica della disinibizione sessuale, della contestazione, della libertà. Sfrenato egoismo dionisiaco. Ribelle coscienza collettiva. Sensualità e passione. Esibizionismo e trasgressione. Rabbia e amore oscuro. La retorica del rock è da sempre un territorio ambiguo, in cui luce e oscurità si confondono e si rimescolano. Esattamente come in Twin Peaks.

Rockstar e doppelgänger
Il termine ‘rock’ racchiude naturalmente una vaga molteplicità di significati, che vanno dall’ambito musicale a quello estetico esistenziale. Dal punto di vista squisitamente musicale – tralasciando origini, evoluzione e diramazioni – elemento fondamentale dell’odierno rock è la chitarra elettrica. Amplificazione e distorsione elettriche sono quindi tra le sue caratteristiche più immediate. Amplificazione e distorsione sono anche caratteristiche del cinema di Lynch. Per non parlare dell’elettricità, elemento chiave della saga di Twin Peaks.
Dal punto di vista esistenziale, invece, il rock è da sempre retorico sinonimo di libertà individuale e di ribellione alle regole imposte dalla società. La figura che lo incarna è quindi la rockstar, l’animale da palcoscenico oggetto di religiosa adorazione. Il modo in cui questa maschera viene indossata, più o meno consapevolmente, per infiammare il pubblico e accenderne gli entusiasmi, creando un alone di mistero intorno a sé, è un aspetto imprescindibile dell’estetica rock tout-court. L’artista stesso diviene, wildianamente, opera d’arte. E il mondo del rock diviene dunque un mondo di proiezioni di sé.
Ma assai di rado la proiezione coincide con il sé. David Bowie è colui che più consapevolmente ha giocato con la fascinazione delle maschere, creando incarnando e uccidendo, uno dopo l’altro, i suoi meticolosi e misteriosi alias. Ma Bowie non è le sue maschere. Questi alter ego della rockstar hanno una propria dimensione, per così dire, sciamanica. La sciamanica rockstar ci trascina con la musica del diavolo in mondi oscuri, popolati da demoni e fantasmi. Non si può certo idolatrare ‘l’onesto cittadino che paga le tasse’. C’è bisogno di uno spirito anarchico per celebrare i fasti del rock. Un demoniaco alter ego che diviene così il tulpa, il doppio oscuro, il doppelgänger dell’originale.

L’assolo rock di David Bowie in Twin Peaks
La contaminazione tra cinema e rock percorre tutta la filmografia lynchiana. Ma è solo nel terzo capitolo di Twin Peaks – da qualcuno considerato il testamento artistico di David Lynch – che giunge alla sua massima espressione. Ogni episodio termina con un dark live – su cui scorrono i titoli di coda – sul palco del mitico Roadhouse. Già in Fire Walk With Me l’irruzione dell’agente Philip Jeffries (David Bowie) nella realtà filmica aveva tutta la carica destabilizzante, la potenza visionaria e la follia del rock. Il doppio, la maschera, l’oscurità, la teatralità, l’eccesso: in Twin Peaks, in particolare in The Return, l’estetica del rock – da intendersi sempre in senso lato – è ovunque.
Protagonista della prima parte di Fire Walk With Me, nei panni dell’agente Desmond, è Chris Isaak, l’accattivante e tranquillizzante rockstar della porta accanto. Proprio per questo la sua improvvisa e irrazionale scomparsa risulta così disturbante. Ma questo è niente rispetto alla deflagrazione che è l’entrata in scena, e la subitanea uscita, dell’agente Jeffries, alias Bowie. La sua teatralissima apparizione rappresenta l’irruzione del sogno nella cosiddetta realtà. L’effetto della sua entrata negli uffici dell’FBI è puro rock: sia nella narrazione (di che straparlava Jeffries? che attinenza ha con la storia?) sia fuori da essa (cosa diavolo è accaduto? quello era davvero Bowie?). Un grandioso momento rock, o meglio: uno straordinario assolo.
In un brano rock il momento iperbolico è nell’assolo della chitarra elettrica. L’intera struttura melodica viene a suo modo sublimata da questa esecuzione fatta di accelerazioni, ellissi, distorsioni. Ma questa esecuzione può ovviamente esistere solo se sorretta dall’impianto armonico dello stesso pezzo. Parallelamente sono molti gli assoli nella saga rock di Twin Peaks. Sono momenti topici in cui il rigore estetico e l’alta significatività si intrecciano in una forma assoluta – come la musica.

Industrial Symphony No.1 & (the) Nine Inch Nails
La Twin Peaks delle origini appariva come una tranquilla cittadina, in cui la vita era semplice e fatta di cose semplici. Insomma come l’opposto della retorica ribelle e iconoclasta del rock. Ma questo paese nascondeva segreti, la malvagità scorreva già in esso. E ora, dopo 25 anni, il male sembra imperversare ovunque in Twin Peaks. La violenza, il sangue e l’oscurità sono diventate la trama stessa della cittadina, un tempo apparente esempio di comunità in cui “la vita di ognuno ha importanza”.
Emblematicamente i due locali di ritrovo di Twin Peaks sono sempre il diurno ristorante caffè Double R e il notturno Roadhouse. In entrambi la musica è centrale: attraverso il juke box del locale di Norma, e con i concerti live del Roadhouse. Da una parte vi è dunque il luminoso R&R, con le sue torte di ciliegia, il caffè (in Twin Peaks, simboli legati a tutto ciò che è moralmente buono, in antitesi alla Garmonbozia) e i classici del jukebox. Dall’altra l’oscuro e peccaminoso Roadhouse, pieno di birra e fumo, di balordi e teste calde, tra risse e relazioni clandestine.
Industrial Symphony No.1: The Dream of the Brokenhearted è il video di una performance teatrale musicale diretta da Lynch, che ha curato le musiche assieme ad Angelo Badalamenti, suo inseparabile partner anche per Twin Peaks. Composto a cavallo tra la serie e Wild at Heart, presenta quelle sonorità elettriche, distorte e cupe che caratterizzano il genere industrial, particolarmente amato dal regista. E perfettamente incarnato dai Nine Inch Nails di Trent Reznor, che hanno un ruolo particolare in The Return.

Mr. C & Edward Louis Severson III
In E8 S3 – iperbole assoluta dell’intera stagione – il gruppo suona all’inizio, e non alla fine dell’episodio. Questo gruppo è Nine Inch Nails, che viene stranamente presentato come The Nine Inch Nails. Perché l’aggiunta dell’articolo? Una svista? Assolutamente no. Niente è una svista con Lynch. Ma tutto invece è uno slittamento. Il Roadhouse di Twin Peaks (come Twin Peaks, del resto) non esiste nella nostra realtà di spettatori. L’irruzione di una famosa rock band, famosa nella nostra realtà, comporta quindi questo slittamento. Quella non è la band che già conosciamo, è un’altra band. Che viene vertiginosamente determinata (con l’articolo determinativo) in un’altra realtà.
Quando sul palco del Roadhouse è il turno di Eddie Vedder, con la splendida Out of sand (E16 S3), viene presentato come ‘Edward Louis Severson III’. Che sarebbe il suo nome all’anagrafe. Eddie aveva cambiato il proprio cognome con quello della madre da nubile, Vedder. Qualcosa a che fare con il padre. Come Edward Louis Severson III firma, unica volta nella sua carriera, i testi di Ten, il celeberrimo disco d’esordio dei Pearl Jam. Da allora in poi sarà per tutti – nella nostra realtà – solo Eddie Vedder.
Fino al palco del Roadhouse, dove ciò che proviene dalla nostra realtà deve rivelarsi come qualcos’altro. E non è un caso che questo sia l’episodio in cui muore folgorato Richard, che Mr. C, il doppelgänger dell’agente Cooper, senza scomporsi saluta per la prima e unica volta come figlio. C’è un rocker il cui nome rivela che ha riconosciuto di non avere avuto un padre. E un doppio oscuro che rivela di aver sempre riconosciuto suo figlio. Stupefacente gioco di specchi tra le due diverse realtà. Siamo verso la fine di The Return, verso quel grandioso finale che è lo slittamento totale della serie stessa.

Bobby, James & Diane – dopo 25 anni
Dopo 25 anni, alcuni particolari personaggi sono per noi irriconoscibili. Addirittura loro stessi non si riconoscono più. “Mi sento come se fossi altrove e fossi un’altra. Sono un’altra ma non so chi sono” dice Audrey (E14 S3). In The Return il vecchio mitico agente Cooper appare paradossalmente per pochissimi episodi (“I am the FBI!”).
Chi invece compare molto è Diane, la fantomatica persona per cui Cooper registrava le sue notazioni nelle prime due stagioni. Nelle quali non si era mai vista. Ora finalmente ha un volto e un corpo (quelli di Laura Dern), ed è una rivelazione scioccante: Diane è una donna volgare, dal linguaggio sboccato, che fuma un numero esagerato di sigarette, va a letto con uomini molto più giovani, ed è alcolizzata. L’opposto del Cooper originale, così (esasperatamente) bravo ragazzo. Ma questa Diane non è l’originale, è una proiezione: una tulpa. Retoricamente troppo rock per essere l’originale?
Bobby e James (assieme ad Audrey e alla stessa Laura Palmer), erano tutti fantastici cliché dell’adolescente rock. La metamorfosi dei due giovani ribelli, 25 anni dopo, è a dir poco spiazzante. Eppure, a suo modo, assolutamente consequenziale. Bobby era il bad boy, James il ragazzo triste. Uno aveva la droga, l’altro la moto. Ora Bobby è un vicesceriffo incline alle lacrime. James un operaio incline alle lagne amorose (come già 25 anni prima, a dire il vero). La retorica rock della giovinezza è stata bellamente smentita dalla realtà.

Audrey’s dance!
Audrey Horne, la femme fatale rimasta in coma dopo l’esplosione della banca (S2), è ora una donna schizofrenica. Sposata al grottesco Charlie, la sua storia in The Return si riduce alla ricerca di Billy, il suo amante forse inesistente. O che comunque non vedremo mai. Audrey non è più la protagonista di un tempo, è diventata secondaria (“What? What?”). Eppure quando finalmente giunge al Roadhouse in cerca di Billy, il presentatore – che annuncia solo per le grandi occasioni – introduce al pubblico uno dei brani più celebri della saga: Audrey’s dance!, presentandolo con lo stesso titolo che ha nella colonna sonora della serie. “God, I love this music… Isn’t it too dreamy?” e in S1 seguiva l’intrigante ballo che la ragazza eseguiva allora con disarmante sensualità.
Questo ennesimo slittamento introduce una situazione davvero incredibile: nella realtà del Roadhouse irrompe un elemento musicale di bizzarra natura, poiché proveniente dalla serie di 25 anni prima. Senza contare che il titolo “Audrey’s dance!” rimanda inevitabilmente ad Audrey come personaggio. La banda attacca a suonare lo stesso pezzo di allora. Tutti fanno spazio ad Audrey, seguendo ipnotizzati il suo ballo. La grazia del suo danzare sembra la stessa di allora…
Ma la rissosa realtà del Roadhouse interrompe bruscamente la magia. La nostra ballerina ha una sorta di brusco risveglio in un’altra realtà: quale? Non lo sappiamo. Vi è solo un bianco accecante, lei si sta guardando in uno specchio, è completamente struccata e invecchiata… “What? What?” fa appena in tempo a biascicare, incredula. Le immagini tornano ai musicisti del Roadhouse, ancora impegnati a suonare Audrey’s Dance!. Scorrono i titoli di coda, sul video e sulla musica che stanno però ora andando al contrario. Isn’t it too dreamy?

Elettricità, onde radio, interferenze: il Male in Twin Peaks
L’immagine del grammofono che si inceppa su un disco, e soprattutto il suono che ne viene, quello della puntina che continua a saltare, così come le intermittenze luminose, sono per Lynch un perfetto segno di interferenza. Idea fondamentale in ogni sua costruzione narrativa, dove sempre convergono intuizione e idea, forma e contenuto.
Il suono delle intermittenze / scariche elettriche (“Electricity!” è un’espressione ricorrente tra gli abitanti della Loggia Nera) è spesso legato alla visione di figure come pali e cavi della corrente, antenne radio ecc… Queste immagini si sedimentano, dando vita ad un vasto orizzonte di senso, soprattutto in Fire Walk With Me e The Return. Il vento tra gli alberi invece sembra sempre preludere al male che sta per compiersi. Vi sono continui riferimenti a qualcosa che è nell’aria, a qualcosa che vibra, o che viene trasmesso attraverso l’aria (onde radio?)…
Tutto questo crea un parallelo molto curioso tra una presenza malvagia, che abita ontologicamente Twin Peaks, e una – o forse è la stessa? – altrettanto malvagia, che però ha a che fare con la diffusione mediatica legata ad una certa tecnologia (elettricità, onde radio). Ma cosa diffondono questi media? Forse il Male stesso: questo male è in Twin Peaks, oppure è Twin Peaks, da considerarsi come serie televisiva? Da una parte abbiamo quindi una fittizia? realtà malvagia, dall’altra la diffusione di questa stessa realtà nel mondo…

La Loggia Nera
Nell’incipit di The Return (E1 S3) il Fuochista (the Fireman) dice al protagonista: “Listen to the sounds“. Da un vecchio grammofono vengono le misteriose intermittenze sonore, che richiamano l’elettricità, e che costellano significativamente l’universo di Twin Peaks. Significativamente… e il significato? “Non tutto può essere detto ad alta voce.”
Un’evoluzione in un certo qual modo ‘elettrica’ accade al ‘braccio di Mike’, ovvero il Nano della Loggia (The Man From Another Place), che è diventato qualcos’altro. Ovvero: The Evolution of the Arm (E2 S3), un albero nudo capeggiato da una massa informe, continuamente attraversato da scariche elettriche, e – naturalmente – parlante. Uno di quegli esseri mostruosi, eppure sorprendenti nella loro semplicità, che popolano l’universo visionario di Lynch. La Loggia Nera è abitato da grottesche maschere e da esseri deformi e teatrali: il gigante, il nano, l’uomo con un braccio solo. Parlano tutti in uno strano modo, anch’esso deforme. Si nutrono di Garmonbozia. Lo stesso BOB, il burattinaio della malvagità, volendo è la maschera dell’Uomo Nero, e attraverso un sipario rosso fa il suo ingresso nei boschi di Twin Peaks.
La teatralità è la condizione ordinaria di quel mondo, che in fondo non è che un onirico palcoscenico su cui sovrana regna l’ambiguità. Laggiù le leggi dell’universo sono sospese, bene e male seguono logiche a noi sconosciute, tra tende rosse si sussurrano segreti dopo un bacio, mentre un nano balla una musica inquietante… And The Man From Another Place says, in his own very strange way: “Let’s rock! […] Where we’re from the birds sing a pretty song, and there’s always music in the air…”

La realtà e Twin Peaks: Elvis Presley, Trinity, il rock, BOB
Oscurità, notte, suoni cupi e dilatati, elettricità, interferenze, il vento attraverso gli alberi nel bosco… Tutti questi elementi hanno a che fare con il Male, e la sua diffusione. Ecco allora apparire la strana figura del ‘woodsman’: i taglialegna anneriti presenti in ogni significativa situazione di malvagità. La più emblematica è sicuramente la genesi dello stesso BOB: in una notte del 1956, l’anno in cui si vuole abbia avuto origine il rock, si materializzano i taglialegna anneriti, accompagnati da suoni intermittenti di elettricità.
Uno di loro si dirige verso la stazione radio locale, uccide i presenti schiacciando loro la testa e si impossessa del microfono. Attraverso cui diffonde una criptica litania che fa cadere addormentati tutti gli ascoltatori della stazione radiofonica. Il 9 settembre 1956 Elvis Presley è ospite dell’Ed Sullivan Show: the day America was rocked. Se, come pare evidente, esiste una connessione tra ciò che avviene nella stazione radiofonica e l’origine della diffusione del rock negli USA, riguarda l’aspetto di corruzione e malvagità – l’aspetto satanico – del rock.
Questa malvagità ha inizio 11 anni prima (16 luglio 1945), in New Mexico, con Trinity, il primo test nucleare della storia. Il momento in cui, come dicono gli americani “il genio è uscito dalla bottiglia“. Una pura e potente distorsione sonora e visiva ci conduce fin dentro l’esplosione. Dove un antico essere, chiamato Judy, produce misteriose uova. In una di queste è racchiuso BOB.

La Loggia Bianca & Laura Palmer
La reazione a questo cruciale avvenimento della storia umana avviene dentro una futuristica e metafisica fortezza. Dentro vi sono il Fuochista (il gigante delle prime stagioni) e la seňorita Dido con elegante vestito e acconciatura. Lo stile della sua mise e dell’arredamento è quello fine anni ‘40 / inizio ‘50. Anche la musica che viene da un vecchio fonografo risale al dopoguerra. È questa la Loggia Bianca? Parrebbe di sì, a giudicare dalla presenza della testa fluttuante del maggiore Briggs…
L’esplosione atomica viene proiettata in un cinema teatro (a theater), sempre della stessa epoca, e dunque antecedente a quello che sarà il lungo cammino di appropriazione televisiva della narrazione filmica. Il Fuochista crea a sua volta un uovo dorato che contiene l’immagine di Laura Palmer. La signorina Dido insuffla l’uovo nel nostro mondo, proiettato sul grande schermo.
L’azione ritorna in New Mexico, ma ora è il 1956. L’uovo BOB si schiude, ne esce una creatura ibrida e deforme. Che entra nella bocca aperta di una fanciulla sprofondata in un sonno irreale: è Sarah Palmer. E qui l’ultimo tassello di questo complicato mosaico cosmogonico: tra intermittenti scariche elettriche, si materializzano i taglialegna, anneriti come se avessero addosso l’oscurità di quella notte. Segue la scena del massacro alla stazione radio e la diffusione del misterioso mantra che fa stramazzare coloro che sono in ascolto.
Gli elementi costitutivi di questo grandioso puzzle genealogico – forse di tutto il mondo Twin Peaks – sono dunque medium. Attraverso la radio si diffonde il rock, musica del diavolo. In un vecchio cinema viene creato l’antidoto – l’uovo Laura – al Male – l’uovo BOB. Nell’anno in cui il rock corruppe l’America in qualche modo ha anche inizio l’enigma di Twin Peaks.

La mise en abyme
La figura del ‘woodsman’, che connette enigmaticamente il Male alla radio, è forse da relazionarsi in qualche modo alla Signora Ceppo (the Log Lady), o al suo defunto marito? La Signora Ceppo è una figura positiva, e ascolta sempre quanto il suo defunto marito – il suo ceppo – ha da dire. Un ceppo e dei taglialegna… Questo interrogativo, destinato a restare senza risposta, non fa che evidenziare la fitta e intricata rete, o meglio trama, di eventi e personaggi. Senza mai dimenticare che il cuore pulsante di Twin Peaks è il mistero, non certo un enigma – più o meno complicato – da risolvere.
Un luminoso esempio ci è dato proprio dal personaggio di Margaret Lanterman, ovvero proprio la Signora Ceppo, che è interpretata da Catherine Coulson. In The Return è visibilmente provata e sofferente, come personaggio e come persona (che morirà di lì a poco). La morte della Signora Ceppo (E15 S3) avviene nello stesso episodio a lei dedicato in memoriam. Dedicato però non all’attrice Catherine Coulson ma al personaggio Margaret Lanterman. Si tratta dunque di una mise en abyme di rara intensità, perché il nostro mondo e quello di Twin Peaks sembrano addirittura qui sovrapporsi. Tutto The Return, in particolare il suo finale, sembra puntare in questa direzione, la sovrapposizione – se non il collasso – dei due mondi.
La mise en abyme (letteralmente messa in abisso) è un concetto introdotto da A. Gide per indicare un momento di sublimazione metanarrativa all’interno di un’opera. L’esempio più classico è la messa in scena teatrale dell’avvelenamento del re dell’Amleto shakespeariano. In questo senso Twin Peaks, soprattutto in The Return, è una continua sublime mise en abyme. La realtà della serie sprofonda sempre più in se stessa, e nella nostra realtà.

Kafka, Fellini & Monica Bellucci
David Lynch nei panni di Gordon Cole, il diretto superiore di Cooper, è già di per sé una superlativa mise en abyme. Nel suo ufficio di Philadelphia, al posto del ritratto di un idillio boschivo, 25 anni dopo vi è la gigantografia di un fungo atomico. Mentre la parete di fronte ospita la gigantesca foto ritratto di Franz Kafka (autore amato da Lynch). Per finire, vi è anche un grande quadro raffigurante una pannocchia. La crema di mais è per gli abitanti della Loggia Nera la Garmonbozia, ed è nutrimento legato alle azioni malvagie di BOB. È il classico prodotto industriale di bassa qualità, quasi sempre contenuto in squallide lattine. La Garmonbozia si contrappone alle squisite torte alla ciliegia fatte in casa.
Ma cosa sta fischiettando Gordon Cole nel suo ufficio? Sembrerebbe essere il famoso motivo della colonna sonora del film Amarcord di Fellini (regista amato da Lynch), con qualche piccola variante, che lo rende più simile al canto di un uccellino… “Where we are from, the birds sing a pretty song, and there’s always music in the air…”
La mistica scena del sogno con Monica Bellucci, in rigoroso bianco e nero, come tutti i momenti metanarrativi di The Return. La Bellucci viene dalla nostra realtà, che è la realtà di Lynch autore regista. E si sovrappone alla realtà di Twin Peaks, che è quella di Gordon Cole personaggio. Ancora una volta, la sovrapposizione delle due realtà. Sempre più vicine al collasso?
“We are like the dreamer who dreams and then lives inside the dream. But who is the dreamer?”

Twin Peaks tra maschere, sogni e rock
Siamo come il sognatore che sogna e poi vive dentro il sogno. Ma chi è il sognatore?
Se noi siamo come il sognatore, certo non possiamo essere il sognatore. Come quando ci capita uno stato di totale immedesimazione durante un concerto rock. Ne condividiamo totalmente l’incantesimo musicale, eppure non siamo noi a suonarlo, non siamo noi a cantarlo… Non siamo noi il sognatore. Eppure siamo dentro il sogno. Il rocker è proprio davanti ai nostri occhi. È in continua metamorfosi dionisiaca. Ora sta amando selvaggiamente la sua impossibile metà. Ora si sta ribellando alla morale perbenista. E ora sta condividendo la solitudine dei suoi abissi. Che sono anche i nostri. Sono abissi di dolore e di passione. La rockstar che li incarna non è più se stessa. È ora una maschera demoniaca, un vero e proprio tulpa che proviene dal lato oscuro di questo mondo, di questa realtà… o dell’altra? Rock, teatralità, Twin Peaks.
Questa esasperata teatralità, cupa e trasgressiva, è essenziale al gioco: senza ribellione non c’è rock. E tutta Twin Peaks è ambiguamente pervasa dalle compresenze dialettiche di retorica e ribellione, elettricità e malvagità, luce e oscurità e, ça va sans dire, verità e finzione. Nei sogni non occorre distinguere la forma dal contenuto, il significato dalla melodia, il brivido dal concetto. Nei sogni, nel cinema e nel rock.
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La versione completa di questo saggio è stata pubblicata a settembre 2020 sul numero 23 di Elephant & Castle, “30 anni di Twin Peaks” (a cura di Jacopo Bulgarini d’Elci e Jacques Dürrenmatt). Il numero è leggibile e scaricabile qui.
ESPLORA IL NOSTRO SPECIALE DAVID LYNCH
Nello speciale che MONDOSERIE dedica a David Lynch e Twin Peaks troverete tante cose. Illustrazioni, puntate dedicate del nostro podcast (una sullo show originale, una sul concetto di libertà creativa in Lynch e Twin Peaks) e ovviamente articoli e saggi.
Che cercheranno di gettare nuova luce, o aprire prospettive originali, su questa serie leggendaria e sul suo autore. Indagando per esempio la sua fecondissima eredità nell’evoluzione della complex tv del nostro tempo; le ragioni della sua originalità rivoluzionaria, attraverso l’analisi di 4 episodi chiave; il tema della nostalgia in Twin Peaks: the Return. O ancora, la poetica del rock e come si intreccia all’immaginario lynchiano e in particolare della terza stagione. E la musica ispirata o derivata da Twin Peaks e che però non conosciamo.
E poi naturalmente i due grandi temi impliciti dello show, e che però al contempo rappresentano altrettante gigantesche rivoluzioni: il collasso del genere investigativo e la trasformazione del ruolo dello spettatore.
Perché se fin da subito la serie mette in crisi le rassicuranti certezze del canone investigativo, altrettanto fa con il ruolo del pubblico. Lo spettatore, sottratto alla propria abituale passività, viene chiamato a partecipare attivamente alla costruzione di un mondo complesso. Gli si chiede di prestare attenzione agli indizi, di contribuire alla ricerca di senso, di farsi egli stesso detective. Il fandom con il suo ruolo decisivo, come lo conosciamo e studiamo oggi, nasce qui. Per poi radicalizzarsi, e sedimentare, in un’altra grande serie di 15 anni dopo, e che molto deve a Twin Peaks: e cioè Lost. A cui qui abbiamo dedicato un grande approfondimento, nel suo ventennale.