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Home Mondovisioni Documentari

Nella mente di un gatto: come entrarci (e leggerla)

Inside the mind of a cat è un documentario sulla psicologia dei felini e sul loro millenario rapporto con gli esseri umani

di Francesca Sarah Toich
01/10/2022
in Artwork, Documentari
Cover di Nella mente di un gatto per Mondoserie
576
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Nella mente di un gatto (Inside the mind of a cat, Netflix 2022) cerca di far luce su uno degli enigmi più intriganti della storia tra uomo e animale: come pensa un gatto? Nell’ora e qualche minuto di documentario si alterneranno esperti di psicologia felina, studiosi, storici e veterinari che ci spiegheranno come capire meglio questo animale sovente tacciato di opportunismo. Troveremo qui risposte ad annose domande. 

Il gatto tiene di più alla casa o al padrone? Perché si è sempre pensato che portasse sfortuna? È un animale opportunista o è in grado di provare affetto per gli umani?  

Gli esperti ci suggeriscono di non scambiare indipendenza con indifferenza. Fin dalle prime scene del documentario ci risulta evidente quanto i gatti amino interagire con l’uomo. Ci vengono mostrati vari test comportamentali e il risultato è sempre lo stesso: in condizioni ottimali il gatto sceglie il suo umano e non il cibo o i giochi. Quindi non è affatto vero che sono insensibili al proprio “padrone” (anche se un gatto preferirebbe di certo chiamarlo coinquilino). 

Prova ne è che nel corso dei secoli hanno sviluppato un linguaggio vero e proprio solo per noi: il miagolio. Un gatto miagola per comunicare con gli umani, quasi mai con gli altri gatti. Sembra che l’unico miagolio tra felini avvenga quando i gattini miagolano alla mamma per comunicarle che hanno fame, freddo o altre necessità. Per il resto i gatti comunicano tra loro tramite l’olfatto o i codici corporei (o con soffi, gridolini e tutti quei sinistri rumori che emettono quando entrano in competizione territoriale.)

Come sedurre un gatto

Quindi se nei secoli questo animale si è preso la briga di sviluppare un linguaggio specifico, vuol dire che ci tiene parecchio al dialogo con noi. Ma siamo d’accordo che non è facile capire esattamente come pensa e cosa vuole. Misterioso e criptico, ama la complessità – anche nelle conversazioni. 

Come fare allora ad entrare in contatto con il felino più googlato degli ultimi tempi? Secondo Nella mente di un gatto ci sono dei semplici passaggi. Anzitutto scordatevi di insegnargli qualcosa. Un gatto non riconosce maestri. Ma apprezza enormemente lo sforzo che farete per entrare nel suo mondo. Quando sarete nel suo universo, comincerete ad apprendere le sue regole, e lui vi premierà (mai il contrario). Punirlo non serve a nulla. Non imparerà niente e comincerà ad avere dei comportamenti ostili.

Certo, a volte non è semplice averci a che fare. Anche solo approcciarlo può sembrare in alcuni casi impossibile. Come creare un legame con lui? Andiamo per gradi. Il primo è riconoscere il suo fascino. Secondo W. Burroughs un gatto non si rende utile e non ha nulla da offrire se non sé stesso. Questa è la prima cosa da accettare. Farsi sedurre. E poi, a nostra volta, sedurlo.  

Grazie a Nella mente di un gatto, apprendiamo che i gatti amano gli sguardi. Per un primo approccio è importantissimo quello che in inglese viene chiamato eye contact. Se un gatto vi si avvicina e vi osserva guardandovi dritto negli occhi ed è fiducioso, potrebbe sbattere le palpebre un po’ come Marilyn Monroe. Questo viene chiamato slow blink (sbattere lentamente le ciglia). In linguaggio felino significa: “yeah, mi piaci!”. Potete rispondergli nello stesso modo. Lui apprezzerà. E questo è un primo passo per creare un rapporto. Seguono poi diversi trucchi per farlo avvicinare, per farvi accettare e infine, amare. 

Nella mente di un gatto: le fusa e le nove vite 

Verranno inoltre svelati misteri complessi: perché si dice che il gatto ha nove vite? Una delle ragioni principali è che i suoi riflessi sono molto più sviluppati di quelli di tanti altri animali. E la sua incredibile capacità di cadere sempre in piedi lo ha salvato da infiniti pericoli. Il cervello del gatto è programmato per sapere sempre come ‘girare’ il proprio corpo in modo da atterrare sano e salvo. La sua flessibilissima colonna vertebrale completa poi il miracolo della sua resistenza agli incidenti e alle cadute mirabolanti. 

Forse uno dei punti più interessanti di Nella mente di un gatto è la spiegazione del misterioso e affascinantissimo suono delle fusa. Considerate magiche, curative e terapeutiche, le fusa di un gatto sono sempre accolte dall’uomo con gioia e una sorta di emozione. Come se ci stesse facendo un regalo. Recenti studi hanno dimostrato che nel corso dei secoli i gatti hanno evoluto il modo di fare le fusa ispirandosi al pianto dei neonati. 

Quando un neonato piange la frequenza del suo suono è tra i 400 e i 600 hertz. I gatti moderni hanno sviluppato uno speciale miao più acuto, incorporando nelle fusa questo microsuono che imita quelle frequenze. Un rumore che gli umani non riescono ad ignorare, come se fosse un richiamo all’istinto materno-paterno del suo “proprietario”.

Insomma i furboni felini usano alcuni suoni che bussano direttamente al nostro subconscio.

Gatti schivi e gatti esibizionisti

Oggi, anche grazie ai social, il gatto è amatissimo. Secondo recenti studi, guardare video sui gatti aumenta il buon umore e allontana le sensazioni negative. Alcuni sono divenuti delle star mondiali non solo su Instagram ma anche nello show business. Il documentario dedica molto tempo al fenomeno delle Savitsky cat, una famiglia di “addomesticatrici” di gatti i cui spettacoli sono diventati così famosi da permettere allo show di partecipare ad America’s got talent. 

Nel corso di Nella mente di un gatto Maryna e Svitlana di Savitsky cat ci spiegano che non è affatto impossibile addomesticare un gatto e fargli fare anche le cose più improbabili. Ma bisogna tenere presente che un gatto non ha nessuna intenzione di compiacerci. Esegue una determinata azione solamente se ne ha voglia. Bisogna dunque trovare il modo di “fargli venire voglia”, ma non è semplice. 

E poi è necessario scegliere il gatto adatto, ci sono gatti che amano i riflettori altri no. Chiunque di voi abbia un gatto, o più gatti, può testimoniare che ognuno ha il suo carattere. Vi sono gatti schivi e gatti esibizionisti. Inoltre chiaramente rispondono agli incoraggiamenti del proprio padrone e dell’ambiente in cui vivono. 

Nel documentario viene spiegato ad esempio che i gatti domestici giapponesi sono molto più timidi di altri. Questo è dovuto al fatto che in Giappone non si usa invitare ospiti a casa propria, se non in occasioni ufficiali e rarissime. Di conseguenza questi gatti hanno sviluppato una maggiore diffidenza verso gli estranei.

Nella mente del gatto dal Neolitico al Rinascimento

Uomo e gatto hanno creato un legame fin dai tempi del Neolitico, ovvero dalla nascita dell’agricoltura. Faceva davvero comodo qualcuno che cacciasse di continuo il più pericoloso nemico dei granai: il topo. Inoltre il gatto ha da subito imparato a fare i suoi bisogni in un angolo delegato e a sotterrarli. Può farci ridere ma la sua pulizia e autonomia sono stati motivo di accoglienza facilitata in case e fattorie fin dagli albori della storia. 

I gatti poi nell’antichità viaggiavano, e parecchio. Una nave aveva sempre a bordo un gatto, contro i topi e come portafortuna. Così si sono sparsi in tutto il mondo antico. Amato da greci e romani, venerato come una divinità dagli egizi che arrivavano a rasarsi capelli e sopracciglia alla morte di un loro amico felino, fu invece odiato nel Medioevo e nel Rinascimento. 

La chiesa ha sempre preferito il topo al gatto, come testimoniano i dipinti che raffigurano i santi e gli anacoreti circondati dai roditori. Il topo diventò simbolo di sacrificio, fame e santità. Il gatto, al contrario, ricordava i riti pagani. Gli esempi sono noti. Il gatto e la strega, lo stregone e il gatto nero e via miagolando. 

Effettivamente il gatto ebbe tempi davvero duri nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, nell’era della caccia alle streghe. Finirono sui roghi assieme ai loro padroni e in molti riti contro Satana venivano sacrificati gatti per scacciare il demonio (ad es. durante la Festa di San Giovanni e alle inaugurazioni di nuove chiese ed edifici). Per qualche centinaia d’anni il nostro amico felino se la passò davvero male. Specialmente nelle città, dove veniva malvisto e allontanato. 

Il gatto randagio tra Islam e peste nera

Ci si è sempre chiesti se la diffusione della peste in quel periodo avesse a che fare con la cacciata dei gatti, dato che il batterio del yersinia pestis risiede nel topo. Difficile rispondere visto che la peste nera si diffuse in tutte le aree conosciute. Anche in quelle dove il gatto in quel momento era amato e rispettato, come nei paesi islamici (famoso è l’amore di Maometto per la sua gatta). Tuttavia se nei cosiddetti secoli bui le città europee erano invase dai topi, dagli insetti e dalle malattie, l’assenza del gatto non aiutava di certo. Il felino sopravvisse nelle campagne, dove i saggi contadini continuarono a servirsi delle sue utilissime mansioni nei granai. 

Ma diciamoci chiaramente una cosa: oggi noi inorridiamo pensando che un tempo nelle città e nei borghi si disprezzassero i gatti, quasi fossero piccioni o pantegane. Ma ricordiamoci che i gatti non sterilizzati e non vaccinati proliferano ovunque e non sono gli adorabili mici domestici che conosciamo. Sono pieni di malattie, vermi, pulci, e pochi sopravvivono ai due tre anni di vita di strada. 

Io – che amo i gatti alla follia – quando mi è capitato di passare un mese ad Alessandria d’Egitto, dove ogni via è invasa da decine di famiglie di gatti, non osavo avvicinarli e difficilmente li accarezzavo.  Lì i felini sono ovunque e in qualche modo tengono pulita la città dai topi. Ma sono sporchi, randagi, e soprattutto pieni di malattie che sviluppano stando nei centri abitati a contatto con l’immondizia. 

Tuttavia è stato impressionante vedere l’atteggiamento degli egiziani. Non li scacciavano mai. I gatti potevano stare sul bancone del ristorante, tra la carne del macellaio, e davanti a tutte le porte di casa. Ma erano tantissimi, spesso malconci e sofferenti.

Nella mente di un gatto, un documentario per possessori (coinquilini) di felini e non

Oggi, grazie allo sforzo di migliaia di volontari in tutto il mondo, i gatti randagi delle città vengono raccolti, vaccinati e in molti casi sterilizzati. Questo permette loro una sopravvivenza più lunga e una vita più sana. Altrimenti la percezione che ne avremmo sarebbe davvero simile a quella che abbiamo dei ratti. Diversa è la condizione dei gatti quando si trovano in natura e in campagna. Lì non c’è abbondanza di rifiuti e la selezione naturale ne tiene monitorato il numero. 

Ai nostri giorni assieme al giusto amore per l’animale c’è la tendenza a dimenticare la natura di quello che è diventato un felino casalingo. Si tratta comunque di una piccola tigre, e non di un umano. 

Il profondo legame tra uomo e gatto è sempre esistito e continua ad evolvere. Non c’è nulla di male a tenerlo in casa purché, come suggerisce il documentario, ci sia l’accortezza da parte dei coinquilini umani di tenerlo attivo, farlo giocare e non sedare del tutto i suoi istinti. Annusare, correre, saltare, mangiare qualche pianta (l’erba gatta in mancanza d’altro), osservare l’esterno, fuori dalla finestra, grazie ad un semplice rialzo possono rendere decisamente migliore la sua vita – e di conseguenza anche la vostra.

Consiglio di certo la visione di Nella mente di un gatto, che ne abbiate uno o meno. Anzi mi correggo: come disse qualcuno, non si possiede mai un gatto, semmai è lui ad ammettervi nella sua vita. Ed è senz’altro un privilegio.

Altre storie di animali e del loro rapporto con l’uomo? Leggi il nostro articolo sulla serie Nature!

Nature: la mia vita di tacchino, e altre storie

Tags: documentarioNella mente di un gattoUomo e Natura
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Francesca Sarah Toich

Francesca Sarah Toich

Francesca Sarah Toich è un’artista che vive e lavora a Parigi, dove ha una compagnia di teatro e magie nouvelle. Scrittrice, autrice, attrice, ha vinto il primo premio nel concorso internazionale di scrittura per lo spettacolo “Premio Goldoni Opera Prima” con la tragedia intitolata “Diotallevi” e ha pubblicato due romanzi fantasy per ragazzi. Ha prestato la sua voce a numerosi film, documentari, installazioni artistiche e radiodrammi (in particolare per RAI radio Italia). Specializzata in Commedia dell’Arte e letteratura italiana è stata premiata come migliore giovane interprete della Divina Commedia, vincendo per due volte il Lauro Dantesco a Ravenna. Insegna e recita in italiano, inglese e francese in numerose compagnie di teatro e ricerca, ed ha portato le sue performance in prestigiosi teatri e gallerie d’arte in varie parti del mondo tra cui recentemente a New York, Mosca e Tokyo.

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