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Adolescence, è ancora possibile un’adolescenza normale? | 2 voci, 1 serie
Adolescence, podcast | Puntata a cura di Jacopo Bulgarini d’Elci e Livio Pacella.
La miniserie britannica Netflix Adolescence, diretta da Philip Barantini e uscita nella primavera del 2025, è una delle opere più potenti e perturbanti degli ultimi anni. In quattro episodi girati in piano sequenza, la serie affronta in tempo reale la tragedia che coinvolge Jamie Miller, un ragazzo di 13 anni accusato dell’omicidio di una coetanea. La forza della serie non sta solo nella forma – che porta lo spettatore dentro il racconto e l’esperienza traumatica vissuta dai diversi protagonisti – ma soprattutto nella sua capacità di restituire la complessità emotiva, sociale e culturale del mondo adolescenziale di oggi.
Come sottolinea l’articolo che Mondoserie aveva dedicato allo show, e come discutiamo nel podcast, Adolescence è un’opera necessaria. Perché riesce a dare voce, senza mediazioni, a un universo spesso ignorato o strumentalizzato: quello dei giovani maschi disorientati, arrabbiati, vulnerabili. Ragazzi che crescono in un contesto saturo di insicurezze, schiacciati tra aspettative familiari, fallimenti educativi e modelli digitali distorti. E proprio qui la serie colpisce più forte: nella messa in scena di un “maschilismo vittimista” che assorbe teorie ‘incel’, algoritmi tossici e narrazioni predatorie della virilità.
La serie non giudica, ma interroga: cosa accade quando le fragilità adolescenziali trovano risposta non nell’ascolto ma nel risentimento? Adolescence, come discutiamo nel podcast, non offre spiegazioni semplici, ma ci obbliga a restare nel dolore e nell’ambiguità. È una serie che scuote perché mostra ciò che spesso preferiamo non vedere.
“2 voci, 1 serie”: dialoghi sulle cose che ci piacciono, o ci interessano, nel podcast di Mondoserie.
Produzione, cast, forma e accoglienza: la forza del realismo
Prodotta da Netflix UK in collaborazione con Warp Films, Matriarch Productions e Plan B Entertainment, Adolescence è scritta da Jack Thorne e Stephen Graham (che è anche uno dei protagonisti), che da tempo collaborano a progetti socialmente rilevanti. La serie ha raccolto consensi unanimi da critica e pubblico: il Guardian l’ha definita “devastante e necessaria”, mentre il pubblico l’ha spinta rapidamente nella top ten globale di Netflix, con quasi 100 milioni di visualizzazioni nelle prime tre settimane.
Ogni episodio si svolge in tempo reale e in un singolo piano sequenza, tecnica già utilizzata da Barantini in Boiling Point, che qui diventa strumento per restituire la tensione continua, l’ansia, l’incomunicabilità. Il cast è guidato da un eccezionale Stephen Graham (padre di Jamie), con l’incredibile Owen Cooper nel ruolo del giovane protagonista, accanto a Erin Doherty, Ashley Walters, Faye Marsay e Shaniqua Okwok. Il realismo delle interpretazioni è impressionante, con dialoghi tesi e reazioni emotive che sembrano più vissute che recitate.
La serie è ambientata nella periferia di Londra, ma la sua forza sta nella capacità di parlare a un contesto globale. Le famiglie disfunzionali, le scuole impotenti, le comunità divise dalla rabbia e dalla paura: ogni segmento della società è coinvolto e messo a nudo. Il successo critico è stato accompagnato anche da dibattiti politici: alcuni commentatori conservatori hanno attaccato la serie per il suo “fatalismo educativo”, mentre numerosi educatori l’hanno difesa come strumento prezioso per affrontare il disagio giovanile.
Adolescence tra finzione e realtà: il podcast
Come approfondiamo nel podcast, Adolescence è un’opera che nasce dentro la frattura tra finzione e realtà, e la trasforma in linguaggio. Non c’è nulla di spettacolare in questi quattro episodi, ma tutto è dannatamente reale: le emozioni, le tensioni, i silenzi, le parole dette e non dette. La serie mette a fuoco un malessere profondo e diffuso che attraversa una generazione cresciuta tra crisi globali, isolamento digitale e modelli tossici di mascolinità.
Il cuore tematico della serie è quindi la “maschilità smarrita”: non la violenza come impulso, ma come reazione, come esito di una costruzione distorta del proprio ruolo. Le teorie ‘incel’, la logica 80/20 (secondo cui solo il 20% degli uomini può ambire alle donne più desiderabili), i messaggi di influencer reazionari come Andrew Tate – sono tutte presenze reali nel mondo di Jamie. E la serie ha il coraggio di non ridurle a pretesti, ma di mostrarne la presa culturale, l’efficacia simbolica su chi si sente escluso, fragile, umiliato.
La responsabilità, però, non è solo dell’online. La serie mette in discussione l’intero sistema: famiglie assenti, insegnanti impotenti, servizi sociali insufficienti. Nessuno ascolta davvero. E allora il web, per quanto tossico, diventa rifugio. Adolescence ci restituisce il ritratto di una società che ha dimenticato come educare, e che solo nel trauma si accorge di ciò che ha perso. In questo senso, la serie non è solo una storia di cronaca immaginaria. È un segnale d’allarme.
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Leggi il nostro pezzo sulla miniserie britannica: Adolescence